Premio Racconti nella Rete 2021 “Puntini di sospensione” di Alice Cupini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Chiuse la vestaglia a fiori gialli sul petto e sul collo, per proteggersi dall’aria fresca che entrava dalla finestra del bagno, in corrente lineare con la porta della camera da letto matrimoniale e, a sua volta, con la portafinestra che dava sul cortile interno del palazzo. Passò tra il lavandino e la vasca e si affacciò dal quarto piano, socchiudendo lentamente la persiana verde scrostato e guardando giù.
Tre strade nere asfalto, perfettamente allineate, tagliavano la geometria dei palazzi come le righe di un quaderno. Sulla riga più vicina tre tavolini tondi, del bar sotto casa, neri acciaio. Puntini di sospensione di una frase non finita, o iniziata a metà.
Luca fece pochi passi sul marciapiede e si sedette all’ultimo tavolinetto, il solito. Si tolse gli occhiali da sole e li pulì accuratamente, prima di metterli nella custodia; poi alzò un dito, cenno affusolato di un quotidiano ordine noto a tutti i camerieri di quel bar: caffè ristretto e cornetto vegano. Non gli piaceva il suo corpo e se ne prendeva cura senza affetto.
Vide Pietro sbucare dall’angolo della strada, fargli un gesto e avvicinarsi con passo svelto.
“Lontano!” gli disse sedendosi di fronte a lui, usava il suo cognome per salutarlo, da circa un ventennio.
“Sempre!” gli rispondeva Luca, da circa un ventennio.
“Ciao amico mio, hai già ordinato?”
“Sì, scusa pensavo di doverti aspettare di più.”
“Malfidato, che hai preso?”
“Il solito: caffè e cornetto.”
“Tu hai un solito in ogni posto in cui vai, molesti tutti i bar della zona?”
“No, solo quelli che capiscono i cenni al volo. A quel punto li scelgo per la vita.”
“Ti viene bene.”
“Cosa?”
“Scegliere per la vita. Scusi, scusi per me un tè verde e un occhio di bue.”
“Il solito.”
“Per te che lo sai.”
“Lo so, sì.”
“Come va il naso?”
“Storto.”
“Sì, intendevo dopo l’incontro di sabato, quello c’è andato duro, sembrava vi separassero solo i guantoni dal prendervi a cazzotti sul serio. Che cavolo t’era preso?”
“A proposito grazie di avermi tirato su, dopo.”
“Sto qui per questo. Comunque non puoi fare così, cerca di capire chi hai davanti prima di sfidarlo, santo cielo.”
Luca schioccò la lingua, gli capitava quando un discorso non lo convinceva.
“No?” gli chiese Pietro, riconoscendo il suono della disapprovazione.
“Devo dirti una cosa.”
Arrivarono il caffè, il tè, l’occhio di bue e il cornetto. Il cameriere li appoggiò lentamente sul tavolo, senza sbagliare le destinazioni, ma anzi scegliendole con la cura di chi ama il proprio lavoro. Luca lo invidiò, tra gli universi paralleli delle scelte che non aveva fatto fino a quel giorno doveva essercene almeno uno in cui sapeva chi voleva essere nella vita. Ce n’era? Almeno uno in cui i pezzi si incastravano perché davvero giusti e non perché forzatamente spinti gli uni contro gli altri?
“Dimmi.” gli disse Pietro dopo qualche minuto, senza essersi lasciato distrarre da nient’altro, nel frattempo.
“Anna è incinta.”
Pietro spostò lo sguardo da Luca al panorama dietro di lui, pochi centimetri più a lato, necessari per sfuggire al contatto. Si fissò sul semaforo, rosso imperterrito, in attesa silenziosa.
Luca abbassò gli occhi sul tavolino, staccò un pezzo di cornetto e lo sbriciolò piano piano, dentro al piattino macchiato dal caffè.
Gli occhi dei due si incrociarono di nuovo, quando il semaforo diventò verde, con l’imbarazzo di chi dovrebbe partire ma non riesce ad ingranare la prima. Arrossendo e desiderando di alzarsi e andar via, entrambi, in direzioni diverse, o nella stessa, ma una volta per tutte.
“Forse prendo un caffè anch’io” disse Pietro, facendo un cenno rapido al cameriere, che lo ignorò, superandolo e servendo il tavolo accanto. Sorrisero entrambi, per sbaglio, sentendosi nuovamente vicini per un istante.
“Questo non lo finisci?” gli chiese Luca, indicando il tè.
“Ho sbagliato scelta, quando l’ho ordinato”
“Tu non sbagli mai, che ti è successo?”
“Per sbagliare ci vuole coraggio, o no? Non si diceva così? Forse no.”
Deglutirono, uno abbandonando la schiena sulla sedia e guardando in su, l’altro appoggiando la testa sul palmo della mano e guardando in giù. Pensarono alle cose perse. Alle domeniche da adulti ai mercatini dell’usato, alle corse da adolescenti sulla pista di atletica. Alle volte che si erano tirati su da terra a vicenda, dopo un pugno, o prima di un salto. A tutti i problemi risolti con poche parole. A tutte le cose non dette e non fatte, le scelte non prese, il coraggio inghiottito.
“Comunque sono felice per voi, davvero” disse Pietro, immergendo la faccia nel tè che non gli andava.
“Grazie.” rispose Luca.
“I tuoi saranno contenti.”
“Non gliel’abbiamo ancora detto, ma sicuramente lo saranno.”
“E Anna come sta? Sta bene?”, poi si girò e alzò la mano: “Cameriere un caffè!”
“Qualche nausea, ma per ora bene.”
“Stalle vicino.”
“Per forza.”
Luca avrebbe dovuto schioccare la lingua di continuo, ma non poteva. Avrebbe voluto prendere a pugni qualcosa, ma non poteva.
“Mi dispiace, Pietro” gli uscì così, istintivo come uno starnuto.
Si fissarono a lungo, mentre le mani di Pietro giocherellavano nervosamente con quello che trovavano e le dita affusolate di Luca si intrecciavano sudate sotto al tavolo. Si girarono entrambi al rumore insopportabile di una motocicletta, di quelle che scoppiano e rombano tra i palazzi e danno fastidio a tutti.
“Si corre troppo. Come fanno le persone a beccarsi al momento giusto?” chiese Luca.
“Si aspettano” soffiò Pietro.
Il cameriere portò il caffè fumante e lo lasciò al centro del tavolo, punto a caso per incrociarsi a metà. “Grazie” dissero entrambi distrattamente. Luca protese la mano per spingere la tazzina, Pietro per tirarla a sé. Le dita si sfiorarono attraversando il tavolo, in modo impercettibile ai più.
“Sarai un papà straordinario e quando lo prenderai in braccio per la prima volta saprai di essere nel posto giusto.”
“O nell’universo sbagliato.”
“Non è sbagliato, è una cosa bella. Sarai felice, no? Lo sarete e andrà tutto bene.”
“Andrà tutto bene” ripetè Luca, a memoria.
“Ora vado, è meglio.” Pietro lasciò i soldi sul tavolino e si alzò, sembrò impiegarci un’ora, o almeno così parve a Luca, che rimase in silenzio.
“Lontano…”
“Sempre…”
E si allontanò, stavolta velocemente, in fuga.
Luca lo seguì con lo sguardo, poi aprì la fodera degli occhiali, prese la pezzetta e li pulì con cura, soprattutto nella cavità tra la lente e la montatura. Ci soffiò sopra e strofinò ancora più forte. Poi li indossò e alzò lo sguardo verso il suo appartamento al quarto piano. Riconobbe il verde scrostato delle sue persiane, immaginò la penombra delle stanze e Anna camminare in corridoio, in vestaglia. In quel momento vide la persiana del bagno chiudersi, era stata aperta per tutto il tempo, o forse no. Non ci aveva fatto caso. Sperò che l’avesse semplicemente spinta il vento, che si infilava dritto tra il bagno e la camera matrimoniale, e tornò a casa.