Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Mi innamoravo di tutto” di Roberta Milazzo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Nel silenzio della piazza vuota in quel tardo pomeriggio d’estate, il miagolio aveva risuonato ovattato, quasi come un pianto distante. Un venticello leggero smuoveva la tenda bianca e rinfrescava l’aria

 “Hai sentito mamma? Quel gatto fuori miagola proprio come Buio”. Ancora storditi dal caldo della giornata, ci avevamo messo un po’ a renderci conto che a richiamare la nostra attenzione era stato proprio lui, cascato giù dal balcone.

“Stupido gatto” dico ad alta voce mentre gli corro incontro.

“Non riuscirai mai ad acchiappare una colomba, sarà sempre più veloce di te!”

Vedo sui gradini della chiesa una bambina, il gatto scappa verso di lei prima che riesca ad afferrarlo, le sale sulle gambe nude e grassocce; la graffia ma lei non sembra accorgersi della piccola ferita sulla pelle, lo accarezza. Il vento fa rotolare la sua palla arancione, non ci sono altri bambini insieme a lei. Sento un odore familiare, terra asciutta e frutta matura. Chiudo gli occhi per trattenerlo. Quando li riapro sono nel cortile della casa popolare in cui vivevo da piccola, sento le cosce bruciarmi, gli scalini su cui sto seduta scottano ancora anche se adesso sono all’ombra, accanto a me il pallone batte sul muro, un pam pam sempre più incalzante, lei non distoglie lo sguardo: so cosa sta facendo, deve cercare di non farlo cadere anche se rimbalza sempre più veloce. Nel silenzio di agosto quel rumore mi esplode in petto, il cuore batte veloce nello sforzo di star dietro alla palla, finché la voce del vicino al piano di sopra grida “Chiffà u taghhiamu stu palluni?” e allora salto in aria e il muro segna il punto vincente. La bambina sono io e sto aspettando il nonno.

La guardo e so che qualcosa a cui non sa dare ancora un nome la opprime già, è la sua natura malinconica, ma adesso la scambia per noia. Viene a sedersi accanto a me, insieme guardiamo verso la strada perché quando il muso della Renault 5 del nonno girerà l’angolo quel peso un po’ più su della pancia si sgonfierà all’improvviso e lei potrà corrergli incontro leggera. Riconosco il rumore del motore, lei si alza in piedi, ci raggiunge lo strombazzare allegro del clacson e quel suo fischio unico: un trillo giocoso e prolungato con cui ci avvisa che è tornato. Lei lo raggiunge e finisce stretta nel suo abbraccio che odora di terra. Le mette in testa la sua coppola, le dà una nespola e poi si incamminano verso casa, lui con il canestro carico di frutta in una mano e la sua piccola e sudata per l’emozione nell’altra. Dobbiamo aspettare ancora un po’. Prima va a farsi il bagno. Ogni giorno di ritorno si lava e veste come fosse festa. I capelli pettinati all’indietro e lucidi di brillantina, i baffetti spuntati, gli occhi verdi come l’acqua di mare arrossati dalla fatica, la canottiera bianca a costine che s’intravede sotto la camicia a maniche corte.

 “Quando torna giochiamo insieme.”

Sembra accorgersi di me per la prima volta “Mio nonno mi fa divertire un sacco, sa delle cose speciali, gli altri bambini non le capiscono perché i loro nonni non sono come il mio.”

 “Che fortunata che sei!” Mi guarda orgogliosa “Perché non mi racconti un po’?”

 “Parla in inglese” dice mettendo una mano al lato della bocca per non farsi vedere e sussurrando piano annuisce soddisfatta

“Nessuno a casa parla inglese, solo lui! Perché ha fatto il soldato a Mogadiscio che è in Africa! Nella scatola dei biscotti dove la nonna tiene le foto ci sono quelle con l’elmetto e con i pantaloni strani, gonfi al ginocchio!”   

Ti sento ritornare prima ancora di vederti, nel vento che odora del gelsomino accanto a cui ami stare seduto.

“Beduina, chi ffai?”

Mi vedo piccola, scrollare le spalle fingendo una calma apparente tradita dal sorriso che non riesco a contenere. Siamo solo io e lui. Mia sorella ama passare il pomeriggio a guardare la televisione, i miei cugini sono in viaggio. Sento sempre di occupare il posto sbagliato nell’ordine di arrivo dei nipoti. Ognuno di loro trova sempre il modo di rubarmi le sue attenzioni ma non quel pomeriggio.

“Veni cca”.

Tiene il pugno stretto. Durante l’inverno di solito quel pugno si apre svelando la sorpresa di una barretta, ma fa troppo caldo per mangiare il cioccolato. Altre volte, invece, di nascosto dalla nonna mi regala 1000 lire. Adesso però la mano mostra una manciata di sale, lucido e un po’ raggrumato dall’umidità del sudore.

“Ora tu sai che fai? Ce ne metti un poco nella coda a una colomba e vedi che quella si ferma di botto. E tu la puoi prendere!” Ha lo sguardo serio e il tono di chi ti sta confidando un segreto. Non so se credergli, acchiappare una colomba con un pugnetto di sale!

“Dove lo hai imparato?”

“Ehhhh” risponde, accompagnando quell’unica vocale con un gesto della mano a disegnare nell’aria cerchi sempre più ampi che in quel momento avvolgono me e lui negli stessi venti africani.

“Cosa devo fare?” chiedo sottovoce, come un soldato che attende istruzioni dal suo comandante per una missione importante. Solleva il dito sopra il mio naso e poi dà l’ordine

 “Ti avvicini ma piano. Senza farti sentire e appena sei vicino ci metti il sale sulla coda e l’acchiappi!” Ritrovo in me bambina la fiducia totale, la capacità di credere nello straordinario, vedo le lunghe codine svolazzare mentre inizio a rincorrere colombe, muovendomi ora piano piano ora rapida sul largo spiazzo di cemento, senza mai riuscire ad avvicinarmi abbastanza alla loro coda per liberare anche solo un granello del sale che tengo stretto nella mano. Accaldata, con le guance arrossate, ogni tanto guardo il nonno,

“Più piano” mi dice allora, lo sguardo divertito, mi osserva attento che non cada. Mai mi sfiora il pensiero che mi stia prendendo in giro, che sia un gioco inventato. Ci avrei giocato molte altre volte dopo quella e solo da ragazzina, quando ormai non c’era più, mi sarei rassegnata all’idea che era impossibile fermare una colomba. Quel giorno le vedo accelerare il passo quando sentono la mia presenza dietro di loro e poi spiccare un volo quando, abbastanza vicina, allungo il braccio in un goffo passo di danza che si conclude con un salto nell’estremo tentativo di raggiungerle, mentre tutto quello che resta intorno è qualche piuma svolazzante e la risata del nonno che risuona nell’aria.

Guardiamo il tramonto colorare di rosso acceso il cielo, nella strada silenziosa si sente solo il rumore di qualche macchina e l’abbaiare lontano di un cane. Nella sera che arriva si sprigiona il profumo acidulo e fresco dei limoni. Stanca della rincorsa alla colomba la bambina riposa seduta in braccio al nonno. Tiene la testa appoggiata al suo petto che fa su e giù al ritmo lento del respiro, gli passa la mano sul braccio liscio e quando sposta la mezza manica della camicia intravede la pelle bianca, là dove il sole non l’ha scurita.

“Mi parli un po’ in inglese?” chiede

“Uan step, savutu n’pizzu a peri in cutt” mi sento dire ad alta voce.

Non gli chiedevo mai cosa significasse, scoppiavo sempre in una risata prima ancora di riuscirci, divertita dalla rapidità con cui diceva quella frase sgangherata e dall’intonazione della voce. Sento nell’aria gli ultimi echi di quella risata, diciamo insieme

 “Ancora” e lui

“Uan step manci tacchi i umma?”

One step era il solo inglese che mio nonno avesse imparato in Somalia; forse una frase da soldati “Al passo!”, memoria dell’unico viaggio fatto fuori dalla Sicilia e che la sua fantasia aveva trasformato in una lingua dal significato improbabile persino in dialetto.

Gli occhi della bambina incrociano i miei

 “Non è vero che il gatto non la può acchiappare la colomba! Ma ci deve mettere il sale nella coda! Non ti dimenticare di dirglielo”.

“Non lo dimentico di sicuro” e allora mi fa un gesto con la mano.

Non mi succedeva mai niente di speciale da bambina, tranne mio nonno che sembrava far succedere le magie. Mi innamoravo sempre di lui.

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2 commenti »

  1. ..odori..immagini…sensazioni di una bimba..che può essere ognuno di noi…complimenti davvero!!!!

  2. Mentre leggevo avevo le immagini davanti agli occhi… come se stessi guardando un film o un album di fotografie.. Quando le parole riescono a trasformarsi in immagini è vera poesia, complimenti davvero!

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