Premio Racconti nella Rete 2021 “Una goccia d’acqua” di Alessandro Bottone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Io, nel silenzio della notte, resto in ascolto: so che la goccia d’acqua è qui per me. Tic … tic: quel suono, sai, non è una cosa che mi ha portato pace o tranquillità. Lo sento solo io. E quando cominci a sentire un rumore o una voce solo tu, cominci a dubitare dei tuoi sensi, di te stesso. Ti confesso che è una sensazione molto forte questa, soprattutto di notte. Così mi sono ritrovato a chiedermi cosa lei vorrà mai da me. Perché è venuta a cercarmi? È accaduto un mese fa, di sera, quando dopo cena improvvisamente sono dovuto correre a letto, tramortito da una stanchezza strana e indefinibile, una stanchezza che non avevo mai provato prima. E dopo i primi minuti che mi riposavo, quando tutte le membra del mio corpo si rilassavano, l’ho sentita per la prima volta. All’inizio il suo suono mi incuriosiva, era qualcosa di nuovo nato da non so dove e intrufolatosi con una qualità tutta sua nei rumori svogliati della sera, tra i passi di chi esce o rientra dal palazzo, e le rare vetture che passano in strada. La mattina successiva, al risveglio, mi sono voltato sul fianco destro come al solito e mi sono tirato su. Ma niente. Non è successo nulla. Quel gesto sapiente e automatico, fatto di equilibro, forza e volontà, non mi ha portato da nessuna parte. Sono rimasto sul fianco. E ho avuto paura, sai? Nei primi momenti ho ricordato quel suono, e ho iniziato a tremare al suo ricordo. Quel tic tic ora era una minaccia per me, un presagio maligno e profondamente ingiusto. Perché altrimenti avrei dovuto sentirlo proprio quella maledetta sera? E perché nessuno intorno a me lo sente? Ho reagito subito però: devi resistere, vedrai che non succederà più, mi sono detto, è solo un momento. E invece i giorni hanno iniziato a passare e io sono rimasto a letto. E tutte le sere ho iniziato a sentire il tic tic, tic tic… Di notte, poi, ammutolisce sempre. Ma io so che non si ferma.
Tutti i giorni stanno gocciolando uno a uno, qui. Il tempo è cambiato in questo periodo e piove spesso, quasi sempre. Tra i rumori e gli odori di casa ci sono milioni di gocce d’acqua e io sto qui a sentirle e a soppesarne il suono: la goccia grande che stilla dal cornicione e che batte sul mio davanzale, la grondaia che quando la pioggia scroscia diventa una cascatella che si frange in strada, o il rumore diffuso e quasi suadente di quando la pioggia diventa lo struscio di una mano che passa su un velluto. E poi le milioni di gocce che scivolano verso la terra dagli alberi, da tutti gli alberi del giardino. È un conforto ascoltare la pioggia che cade, sai? Tutti questi suoni all’inizio hanno coperto lei, la mia goccia. E come poteva mai sentirsi quel tic tic in mezzo a questo concerto di tonfi d’acqua, di splash, di sguish o di plof? E così mi sono accorto che a me sarebbe dispiaciuto non sentirla più, ci credi? Non lo avrei mai detto. Dopo la prima esultanza, infatti, la mia vita mi è sembrata più povera. Mi sono reso conto che fino a quel momento aspettavo la sera con trepidazione e restavo fermo e rigido nel letto, ad attenderla. A dispetto della paura di sentirmi pazzo o allucinato o chissà cos’altro. In questo modo, così, è passato qualche altro giorno. A un certo punto, però, l’udito mi si è fatto più fino, o la sua voce si è fatta più forte. E ieri sera l’ho sentita di nuovo. Era lei. Il tic tic era la sua voce, inconfondibile, e spiccava nel guazzabuglio delle milioni di altre anonime gocce d’acqua. Come faccio a spiegarti ora la gioia che ho provato? Ho realizzato, anzi, che dentro di me mi ero preoccupato per la sua vita, avevo temuto che durante il giorno lei potesse essere stata schiacciata da qualche passo incauto di un uomo preso dalle sue occupazioni. O essere lavata via dalle donne delle pulizie. La sua fragilità mi disarma e mi sconcerta. Poi, stanotte, ho scoperto la goccia d’acqua improvvisamente più vicina a me, molto più vicina. Ieri sera, infatti, dopo la gioia di averla finalmente risentita, mi ero sforzato di non addormentarmi, ma ero stanco e così sono crollato. Poi, nel pieno della notte, qualche raro fascio di luce proveniente dai fari di una vettura ha illuminato a tratti la mia camera da letto facendomi svegliare.
Tutto è silenzio ora. Ancora una volta, infatti, lei nel cuore fondo della notte tace. Io però continuo ad aspettarla, trepidante e ostinato. E finalmente la avverto vicinissima. Sento che entra nella mia camera. Si avvicina, lascia finalmente che io riascolti il suo suono: tic, tic. E poi ancora Tic, un salto con la maiuscola, ed è sul comodino. Mi volto appena e con la coda dell’occhio cerco di guardarla meglio. Ha un ricordo da portarmi – mi dice sorridendo con una voce cristallina che non ho mai sentito prima – un ricordo che la vita avevo seppellito nei giorni usati e tutti uguali. Lei me lo sta riportando indietro, dice; la vedo traslucida, minuscola, ma unica e splendente. Non ho mai visto una goccia d’acqua simile, vorrei tanto che questo tu lo ricordassi, perché sappi che c’è sempre un’alternativa alla disperazione. La goccia d’acqua inizia così a raccontarmi di un’altra vita, di un giugno caldo e beato. Di una stagione di messi abbondanti. Di sacchi di iuta da riempire con il grano biondo oro e da chiudere, pesare, trasportare, uno a uno. Un’intera, immensa, giornata sotto il sole di giugno, tra la fatica e la gioventù. Tic, tic, tic, tic, la goccia d’acqua saltella divertita dopo avermi riportato il mio ricordo. E tiiic, spicca con un balzo e si spiaccica sul mio labbro destro, all’angolo della bocca. Sorrido, mentre la goccia mi scivola in bocca. Ha lo stesso sapore del bicchiere d’acqua che mi offristi in quella giornata di giugno tra le fatiche felici in cui ero immerso. Ma ora mi distendo, placidamente, e sento chi occhi chiudersi.
È mattina e ti scrivo dal posto dove sono. Il sole fa capolino tra le nuvole. Io non ho più paura. Perché so che arriveranno altre gocce d’acqua a portarmi ricordi, aiuto e il tuo sorriso caldo.