Premio Racconti nella Rete 2021 “Binario morto” di Elisa Bevilacqua
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021I due viaggi in treno erano i momenti migliori della giornata.
Le più belle pagine di racconti erano state scritte usando frammenti di realtà: il dettaglio di un passeggero che diventava tratto saliente di un personaggio; una frase sussurrata al telefono che conteneva elementi di poesia da utilizzare in un dialogo; una postura che si trasformava nel tic di un comprimario.
Com’era bello osservare le persone.
Si sarebbe potuto dire che Elena lavorasse soltanto per il viaggio che la conduceva all’ufficio. La paga faceva schifo, e l’ambiente pure: niente avrebbe potuto giustificare quella dedizione se non i quarantadue minuti spensierati di osservazioni. Per due, andata e ritorno.
L’altra nota positiva del suo impiego era la flessibilità di orario: le permetteva di prendere treni diversi per tipo e momento della giornata, moltiplicando le possibilità di incontro.
Vi si dedicava con rigore scientifico, fin dal momento della scelta del posto. Evitava i passeggeri che aveva già inquadrato in precedenza, anche per la paura – sempre appoggiata alla sua spalla – che prima o poi qualcuno la fermasse e le chiedesse conto del perché diamine l’avesse inserito in un racconto diventato così popolare. Con un difetto imbarazzante, poi.
Camminava quindi tra le carrozze fino a individuare qualche nuovo personaggio da esplorare. Era una sorta di ricerca antropologica. Qual era il tipo di persona che utilizzava il treno? Trasversale. Si era messa davanti a ragazzini appena usciti da scuola, di fianco a giovani innamorate, in piedi accanto a mamme esauste con piccoli delinquenti al seguito.
Notava subito le persone spaesate, che prendevano il treno di rado e temevano di “saltare” la stazione di arrivo. I pendolari, invece, rassegnati ai ritardi e alle scomodità. Chi si stava recando a un appuntamento importante e chi invece malediceva il solito tragitto, la solita giornata. Di ognuno annotava mentalmente qualche particolare. Il tono di voce, una parola speciale, una frase incongruente, un cappello bizzarro, un neo insolente.
Materiale umano a bizzeffe. Per immaginare centinaia di storie.
Fingeva di scrivere messaggini sul cellulare, invece lo riempiva di note. Arrivata a casa, costruiva nero su bianco vite immaginarie.
Quei racconti avevano successo, sul suo blog. Migliaia di visualizzazioni. Per cui doveva spesso mixare caratteristiche di più persone reali a costruirne una finta, o cambiare con tocco leggero ciò che aveva sentito, intuito, odorato, visto. Un vistoso cappotto arancione portato con eleganza da una giovane manager con i tacchi alti diventava ad esempio il cappotto arancione sformato di una mendicante alcolizzata.
L’indumento era lo stesso, la storia era diversa.
L’andatura particolare, un poco zoppicante, di quell’uomo che per tutto il resto pareva un modello, diventava la prova di recitazione di un aspirante attore deluso dalla vita e appena lasciato dalla fidanzata. E così via.
Nella sua testa un turbinio di emozioni e la fatica di mille vite vissute affollavano un universo di cui era l’unica dominatrice, permettendosi di stroncare amicizie, far nascere amori e rompere patti di sangue tra generazioni.
Elena parlava il meno possibile, per non interrompere la magia dell’osservazione. Si percepiva come un entomologo alle prese con nuove specie di farfalle in una foresta pluviale in cui si è appena riusciti a penetrare dopo secoli di isolamento.
A volte qualcuno le rivolgeva la parola, come quel grazioso ragazzo, in un pomeriggio di novembre. Un tentativo di abbordaggio, però tramite libro, il che aveva un tocco di romanticismo.
– Sto leggendo le poesie di Szymborska, la conosci? – le chiese.
Elena alzò gli occhi dal cellulare. Lo aveva osservato, lui e il suo volumetto dalla copertina gialla. Gli occhi guizzavano, vivaci, e il viso assumeva diverse espressioni a seconda dei versi della poetessa polacca che gli capitavano.
– Le ho lette tempo fa. Mi aveva colpito un verso: “Ieri mi sono comportata male nel mondo”.
– Oh sì – andò indietro di qualche pagina – Si intitola “Disattenzione”. Anche a me è piaciuta molto. C’è di che riflettere. Magari ti avevo già vista e non ho cercato di conoscerti. Sarebbe imperdonabile.
Elena rise di gusto. Ecco un buon personaggio per un racconto. Biondo cenere naturale, riccioli sfuggenti, eleganza un po’ demodè. Tra i venticinque e i trenta, come lei, nessuno zaino, o borsello, o busta. Al posto del telefonino, in mano un libro di poesie. Fantasticò: studente squattrinato del DAMS. Comparsa in un film ambientato negli anni Novanta. Aspirante regista di film minimalisti, magari di origini francesi così parte avvantaggiato.
Si riscosse quando udì di nuovo la sua voce. Calda, gentile.
– Scusa, non ho sentito. Lo sferragliare del treno – a volte mi lascio trasportare – mi culla.
– Ho chiesto se sei di queste parti.
– Sì e no.
La risposta lo lasciò disorientato. La prese per un rifiuto e si rituffò nella lettura.
“Scema, sei proprio scema. Cosa significa sì e no. Ma presentati, scema. Crea l’occasione per rivederlo”.
E invece stette zitta e si rimise a prendere appunti. Il cappotto verde bottiglia come quello dei Presidenti della Repubblica (mi sembra loden, controllare). Ha una fidanzata? Nessun segno. Leggere poesie lo qualifica come gay? Nessuna evidenza.
Il ragazzo alzò gli occhi e le sorrise. Bei denti, il canino sinistro molto appuntito.
Non si era abbattuto.
– Alcune descrizioni di questa poetessa mi fanno venire in mente quella tizia che scrive le storie delle persone sui treni. L’hai mai letta?
– No, non so di cosa parli.
– È un blog interessante. Costruisce storie inventate osservando le persone. Un po’ come la Szymborska.
“Non devi farti beccare. Sii impassibile. Hai successo, ma nessuno deve sapere chi sei. Però, quant’è carino.”
– Lo cercherò.
Fredda, distaccata. Il ragazzo lo prese come un secondo rifiuto. Guardò fuori, disse che era arrivato alla sua stazione. Si alzò, le disse semplicemente “Arrivederci” e si avviò verso la porta d’uscita, e lei pensò che dopo averci scritto un bel pezzetto lo avrebbe dimenticato.
Invece continuava a pensarci: come avrebbe dosato le informazioni per instillargli il dubbio di averla conosciuta? Il biondo cenere però doveva diventare almeno rosso mattone, e gli avrebbe donato pure delle lentiggini.
Si riscosse, non era tipa da innamorarsi, lei.
Il viaggio era all’incirca a metà. A quel punto, di solito, molte persone erano già scese. A volte doveva cambiare vagone per trovare qualcuno di nuovo. Stavolta era stata più fortunata.
Quel piovoso martedì fu attirata da un uomo che non aveva notato prima. Alto, dinoccolato, con un naso prominente. Tutto in lui era nervoso, le mani si torturavano a vicenda le pellicine intorno alle unghie, i piedi battevano ritmicamente sul pavimento del vagone, lo sguardo era fisso fuori, anche se era diventato buio. Elena lo osservava di riflesso sul vetro, dandogli le spalle, pensando di passare inosservata. Prese qualche appunto.
Operaio forestale? (le mani sono grandi, sembrano forti). Sta tornando dal lavoro, ed è triste per aver abbattuto un grande albero. “Ma no, che sciocchezza, gli operai forestali abbattono alberi, è il loro lavoro”.
– Vediamo se indovino.
Elena trasalì, l’aveva colta di sorpresa. Non si era accorta di aver chiuso gli occhi, persa nel suo mondo fantastico, e se l’era ritrovato di fronte.
– Scusi?
– Pensi di essere tanto furba? Che non abbia visto come mi stavi guardando?
– Ero persa nei miei pensieri, mi scusi se le ho dato l’impressione di guardarla. Ero presa dallo sferragliare del treno, mi culla. Ho chiuso gli occhi…
– Tu sei quella del blog. “Oggi in treno con”. Che titolo di merda.
– Credo abbia sbagliato persona.
Elena realizzò che nel vagone, oltre a loro, c’era soltanto un ragazzino con le cuffie.
– Ora ti dico chi sei. Sei una che ha messo in piedi un sacco di storie che credi divertenti basate sulle persone che incontri in treno. Di cui pensi di sapere tutto. E invece non sai niente. Ora faccio io lo stesso giochino con te. I tuoi guanti rossi mi ricordano tanto quelli di una mia zia: quando morì ci lasciò una fortuna e scoprimmo che era stata una prostituta. Così potrei scrivere in un mio blog immaginario che tu sei la prostituta dai guanti rossi e vedere se ti piace.
“Calma, stai calma. Nessuno sa chi sei”.
– Mi creda, si sbaglia.
Il ragazzino con le cuffie si alzò e si diresse verso l’uscita. Dalle sue orecchie filtrava musica elettronica, tump tump. Lasciò dietro di sé una scia di profumo dozzinale, versato a ettolitri. Forse aveva un appuntamento galante, in quel paesino dimenticato da Dio in cui il treno stava per fermarsi.
– Il tuo tic è osservare le persone e prendere nota sul cellulare. Ora, in un mio blog immaginario, io potrei fantasticare sul fatto di aver visto sul treno una sedicente scrittrice a cui piace pensare di essere invisibile mentre raccoglie frammenti di storie.
– E quindi?
– Quindi tu non esisti, ti ho creato io, per il mio blog “Oggi in treno con”. Buon viaggio, tesoro.
Complimenti. Un ritmo piacevole e divertente l’idea: sei tu che scrivi e guardi con incanto, il personaggio creato per guardare con incanto gli altri, nelle loro apparenze; siamo noi stessi una creazione che ci sfugge.
Bello! Ben scritto, coinvolgente, l’ho divorato! Accattivante colpo di scena finale che, ammetto, non mi aspettavo proprio. Complimenti!
Vi ringrazio molto