Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Il vero amore” di Gabriella Cirillo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Era un periodo della mia vita particolarmente intenso: studi di aggiornamento, palestra, chat che mi facevano conoscere nuovi ragazzi senza tralasciare WhatsApp che mi teneva al passo con quanto combinavano i miei amici. Per gioco, avevo costruito un profilo personale su Facebook e in poco tempo mi ero creata una rete sostanziosa di followers e la cosa mi divertiva, alcune volte mi lusingava.

Poi c’era il mio impiego, niente di che e, oltretutto, lontano da casa.

“Troppe le distanze in una città come Roma, troppo traffico”, mi dicevo. I miei colleghi e io speravamo di poter lavorare da casa ed eccoci accontentati con la complicità di una pandemia inaspettata che costringeva tutti in una dimensione di ritiro a cui non eravamo abituati.

Il lavoro che avevo sempre tenuto a debita distanza, entrava così senza rumore nella mia vita privata e tutte e due, per motivi diversi, mi inchiodavano davanti al computer.

Quelle poche volte che c’era la necessità di uscire dovevamo tenerci lontani dagli altri. Gli stessi che poi, ricercavamo con ansia attraverso i social.  

Le mie dita ormai volavano sulla tastiera del pc e altrettanto bene sfioravano veloci le lettere del telefonino. Quando portavo fuori il mio cane, vedevo tutti assorti a controllare lo smartphone e a picchiettarlo come me, concentrati a costruire una realtà più interessante di quella che, una volta usciti di casa, ci aspettava. O almeno così credevamo.

Il mio cane si chiama Ted, come il nome del mio ultimo ragazzo inglese, non altrettanto fedele. Me lo avevano regalato i miei amici in occasione del mio ultimo compleanno. È stato un regalo spiazzante e inaspettato ma soprattutto impegnativo, dato il mio ritmo di vita.

Era un cucciolotto senza alcun pedigree come piacciono a me.

Aveva un muso che sembrava dipinto per attirare baci, quattro zampe paffute che si intrecciavano tra di loro camminando e degli occhi languidi a cui non si può dire di no. Era tutto bianco con la punta del muso nera. Individuarla in mezzo a quel batuffolo di ovatta, era l’unico modo che avevo per capire quale era la testa e dove era la coda. Quando me l’avevano messo tra le braccia con uno sgargiante fiocco celeste al collo, l‘avevo abbracciato felice e avevo immerso la faccia nella sua panciotta rosa. Lui, contento di essere stato preso in braccio, dimenava un mozzico di coda che lo agitava tutto.

Ora è in casa. L’unico essere reale oltre me.

 Ho un bel terrazzo e tra una passeggiata e l’altra Ted trascorre il tempo lì con la sua ciotola d’acqua cambiata spesso per tenerla fresca.

In quel periodo, ci sono state giornate in cui, a Roma, la calura aveva tolto le forze già di prima mattina.

Ero un venerdì sera e gli studi di aggiornamento erano finiti. Per passare il tempo che avvertivo infinito e minacciosamente vuoto, avevo cercato un’applicazione per addestrare i cani. Desideravo far crescere Ted nella migliore maniera. Non ci capivo molto ma volevo cominciare bene con lui. Se ci fossimo intesi da subito, la nostra convivenza sarebbe stata più divertente.

Avevo faticato per trovare una app che stimolasse la mia curiosità ma, alla fine, ne ho scovata una che si serviva della realtà immersiva per rendere tutto più verosimile.

C’era un questionario da riempire con richieste tipo: «Cosa preferisci mangiare a colazione? Sei un tipo romantico? Descrivi il tuo cane».

Domande che non mi sembravano legare molto tra di loro ma ho risposto di buon grado non vedendo l’ora di cominciare.

Ho indossato il visore dimenticato da mio fratello l’ultima volta che era venuto a trovarmi. Da subito l’applicazione presentava una grafica accattivante e, per rendere più reale ogni cosa, avevano inserito varie tipologie di cani da addestrare tra cui una che era la copia del mio Ted.

Dopo qualche minuto ero lì con lui. I colori brillanti del prato, l’empatico addestratore vicino a me, le corse in sicurezza del mio cane, l’audio surround che mi avvolgeva con la musica della natura, rendevano quella giornata speciale.

Sergio, l’addestratore, cominciava a fare amicizia con Ted che rispondeva scodinzolando alle sue carezze. Tutto era talmente realistico che mi sembrava di sentire sul viso perfino una leggera brezza.

Le ore scorrevano e mi rendevo conto sempre di più quanto Sergio fosse un bel ragazzo e quando, avvicinandosi, mi spiegava le regole generali per addestrare un cane, avrei voluto sentire le sue mani tra le mie.

Eravamo perfetti tutti e tre e speravo tanto che quella magia non finisse.

A pensarci bene non avevo mai provato un trasporto così forte e speciale in vita mia.

Anche lui sembrava avere un interesse particolare per me visto che alla fine della giornata mi ha detto con una voce calda e suadente:

«Si è fatto tardi e siamo tutti stanchi. Perché non vieni a dormire da me?».

Non mi sono data neanche il tempo di ragionarci su, che le mie labbra hanno detto sì.

«Poi si vedrà», mi andavo dicendo.

Facevo fatica ad addormentarmi. Per tutta la notte fantasticavo come sarebbe stato il giorno dopo.

Mi sono svegliata con Ted accanto a me, pronto a balzare a terra non appena avessi mosso un dito del piede.

Avevo tentato di fregarlo in velocità ma, mentre le altre volte riuscivo a toccare terra prima io, stavolta è schizzato come un razzo planando sul pavimento.

«Caspita, come sei diventato agile; questo corso ti sta facendo proprio bene» gli ho detto ridendo mentre tentavo di dare una forma ai miei capelli. Sono scesa in cucina e ho trovato la colazione pronta con tutto quello che mi piaceva di più, come se Sergio sapesse i miei gusti.

Dalla vetrata ho notato che mi aspettava per l’addestramento facendomi grandi cenni di richiamo. Gli ho mandato un bacio in risposta e l’ho raggiunto.

Ted appena l’ha visto gli è corso incontro così veloce che la sua sagoma si è allungata come per toccarlo prima possibile. Poi sono arrivati abbracci e coccole a dismisura. Sembrava che si conoscessero da sempre.

Sergio mi ha fatto provare a tenere Ted al mio fianco e, una volta libero di correre, richiamarlo con un comando.

Dovevo dire la frase “Ted, qui!”, o meglio, spararla in modo secco e severo.

Prima il mio cane non lo fermava nessuno. Potevo chiamarlo fino a sgolarmi ma non mi ascoltava. Tornava quando diceva lui e più di una volta ho creduto di averlo perso.

Con quel magico comando, invece, ha imparato a tornare indietro al mio richiamo malgrado si fosse lanciato in una corsa a perdita d’occhio.

Non volevo di più. Mi bastava aver creato con lui un legame più forte e aver imparato a impartire i comandi essenziali per uscire in sicurezza. La giornata è corsa veloce come se le ore passassero in maniera bizzarra.

Dopo un pranzo leggero, sono andata a riposare sotto un albero mentre Sergio controllava che tutti i pali di recinzione fossero ben fissati nel terreno.

Ted dormiva beato accanto a me.

Non so quanto tempo è passato quando il mio sonno ha cominciato a essere disturbato da un rumore lontano e poi sempre più forte come dei pugni che si abbattevano su una porta, sulla mia porta.

Mi sono svegliata confusa con il mouse in mano e il visore sul volto. Me lo sono strappato via e mi sono precipitata alla porta. C’erano I vicini del pianerottolo con le facce preoccupate che mi gridavano di correre nella terrazza dove c’era Ted steso, con la lingua di fuori, ansimante e disidratato accanto alla ciotola dell’acqua vuota.

Arrivata alla terrazza con il cuore in gola, l’ho preso in braccio con tutta la tenerezza che avevo mentre piangendo ripetevo il suo nome. Ho telefonato subito al veterinario che, sentendomi disperata, si è precipitato a casa mia e ha visitato Ted.

Mi ha rassicurato che ce l’avrebbe fatta, mi ha detto cosa dovevo fare e che avrebbe ripreso a correre in un paio di giorni.

Però i miei sensi di colpa non mi davano pace. Ho telefonato a mio fratello per chiedergli di portarsi via il visore. Poi ho cancellato con rabbia l’applicazione sull’addestramento dei cani per poi, subito dopo, riempire di carezze e di attenzioni Ted implorandolo di guarire e di ritornare monello e disubbidiente come prima.

Un paio di giorni seguenti, siamo usciti di casa per fare una passeggiata nei prati.

Era vispo come non mai e vedevo che fremeva per farsi una corsa all’impazzata come piaceva a lui. L’ho liberato dal guinzaglio e lui è schizzato come una pallottola dalla canna di una pistola.

In pochissimo tempo è scomparso alla mia vista. Allora ho gridato di getto: “Ted, qui!” e ho aspettato. Dopo qualche secondo, l’ho visto in lontananza correre verso di me, apparendo e scomparendo tra l’erba alta del prato.

Non ci potevo credere.

Mi ha raggiunto e si è buttato felice per terra a pancia in su poi si è rialzato guardandomi negli occhi.

Mentre prendevo il suo muso tra le mani gli ho chiesto:

«Quando avresti imparato quel richiamo?».

Poi, alzandogli un orecchio gli ho sussurrato:

«Lo sai, mi manca tanto Sergio. Manca anche a te?»

Ho visto per un attimo lo sguardo preoccupato e allora sorridendo gli ho detto:

«Ma no, tranquillo Ted. Sei solo tu il mio vero amore».

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1 commento »

  1. Fresco, attuale, scorrevole con una giusta dose di tensione.

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