Premio Racconti nella Rete 2021 “La berlina bianca” di Loredana Specchio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021La berlina bianca illumina tratti d’asfalto lucido di umidità. Gocce di luna penetrano con difficoltà nel sughereto.
Il motore elettrico non emette alcun rumore e l’auto sembra scivolare sul nastro grigio come un prodotto del supermercato davanti alle casse.
Nel bosco tutto è immobile. Se c’è vita si nasconde chissà dove.
La berlina bianca passa lambendo cespugli polverosi.
Più avanti, la vegetazione s’infittisce creando false prospettive.
La strada è dritta oppure curva. Piega stretta a sinistra o forse no. La carreggiata è senso unico o, magari, a doppio senso.
Davanti alla macchina si apre un bivio. Da un lato continua il bosco, dall’altro c’è la macchia.
Proprio in mezzo c’è Enrico, sbucato d’improvviso con il suo zaino.
L’assistente alla guida lancia segnali con i fari, attiva freni e acceleratore assieme. Scala marce e le innesta. Aspetta dal navigatore un’indicazione ma quello protesta: «Devo ricalcolare il percorso».
Passano alcuni microsecondi e il navigatore domanda: «Segnale satellitare debole. Ti trovi in un posto chiuso?»
Enrico è immobile, a parte il piccolo gesto con cui ha lasciato cadere lo zaino a terra.
Vede la berlina proiettarsi verso di lui. Sembra un guscio di madreperla sotto i raggi lunari.
«Magnifico», pensa. Sperava in un passaggio in città e quella macchina faceva proprio al caso suo.
Alza la mano e la agita. Solleva il pollice a pugno chiuso e sorride per apparire rassicurante. Se il guidatore si ferma, al massimo tra un’oretta sarà sotto le coperte di casa.
La giornata era stata splendida. Immerso nella natura si era sentito vivo come non gli accadeva più da quando sua moglie se ne era andata. La sua Miriam, farfalla calpestata da un pirata della strada che non si era nemmeno fermato a soccorlerla.
La polizia stradale sospettava uno di quei giovinastri che la sera si ubriacano in discoteca e, strafatti di crack, si sfidano in gare assassine sulle strade poco battute. Come quella in cui lui stava ora.
Miriam è morta un anno fa ma, per Enrico, fermo in mezzo al bivio, gli anni diverranno mesi, i giorni poche ore e le ore una manciata di secondi. Il tempo si farà spazio e lo spazio si contrarrà come un lombrico nel tempo.
Qualcosa non va. È l’istinto a dirglielo.
Enrico si sente illuminare dai fari. La sua sagoma è bianca come il suo volto.
La berlina è a pochi metri da lui. Non accelera e non frena. Accenna appena un guizzo di lato e poi si raddrizza.
Il sorriso di Enrico si gela e una contrazione dello stomaco sale fino a interrompergli il respiro.
Le gambe e le braccia si preparano a un salto ma il suo cervello non impartisce l’ordine.
Lo sguardo ha il tempo di notare il cofano dell’auto. Sul bianco immacolato ci sono macchie marroni e ammaccature.
L’auto è a meno di trenta centimetri da lui. Accenna a uno zig-zag, proseguendo la marcia.
Quando è a meno di cinque centimetri dal suo corpo, Enrico chiude gli occhi. Percepisce il forte spostamento d’aria.
La prima sensazione che avverte è un dolore al ginocchio. Poi quello alle anche, molto più intenso. Immediato è l’impatto tra il muso della berlina e il suo stomaco che sente spappolarsi assieme al panino che aveva mangiato un’ora prima.
Le ossa esplodono come birilli colpiti da una palla da bowling. I suoi organi interni si fanno poltiglia. Enrico vola in aria. Sente aria fresca sul viso e una sensazione di leggerezza mentre il dolore scompare del tutto.
Nella boscaglia alcune civette si alzano in volo.
L’urto ha deviato la rotta della macchina. Il navigatore strepita: «Il percorso viene ricalcolato».
Il tergicristallo si aziona automaticamente sotto la pioggia rossa che cade sul parabrezza.
La macchina esegue una retromarcia e fa un’inversione allontanandosi nel buio.
Ore dopo, luci lampeggianti illuminano quel tratto di boscaglia. La polizia allontana giornalisti e curiosi assetati di notizie stendendo un nastro a strisce rosse e blu.
A pochi chilometri di distanza un uomo anziano in camice bianco scuote la testa rivolgendosi al suo collega.
«Ancora non ci siamo».
«Perché? Cos’altro è successo?»
«Alisa stanotte l’ha fatto ancora».
“Non è possibile, non ci credo».
L’altro alza le braccia al cielo e aggiunge infastidito:
«Dobbiamo lavorarci ancora, credimi».
«Ma lei è perfetta!»
«Senti: se lo fosse non avrebbe ammazzato un’altra persona, giusto?».
«Non lo so» disse l’altro scuotendo la testa.
«Questa è già la quinta volta».
«Calmati. Ci vuole solo qualche piccola modifica».
«Falla ritornare qui subito».
La strada che percorre la costa corre tra fichi d’india e ginestre.
Alla destra la montagna tranciata di netto, a sinistra il dirupo che lascia intravvedere spiagge assolate.
La berlina bianca fila veloce. Sopra di lei un drone segue ogni sua mossa.
I fari sono spenti. Non servono, è un mezzogiorno accecante di luce.
Il navigatore chiacchiera: «Proseguire per sette chilometri e poi svoltare a sinistra».
Da lontano appare la sagoma di un tir.
«L’hai visto?» dice l’uomo con il camice al suo collega, guardando il monitor.
«Certo. Ora i sistemi di bordo diranno ad Alisa di rallentare e lei lo farà, vedrai».
La macchina, infatti, rallenta ma si pone al centro della carreggiata.
L’assistente alla guida interroga il navigatore.
«Fra due chilometri svoltare a sinistra e poi proseguire dritto fino alla destinazione».
Il clacson del Tir strombazza. L’automezzo frena e si sposta verso il lato del dirupo.
«Ferma Alisa!» grida l’uomo in camice al collega che si affretta a dare comandi concitati.
La berlina bianca di colpo accelera come volesse centrare in pieno il mezzo pesante. Sul cruscotto si accendono contemporaneamente una decina di segnalatori di colori diversi.
L’uomo alla guida del Tir sterza d’istinto per schivare l’auto.
Le ruote anteriori sfondano il guard-rail. Il Tir sbanda. La parte posteriore urta sulla roccia e rimbalza dal lato opposto sporgendo tutta oltre il precipizio. Il peso del carico fa sollevare la cabina del guidatore che ora fissa ammutolito il cielo che si è spalancato davanti a lui.
Un secondo dopo il Tir rotola sulla roccia trascinando con sé alberi e arbusti. Quando tocca il fondo esplode provocando una densa nube grigio scuro.
L’uomo in camice non parla. Abbassa soltanto la testa prendendosi la faccia tra le mani.
Il collega da un calcio al cestino della carta straccia e poi si volge verso il monitor.
Il drone sta inquadrando la berlina bianca che fila via veloce e silenziosa.
All’entrata della cittadina verso cui è diretta, una scolaresca chiassosa e disordinata è tenuta a bada con fatica da due insegnanti. Sono diretti al museo naturalistico il cui portone aperto si spalanca proprio dall’altro lato della strada.