Premio Racconti nella Rete 2021 “Saluti distratti” di Alessandro Vaglio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021All’età di trentacinque anni, Guglielmo uccise un uomo, un sabato, più o meno verso le undici di sera. Si trovava a Lucca per un convegno di ingegneri durato fino al tardo pomeriggio. Stava male, in quei giorni. Alma, dopo cinque anni in cui non si era sentita pronta a lasciare il marito, si era finalmente separata, ma per andarsene con un altro. Guglielmo aveva scoperto che, parlando di lui col nuovo amante, Alma lo definiva “lo squallido”. Così, finito il congresso, Guglielmo, invece di tornare a Milano, si era messo a girare per le vie di Lucca senza nemmeno sapere dove andava, finendo in una via periferica, con il lungo muro cieco di una fabbrica da un lato e dall’altro un grande edificio disabitato e in rovina. Alti fanali gialli illuminavano i due marciapiedi deserti. La rabbia urlava nella testa di Guglielmo.
L’uomo era sceso da una macchina e l’aveva aggredito con insulti e parolacce. Dopo il primo stupore Guglielmo aveva riconosciuto un suo vicino di casa, di Milano. Lo conosceva solo di vista, ma la settimana prima, l’uomo aveva fatto una piazzata nell’assemblea condominiale contestando l’attribuzione di certe spese. Aveva manifestamente torto: in compenso, aveva sbraitato a lungo assurdità e volgarità. Guglielmo non ne ricordava il nome e da allora non ci aveva mai più pensato. Invece l’uomo, che si trovava per puro caso anche lui a Lucca in visita a una figlia sposata, aveva riconosciuto Guglielmo dall’auto, a centinaia di chilometri da casa, in una via solitaria della periferia. Benchè Gugliemo fosse solo uno dei presenti all’assemblea e non avesse nemmeno aperto bocca in quell’occasione, l’uomo aveva sentito il bisogno di sfogare su di lui la rabbia accumulata contro i condomini. Era sempre bilioso e irascibile, ma quel giorno aveva litigato con la figlia e il suo umore era anche peggiore del solito.
Guglielmo, che invece di norma era un uomo mite, decise che non avrebbe subito, oltre alle recenti umiliazioni, anche le bizze di un attaccabrighe; e quando l’uomo si fu avvicinato troppo e troppo minacciosamente, gli appoggiò una mano aperta in mezzo al petto e lo spinse con tutte le sue forze. L’altro perse l’equilibrio e cadde disteso sulla strada. Avrebbe potuto finire lì: e invece Guglielmo gli sferrò con precisione un calcio fortissimo alla tempia sinistra.
Guglielmo si guardò intorno. La strada era sempre deserta, sotto la luce gialla dei fanali. L’uomo aveva gli occhi chiusi e una tumefazione bluastra sulla tempia sinistra. Il sangue colava dal naso, da un angolo della bocca e sotto la nuca. Guglielmo si allontanò a passi rapidi. Sentiva una voce nella testa, una voce meccanica e sua al tempo stesso che diceva:
“Lo troveranno in una via periferica di una città che non era la sua, morto sul colpo. Non c’era nessun motivo perché io e lui ci incontrassimo qui. Non ci sono moventi che qualcuno possa immaginare. Non servirà un alibi, perché a nessuno verrà in mente di chiedermelo. Non c’è nulla che faccia capire che ci siamo incontrati.” Fu a questo punto che si disse: “Ho ucciso un uomo. Dio, ho ucciso un uomo. Proprio io.”
Le cose andarono poi come Guglielmo si era immaginato e col tempo si dimenticò dell’uomo che aveva ammazzato, anche se per diversi anni continuò ad incrociare la vedova in cortile e a scambiare con lei lo stesso saluto distratto che aveva scambiato qualche volta col marito. Solo molto tempo dopo Guglielmo, che stava per morire, confessò a suo figlio di avere ucciso un uomo, tanti anni prima, in una città di cui non ricordava più il nome. Disse che gli spiaceva, ma era tanto arrabbiato a causa di Alma, e anche lo era l’altro, per una faccenda di spese condominiali, ma aveva torto. Il figlio, che non aveva mai sentito parlare di Alma, si limitò a battergli una mano sulla spalla. Disse all’infermiera che curava Guglielmo di non lasciargli vedere troppi polizieschi alla televisione. L’infermiera era una donna sui sessant’anni che era tornata da Lucca a Milano, a vivere proprio nello stesso condominio di Guglielmo, in quella che era stata la casa dei suoi genitori. Non si era mai perdonata per aver litigato col padre proprio il giorno in cui era stato ucciso, senza avere mai più potuto chiedergli scusa per le male parole con cui lo aveva fatto uscire dai gangheri. Quando il figlio del vecchio malato uscì, si scambiarono un saluto distratto.