Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Lawrence” di Antonio Marco Miotti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Lawrence si svegliò in una camera diversa dalla sua. Gli arredi erano quasi identici, ma cambiava decisamente il colore delle pareti. Pensò che non doveva essersi spostato dal proprio albergo; al massimo aveva cambiato piano. Subito dopo si rese conto che dall’altra parte del letto riposava una donna bionda, giovane e piacente, molto piacente. Di chi si trattasse, gli era però sostanzialmente ignoto. O meglio, le sue fattezze gli dicevano anche qualcosa, ma per ricordare di più avrebbe dovuto impegnarsi, e invece in quel momento voleva solo pisciare e trangugiare un sorso d’acqua. Di sonno non ne aveva più.

Accese la TV e girò tra i canali fino a quando non gli capitò sotto mano “L’amore e il sangue” di Paul Verhoven. Beh, a quel punto i suoi problemi erano finiti: amava quel film (l’aveva visto solo un’altra volta ma lo sentiva già suo) e da sempre nutriva un debole per Rutger Hauer. Certo, il tipo si era lasciato coinvolgere anche in qualche filmaccio, ma restava un personaggio superbamente sghembo ed anomalo, o almeno lo erano le parti che solitamente recitava, e per questo lo apprezzava particolarmente. Gli piaceva anche Jennifer Jason Leigh: non una bellezza convenzionale, ma capace di trasmettere quel “non so che” che ti spiazzava. Peccato che in quella pellicola non portasse il proprio colore naturale di capelli.

Nel frattempo la sua compagna di letto stava iniziando a svegliarsi. 

Non sapeva bene cosa dirle, ma non era un gran problema. Improvvisò come al solito, e come al solito andò bene. Anche lei si appassionò alla proiezione.

Al termine del film decisero di fare colazione, ovvero pranzo, data l’ora.

Scesero al bar che stava di fronte all’albergo ed ordinarono due club sandwich. Lawrence bevve una Corona; Zelda prese invece un Long Beach, e ai suoi occhi acquistò un milione di punti. 

Zelda !  Sì: d’un tratto si era ricordato il suo nome.

Caspita se le piaceva.

La solita infatuazione ? Può darsi.

Squillò il telefono: «Lawrence, come va ? Tutto Bene ?» 

«Tutto a posto, Max.»

«Senti, ti ricordi che alle tre hai l’intervista con “Circus ” ?» 

«Cazzo, certo che me lo ricordo !». Ma ovviamente non era vero.

«…Carissima Zelda, è subentrata una complicazione: purtroppo tra mezz’ora devo essere in centro per un’intervista»  

 «Santi numi, mi dispiace. Si stava bene seduti qui…»

«A chi lo dici. E mi sarei forse bevuto anche un’altra birretta, allietato da questa brezza nonché dalla tua presenza. Beh, puoi pur sempre farlo tu al posto mio ! …»

«Potrebbe essere un’idea, ma credo invece che ne approfitterò per sgranchirmi con una mezza passeggiata.»

«In effetti la giornata è ideale per un giro a piedi. Ma di’ un po’, stasera cosa fai ?  Ti va se ci vediamo?»

«Direi che si può fare, però te ne dò conferma tra un paio d’ore, ok ?  Tra l’altro proprio oggi cambio albergo: ci mettono tutti al St. Regis, a due isolati da qui, perché dobbiamo girare delle scene al suo interno e la produzione si è fatta abbonare il pernottamento di tutta la troupe.»

«Ma pensa !  Beh, allora ti lascio il mio numero e ci riaggiorniamo.»

«Me l’hai già dato stanotte, Lawrence…»

«Ah…» .

Era in ritardo di venti minuti per l’intervista, ma in altre occasioni aveva fatto molto peggio.

CIRCUS: «Anche per questo disco avete scelto di registrare in analogico. E’ una modalità che sentite più consona al vostro stile ?»

LAWRENCE B. TRENT: «Non so se sia una questione di stile. Il nastro regala sicuramente un suono più caldo, e questo è un aspetto che apprezziamo moltissimo. Un orecchio esperto coglie subito la differenza tra i due tipi di registrazione; ma anche chi è meno allenato, istintivamente, sentirà qualcosa di più vivo in un prodotto registrato in analogico. Poi è chiaro che il nostro genere si presta molto ad un simile tipo di approccio. Se facessimo musica dance o trip hop, una strada simile avrebbe sicuramente meno senso…»

CIRCUS: «In che misura l’avere registrato a Nashville ha influenzato il disco ? Personalmente, sapendo che avete fatto una pre-produzione del materiale quando ancora eravate a Indianapolis, ritengo che lo spirito dell’album ci fosse già tutto, o quasi.»

LAWRENCE B. TRENT : «Sai, è vero che i brani erano già stati ben lavorati; devo però dire che durante la registrazione definitiva ci è capitato di ritoccare più di qualche cosa.            E credo che ciò sia avvenuto anche per via dell’aria satura di blues che ci siamo trovati a respirare lì.  Nashville è un posto fantastico: ogni sera, finite le sessioni di registrazione, ci fiondavamo in questo o in quell’ altro locale a rifarci le orecchie. C’è gente che suona anche per le strade, ed è proprio lì che ho sentito le cose più interessanti.»

La conversazione proseguì all’incirca per altri dieci minuti, dopo i quali l’intervistatore si sentì soddisfatto, al pari di Lawrence. 

Prima di rientrare all’ hotel, il musicista si fermò a far scorta di Marlboro Rosse e gomme da masticare. Capitò che il cassiere lo riconoscesse: dopo avergli fatto i complimenti per l’ultimo album, chiese se poteva avere un autografo, che fu prontamente firmato.

Quando un tipo all’apparenza in gamba ed “alternativo” mostrava di apprezzare la sua band, Lawrence si sentiva entusiasta. Pur desiderando che la loro musica raggiungesse più persone possibili, continuava ad attribuire la priorità ai fruitori più preparati; quelli realmente in grado di distinguere tra lavori di qualità e prodotti “ruffiani”.

Una volta in camera, si mise a leggere una copia di “Spin” del mese prima, di cui tra una cosa e l’altra, non aveva assaporato che un paio di pagine.

Alle cinque passò a trovarlo Julian.

«Ecco il mio batterista preferito !» 

«Vecchio zozzone, come stai ? E dove ti abbiamo perso stanotte ?»

«Sono andato via con quell’attrice, Zelda. E da cosa nasce cosa…»

«Bravo, così si fa !» 

«Eh, si… E a voi com’ è andata ?»

«Mio caro Lawrence, devi sapere che l’Olandese ha tirato fuori questa coca devastante che ci ha scompaginato tutti i programmi, regalandoci però una nottata portentosa !

Senti, lo so che è prestino, però vorrei veramente fartela assaggiare. Cosa ne pensi ? »

«Oddio, si può anche fare, ma prima beviamoci almeno un birrino…»

«Per forza, amico mio. Vuoi che andiamo giù al bar ?»

«Sì, dai: scendiamo un attimo e poi “via alle danze”…»

AL BAR DELL’ ALBERGO

«… Fino a che ora siete rimasti al club ?»

«Credo fossero più o meno le quattro. Poi ci siamo spostati in camera di Hector.» 

«E’ salito anche l’Olandese ?»

«Si, ma tecnicamente non è mai entrato: si è fermato con una tizia sui divanetti del corridoio. E quando siamo usciti non c’erano più…»

«Però !  Il ragazzo non perde tempo. Ma dimmi, cambiando discorso: per quanti giorni è che restiamo ancora qui ?»

«Dunque, fammi pensare… Suoniamo domani, giovedì e venerdì; sabato siamo invece a quella trasmissione su “Everglade Channel”; domenica giorno off, e lunedì si parte per Cherleston.»

«Mmmhh…   E domani siamo da soli o dividiamo il palco con altri ?»

«Eh, questa è una bella domanda. Non ne ho la più pallida idea…»

Prima di risalire si presero una bottiglia di Martini e una di Jameson.

IN CAMERA

«Inizio a sentire qualcosa, e direi che me ne compiaccio. Sì, carissimo, me ne compiaccio assai .»

«Ragazzo mio, aspetta che “salga un po’ di più” e vedrai.  Galopperemo !»

«Benissimo. All’assalto della carovana ! …A proposito, l’Olandese ci segue fino a Charleston o si ferma qui ?»

«Ha detto che resta con noi almeno fino a metà del tour.»

«Fantastico. Ehi, guarda quanta gente c’è in strada a quest’ora.»

«Hai ragione. Credo che nei festivi sia addirittura chiusa al traffico per agevolare lo shopping.»

«Jules, che dici se ai prossimi concerti inseriamo un paio di pezzi dell’EP d’esordio ?»

«Dico che sarebbe bello. Però bisognerebbe dare ad Hector il tempo di impararli.»

«Certo. Io gli ho già accennato il discorso, e mi pare che abbia anche iniziato a tirarsi fuori le parti.»

«Ottimo. Allora lunedì proviamo a farne uno durante il sound-check. E Gustav, l’hai avvisato ?»

«Sì. Anche lui è assolutamente d’accordo. Nel Martini ci vuoi ghiaccio?»

«Un cubo, grazie. Dimmi, hai già in mente un brano in particolare ?»

«Pensavo a “Silvia Silver”.»

«Buona idea. Direi proprio che possiamo partire da quello.»

Sniffarono altre quattro o cinque righe a testa, per poi spostarsi al Bounty Killer, un locale situtato ad un centinaio di metri dall’ albergo.

AL BOUNTY K.

Chitarrista e batterista si misero a sedere sui tavoli all’aperto, tutti affacciati su un affollato marciapiede. Ordinarono due calici di champagne; quello economico da “medie occasioni”, che però si lasciava gustare.

La conversazione si susseguiva frenetica, in linea con l’effetto della cocaina.

Ciascuno dei due parlava con grande piacere, talvolta faticando a comprendere quanto realmente dicesse l’altro, oppure dimenticando dove egli stesso volesse finire a parare.  Attaccarono anche bottone con un paio di ragazze, ma erano troppo su di giri, e in capo a pochi minuti finirono per perdere interesse. Quando poi nell’aria echeggiò un riff di chitarra di ascendenza zeppeliniana, le abbandonarono letteralmente al tavolino, se non altro in compagnia dei drink che avevano loro appena offerto. All’interno del bar accanto, in una piccola sala semi-aperta, una band di capelloni si preparava per l’esibizione notturna. E lì si erano catapultati i due amici .

«Non male questi, eh ?»

«Sì, sono belli energici. E hanno passaggi accattivanti.»

Anche il cantante ottenne la loro approvazione, che non tardarono a manifestargli di persona quando, cinque minuti più tardi, il gruppo ebbe finito il soundcheck.

Partì ovviamente un giro di birre e si gettarono le basi per un bel gemellaggio musicale.

Verso le sei chiamò Zelda:

«…Stasera sono libera. E’ ancora valida quella proposta di rendez-vous ?»

«Sicuro ! Vuoi che usciamo direttamente per cena ?»

«Mi sembra un’ottima idea. Dove ci incontriamo ?»

«Vengo a prenderti io. Se non ricordo male, sei fresca – fresca di St. Regis… Ti aspetto giù nella hall per le otto. Ok ?»

«Aggiudicato. Allora a più tardi.»

«…Aahh ! Sicchè ci abbandoni anche stasera ?!» disse con una finta aria di rimprovero  Julian.

«Eh, temo di sì… Però ad una certa ora potrei/potremmo anche raggiungervi.

Dai, prendiamo due vodke, e poi rientro in camera a prepararmi.»

HALL DELL’ HOTEL ST. REGIS

«Zelda, che piacere rivederti.»

Nessun dubbio: era bellissima. E indossava una giacca in pelle verde che era la fine del mondo.

«Ciao, caro ! E’ tanto che aspetti ?»

«Appena arrivato. Come ritardatario me la cavo anch’io…»

«Allora, dove eravamo rimasti ?» sussurrò Zelda mentre gli si avvicinava in maniera accattivante [si erano seduti su un divano] .

«Beh, eravamo rimasti… » ma fu interrotto da un focoso abbraccio da parte della ragazza, che culminò in un bacio appassionato.

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