Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Amouage” di Antonella Racanelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Gelsomino, rosa viola, lavanda, salvia sclarea, germoglio di chiodi di garofano, camomilla, cardamomo, ylang-ylang, violetta, cisto, resina di benzoino, franchincenso, patchouli, legno di cedro, legno di sandalo, castoreum, zibetto, cuoio, muschio, vaniglia, maltolo, ambra: in una parola Amouage.

Non avevo mai sentito questo nome prima di quell’inverno, non mi ero mai neanche interessata ai profumi prima che i profumi stessi entrassero prepotentemente nelle mie narici. Perché è esattamente questo che accade appena arrivati, dopo sei ore di volo e due di jet-leg nel paese che fino a quel giorno per me era stata solo una terra esotica, con le sue storie di sultani leggendari e viventi, souq con piramidi di spezie, donne e uomini vestiti da capo a piedi con tuniche inamidate e profumate, come appena usciti da un bagno di acqua alle rose e pura bellezza.

Sin dall’aeroporto il profumo era il biglietto di benvenuto: era la prima volta per me e fui travolta dall’esplosione sensoriale che mi avvolse sin dall’arrivo, un odore avvolgente che raccontava di leggende incentrate sull’incomparabile incenso e sui profumi esotici che vi nascevano. E quando pareva che le note speziate si affievolissero, eccolo ricomparire sulla giovane donna dagli occhi nerissimi che mi chiedeva il passaporto per i controlli di sicurezza. Non avevo mai incontrato persone così belle e profumate nella mia vita. Le impressioni e le sensazioni di quella prima volta, le ritrovai puntualmente in tutte le successive volte e furono tantissime quell’inverno.

I miei non erano viaggi di lavoro, né turistici; era puro piacere: avevo avuto un nipote che praticamente non conoscevo e volevo imparare ad amarlo.

Il tragitto dall’aeroporto a casa di mia sorella non era brevissimo e ancora avvolta dalla sonnolenza mattutina, cercavo di sonnecchiare per qualche minuto nel tentativo di recuperare energie e lucidità: la traversata notturna, seppur confortevole, era sempre sfiancante e mi lasciava una sensazione di piacevole intorpidimento al mattino, nonostante l’elegantissima hostess venisse a svegliarmi con una tazza di caffè bollente aromatizzato.

La strada era costeggiata di alberi di palma, attraverso i quali si poteva osservare il Golfo persico che incorniciava uno skyline futuristico ed imponente. Tra i palazzi, a ricordare che eravamo nel nuovo medio oriente, edifici firmati da archistar, che sfidavano le leggi della gravità, ostentando una magnifica opulenza che non conosceva limiti. La casa di mia sorella era stata costruita su un’isoletta appena fuori città, dove ogni palazzo componeva un tassello che nel complesso riproduceva la forma di una perla, prezioso gioiello di cui il mare era particolarmente ricco. La bellezza era accecante ma le note di quel profumo tornavamo a colpirmi, persino nella hall, tutta un tripudio di specchi barocchi e divani damascati. Mi sembra di ripercorrere con la mente, il percorso che conduceva al quinto piano, dove, dietro una porta in legno c’era mio nipote, Leo, nel suo pigiamino da supereroe, che mi aspettava impaziente. Era stato preparato al mio arrivo e malgrado lo avessi visto solo due volte prima di allora, in altre città, non era intimorito dalla mia presenza. Era cresciuto ed era bellissimo con i capelli ricci e neri arruffati sul volto. Il suo odore era quello tipico dei bambini, difficile da descrivere ed era l’unico, che riuscissi a distinguere oltre alla nuvola di Amouage che avvolgeva qualunque posto in cui mi recassi. I giorni che trascorrevo nella casa di mia sorella erano sempre e solo quattro, ma ricordo le passeggiate sulla spiaggia con Leo, il gelato che mangiavamo insieme, seduti ad un tavolino delle corniche, osservando i battelli che ondeggiavano sulle onde create dagli yacht a cinque piani. Mio nipote parlava un misto di italiano, inglese e arabo, con qualche parola di filippino imparata dalla tata, ma io e lui ci capivamo benissimo. Mi sembrava di avere una via preferenziale nella comprensione del suo mondo; percepivo la forze del legame che stavamo costruendo, sfidando i limiti geografici, anagrafici e dialettici.

Mi chiedevo spesso, se anche lui sentisse così profondamente quel profumo, era una scia calda e avvolgente che sentivo sin dal mattino, appena varcavo la soglia della nostra casa, la sentivo ovunque, nel palazzo, per le strade, quando ci passava accanto qualche autoctono, nei piccoli negozi del souq e nelle lunghe ed eleganti gallerie di negozi: nota dopo nota, evocava l’intera gamma d’Oriente. Nel corso dei mesi avevo finito con l’abituarmi a tal punto a quel profumo, da provare un senso di rassicurante familiarità, sin dal primo passo che mettevo fuori dall’aereo e l’immediato pensiero che richiamava era la vicinanza geografica con mio nipote, gli abbracci a meno di un’ora di taxi, un entusiasmo ed una eccitazione che credevo si potessero provare solo di fronte ad un’amante.

Quei quattro giorni al mese, io vivevo in un’altra narrazione: i profumi e gli odori, avevano una qualità estrema. Note di testa, note di cuore e note di fondo.

E’ trascorso molto tempo da allora. Leo, è un adolescente adesso, di quel linguaggio poliglotta è rimasto un vago ricordo, adesso parla uno slang americano che a stento capisco…è cresciuto, è un ragazzo gentile, bello, educato. Io lo guardo con gli stessi occhi con cui lo osservavo anni fa, piccolo ometto impaziente dietro quella porta di legno, unica persona al mondo per cui anche un solo abbraccio valeva il continente da attraversare. Ma oggi, non trovo più quello sguardo irrequieto e speranzoso: il bambino con i grandissimi occhi neri e i dentini con un milione di piccoli spazi tra loro, sempre pronto per un gelato, esiste solo nei miei ricordi e nelle centinaia di foto nella memoria del mio cellulare.

Ma ho conservato per me un serbatoio di piacere. A casa mia, in un angolo dell’armadio, ho una boccetta di Amouage. L’avevo comprata durante una delle nostre passeggiate e lui tra le tante esposte, aveva scelto il flacone che più lo incuriosiva, in uno dei negozi della galleria porticata. Era costosissimo, ma l’avevo trovato, il profumo che sentivo nell’aria, quel profumo che avevo imparato ad amare: il “Beloved”. Esattamente come mi sentivo io, amata e come forse doveva capire di essere lui: amatissimo. Una fragranza commissionata dal sultano illuminato, che aveva riabilitato l’antica cultura profumiera, apprendendo l’arte dei padri, sviscerando i segreti custoditi nelle antiche leggende, cercando l’incenso più prezioso, risvegliando piante millenarie e i loro aromi. Circondato da botanici e storici naturalisti e consultato il naso più famoso in circolazione, aveva chiesto di creare il profumo più prezioso al mondo.

E’ intonso il mio flacone con la chiusura in oro, non l’ho mai usato. Neanche una volta. Ma ogni tanto, nei momenti di solitudine, quando la mia nostalgia diventa consuetudine, lo prendo dall’angolo e svitando con lentezza il tappo riemergono le note di testa, le note di cuore e le note di fondo. Ne aspiro l’essenza e mi pare di rivederlo il mio piccolo Leo, il suo sorriso infantile, nei miei vuoti di felicità, io e lui stretti, le mani appiccicose di gelato alla vaniglia, sperduti per qualche ora in una terra esotica e a tratti incomprensibile, protagonisti di una fiaba che raccontavamo solo per noi. Leo tutto questo non lo ricorda più, ma a me basta qualche istante in compagnia di quella fragranza, per ritornare a quella giovinezza che pare un’altra vita e a quei lunghi weekend invernali, dove la tutta la bellezza possibile era concentrata in un abbraccio e racchiusa in una goccia di Amouage, che per me è diventato davvero, il profumo più prezioso al mondo.

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1 commento »

  1. Un racconto che scalda il cuore.

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