Premio Racconti nella Rete 2021 “#Polvere di stelle” di Simone Farello
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“Sì, a 32 anni ero finito, per questo sono diventato finto”. Avrebbe voluto rispondere così, Luca Valeri, ai tweet e ai post che gli appassionati di volley lasciavano ovunque, sui siti specializzati e sui social che annunciavano e commentavano il suo rientro.
Il passato di campione del mondo e la stima del coach gli avevano permesso di essere convocato di nuovo alle Olimpiadi, anche se aveva ripreso a giocare solo da due mesi grazie all’intervento di uno sponsor, che si era fatto carico del suo ingaggio. Se non appartieni a quella ristrettissima élite di sportivi che accumulano ricchezze smisurate, tra cui una rendita di celebrità, il più piccolo capitale di notorietà va speso durante la carriera. In quasi tre anni di reality show, prima da concorrente e poi da conduttore, Luca Valeri era diventato uno dei corpi più adorati del paese. Così, anche se il suo attacco da seconda linea non era più quello di una volta, il suo volto, i suoi muscoli, i tatuaggi sui muscoli vendevano ancora bene. Benissimo.
Ma lui voleva che quel corpo dimostrasse di saper fare ancora il suo lavoro: ricevere e colpire da posto 4, anche se fare il guitto lo aveva reso più debole. E disprezzato due volte: per i tifosi delle squadre avversarie era solo uno da irridere e fischiare quando le sue schiacciate si schiantavano sul muro, e per molti dei tifosi della sua squadra, persone che lo avevano visto crescere, che avevano pianto ed esultato con lui, era una fonte di imbarazzo.
#ValeriPerchè? #ValerRitirati
“Perché un atleta ha un ciclo di vita diverso da quello di qualunque altra persona. Esprime il massimo della propria maturità e raggiunge i suoi risultati migliori quando tutti gli altri si stanno formando, si stanno preparando alla vita. Lo sport è un’attività totalizzante e sai che ci saranno pochissime occasioni per fare la storia e poche anche per non riuscire a farla mai, solo provarci. E ognuna potrebbe essere l’ultima. Un colpo perfetto, una stoccata, una maratona, sono come diamanti: per ottenerli ci vogliono anni e anni di lavoro sotterraneo e silenzioso, e non si abbandona mai il rischio di ritrovarsi solamente con un coccio di vetro tra le mani”.
Così aveva provato a spiegarsi, in una lunga intervista rilasciata sulle pagine di un importante quotidiano sportivo. Ma di quella e delle altre risposte, sul web, non c’era pressoché traccia.
Nell’ultima partita del torneo che precedette le Olimpiadi Valeri venne schierato solo per qualche turno di servizio, nessuno decisivo. Il coach lo stimava, ma anche lui subiva pressioni, forse aveva addirittura dei dubbi, e sino a quando il martello titolare avesse mantenuto le sue percentuali per Valeri ci sarebbero stati solo quei frammenti di vergogna.
#ValeriPatetico #ValeriRidicolo
Dopo i primi tre match del girone il posto alla fase ad eliminazione delle Olimpiadi era già garantito e Luca Valeri aveva racimolato solo qualche sprazzo di partita anonima, senza alcuna lode, ma almeno senza infamia. Camminava per il villaggio olimpico, godendo dei rumori sommessi di atleti che si concentravano nel rumore bianco della tensione e leggendo sullo smartphone gli osanna per chi quel giorno era andato a medaglia e gli insulti per chi aveva tradito le aspettative.
Quando mai l’importante era stato partecipare?
Sui gradini di un bungalow era seduta Marta Plevani, che era stata la più giovane vincitrice di sempre di una medaglia nella prova in linea di ciclismo nelle Olimpiadi precedenti. Quel pomeriggio era arrivata quinta.
#PlevaniSchiappa #PlevaniFattiilLifting #PlevaniFinita
Si erano conosciuti a un talk show dove erano gli eroi giovani e belli, i campioni fashion che finalmente, secondo l’anchor woman di turno, toglievano le ragnatele all’idea che gli atleti fossero solo sacrificio ed eremitaggio. Marta aveva provato a spiegare che, per un’atleta già discriminata nei guadagni rispetto ai maschi, fare un po’ di soldi con la celebrità era “paradossalmente più facile. Possiamo sfruttare il nostro corpo semplicemente esibendolo. I maschi amano molto vedere nuda la celebrità femminile, toglierle il costume. Visto che non possono averla e toccarla, si accontentano di spogliarla. Però è umiliante, anche per quelle di noi più scafate, anche quando facciamo finta che non lo sia. Alla fine, ciò che ci si chiede è solo di essere guardate e desiderate da un uomo. Di interpretare il ruolo della donna sexy o, in alternativa, quello che la cultura predominante ci ha assegnato, l’essere mamme. Del resto i servizi fotografici quando siamo incinte, o mentre allattiamo a bordo pista o in pedana, vanno per la maggiore”.
Ma per l’intellettuale che interveniva dalla biblioteca di casa, Luca e Marta erano solo il simbolo della “perdita di autenticità. Mediocri ridotti a comprimari di una civiltà degenerata, dove i sacrifici del miglioramento quotidiano di sé non vengono ripagati dalla vittoria ma dallo smercio al dettaglio del proprio corpo. Atleti che non vivono per vincere ma che vincono per poter vivere. Persone deboli che non reggono la disciplina della fatica e dissipano sé stessi e, cosa ancor più grave, i nostri sogni! in un ozio dorato di volgare esibizione”.
Luca si sedette accanto a Marta e le disse quello che lei sapeva già: che un quinto posto alle Olimpiadi è un risultato straordinario; che chi la criticava non pensava mai quanto sia difficile non vincere ma essere sempre tra coloro che se la giocano.
Fissarono, nel vuoto, la lunghissima vecchiaia che avevano davanti.
Poi Marta parlò: “In fondo noi siamo ancora fortunati. Pensa a tutti quelli e quelle che a Tokyo arrivarono un anno dopo, quando ormai il loro momento era passato, quando l’ultima occasione sarebbe stata l’anno precedente”.
“E io sono ancora più fortunato – aggiunse Luca – gioco in una squadra e posso ancora vincere la medaglia degli altri”.
“Con gli altri”, precisò lei con un sorriso.
“Anche perché quelli che guardano i reality vogliono che rimani forte: i perdenti non fanno audience, sono solo gente che se la tira. Tu vai via, domani?”
“Quasi vorrei. Ma siamo a Parigi, ho un servizio di moda. Poi un altro impegno qui.”. Gli mise una mano sul ginocchio e gli augurò in bocca al lupo.
Al quarto set dei quarti di finale il martello titolare non riusciva più a mettere per terra un attacco e a tenere una ricezione. Entrò Luca Valeri e ne uscì solo dopo l’ace della vittoria al tie-break.
#ValeriIdolo #ValeriFenomeno
Luca pensò molto a cosa postare sui suoi account e alla fine scrisse: “A tutte quelle e a tutti quelli che arrivano quarti, quinti o ennesimi, che continueranno a sbarcare il lunario con lo sport solo per farci sognare: #proletaridellosportunitevi”.
#ValeriPremier #LaSinistraRipartaDaValeri
Il giorno dopo il trend topic era #proletaridellosportunitevi, e Marta Plovani commentava le gare di ciclismo su pista, dove avrebbe esordito quella che era considerata da tutti la sua erede. Ancora più brava, ancora più bella. Un’altra ruota nell’ingranaggio. Prima però parlarono del post di Luca Valeri, e Marta disse che aveva dimostrato la cosa più importante per tutti loro. “Che siete sempre i migliori?”, l’aveva sollecitata il cronista. “No. Che siamo veri”.
La sera pubblicò una storia sui suoi account seguiti da centinaia di migliaia di follower: “Grazie Luca Valeri per aver dato dignità a tutte e tutti coloro che hanno partecipato per vincere, ma non hanno vinto. Ma tu e la squadra vedete di portarci in finale! #proletaridellosportuniamoci #Italvolley #LucaValeri”.
In semifinale Luca Valeri ripartì dalla panchina, lasciando spazio al martello titolare, che fu eccezionale e diede un contributo decisivo per la vittoria della squadra. Luca Valeri, che entrò solo per una rotazione nel terzo set, fu il primo ad abbracciarlo, a fine partita. E fu il primo della squadra a postare: “Grande Italia in Finale! Dedicato a Marta Plovani, quinta classificata! #ItalVolley #SognoOlimpico #MartaPlovani”
#ValeriPlovaniBellissimi #LovePlovaniValeri #LucaMartaAdoro
Il giorno dopo Marta Plovani e Luca Valeri erano la coppia più commentata del pianeta. Si parlava di un grande amore e c’era chi ipotizzava che tutto fosse nato dietro le quinte degli studi televisivi che frequentavano le due star; chi invece raccontava, anche nei dettagli, il colpo di fulmine scoccato nel Villaggio Olimpico, sotto il cielo della Ville Lumière.
Il compagno di Marta chiamò per chiedere spiegazioni.
Lo sponsor di Luca chiamò per complimentarsi per il colpaccio. Erano di nuovo al centro dell’attenzione e ci sarebbero stati contratti garantiti per ancora mesi, forse anni.
Nel primo pomeriggio i due erano introvabili, i telefoni spenti, i profili social oscurati.
#Fugadamore! #Valeripensaagiocare #MartaSposalo #PlevaniVergogna
Si videro di nascosto, alla Gare Saint – Lazare.
“Perché qui?”, chiese Luca.
“Perché mi piacciono le stazioni. E adoro il quadro di Monet”, rispose Marta.
“Fa pensare agli addii”.
“Fa pensare ai viaggi”.
“Sei sempre ottimista, Marta. Ma la verità è che siamo in trappola. Siamo venuti qui per essere di nuovo degli atleti e invece siamo ancora carne da glamour. Ormai siamo solo questo”.
“Tu hai ancora una finale da giocare e vincere”, e gli sorrise.
“Il tuo compagno è arrabbiato?”
“Ci è abituato, sempre che ci si possa abituare. Ma ha fiducia in me e ci amiamo. Avremo pazienza, e passerà”.
“Sai cosa vorrei?”
“Cosa?”
“Un quarto d’ora di anonimato”.
Laura Rossi vinse la medaglia d’oro nell’omnium del ciclismo su pista. Era fortissima. Era bellissima. Marta Plovani gioì in diretta di quel trionfo. Per la nuova campionessa e, intimamente, per sé stessa: i riflettori si sarebbero spostati, e lei aveva bisogno d’ombra.
Luca Valeri non giocò nemmeno un punto della finale olimpica. Quando il martello titolare mise a terra il punto della vittoria, mentre il palazzetto esplodeva di lacrime, gioia e imperitura gloria, pensò che alla fine ce l’aveva fatta, a realizzare il suo sogno, e questo nessuno glielo avrebbe tolto.
Poi vide che la televisione nazionale intervistava il suo compagno, nominato miglior giocatore delle Olimpiadi e gli domandava di cosa provasse in quel momento. Lui afferrò la telecamera, la fissò sulla sua faccia e urlò: “Laura Rossi, ti amo! E ti voglio sposare!!!”.
Ottima messa in scena delle dinamiche legate alla celebrità, al successo e alla schizofrenia dei social. Mi piace la scelta di rappresentare queste dinamiche nel contesto dello sport, che offre la possiblità di ritrarre gli atleti anche alle prese con le sconfitte che la competizione prima o poi rende inevitabili.
Mi associo a bludirussia, davvero ottima rappresentazione della mania social di quest’epoca e il continuo assalto mediatico che giornalmente assale i vip (dello sport, nel caso specifico del racconto, ma si può prendere spunto e generalizzare). Molto spesso è un assalto cercato dalle celebrità stesse (per sbarcare il lunario o aumentare a dismisura i guadagni, dipende), ma tante volte no. E dietro ad un profilo social, dietro a un personaggio mediatico c’è sempre una persona, una persona vera.
Bel racconto, ben scritto.
Bel racconto, Ho apprezzato molto l’introspezione psicologica sotto la superficie del guscio di mondo vuoti in cui vivono i personaggi. “Fissarono, nel vuoto, la lunghissima vecchiaia che avevano davanti ” vale ” il prezzo del biglietto!” Bravo!