Premio Racconti nella Rete 2021 “Gli invincibili” di Simone Farello
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Oscar e Bruno, eroi del Beach Volley, non hanno mai accettato di essere ripresi e tutte le loro sfide hanno come unici testimoni gli avversari. Il fatto che questi abbiano sempre ammesso di aver perso, forse, li rende attendibili. Esistono solo perché sono raccontati dall’onore degli sconfitti.
Ma ora sono alle Olimpiadi ed io ho la fortuna di assistere a questa partita storica a fianco di Joao de Souza, il loro allenatore.
“Non sapevo quasi niente di loro. Li avevo visti giocare, sulla spiaggia, e battere i loro avversari uno dietro l’altro: ai miei occhi erano due talenti, con molti limiti su cui avevano bisogno di lavorare. Era tutto quello che mi bastava sapere per chiedergli di lavorare con me”.
Quella di Oscar e Bruno sembra la solita storia che amiamo ascoltare: due ragazzi che iniziano dalla strada. Solo che la strada è una striscia di sabbia a Copacabana sognata da molti turisti e dagli appassionati di beach volley.
Prima di oggi, la leggenda narrava che i due ragazzi avessero giocato centinaia di partite senza perderne nemmeno una, meritandosi il soprannome di Invencìvel. Eppure erano del tutto sconosciuti al circuito del World Tour e non avevano mai disputato una competizione ufficiale, nemmeno a livello locale. Molti pensavano che fossero pura invenzione, una leggenda metropolitana, un miraggio. Ma ora sono in finale alla Olimpiadi.
“All’inizio credevo fossero sordomuti, e che proprio per questo che il circuito non ne volesse sapere, di loro: non potevano giocare con i normodotati. Poi ho capito che il problema era un altro. Sarebbero stati un prodotto favoloso da comprare, ma Oscar e Bruno non erano in vendita, e lo dissero chiaro e tondo, perché avevano buone orecchie e buona lingua. Il fatto è che non erano abituati a guardare avanti, ma indietro. Perché è proprio lì, alle loro spalle, che alla fine dovevano tornare”.
Prima del match sono riuscito a parlare con Robert Commodor che, insieme al suo partner Richard Swift, ha attraversato più volte l’Oceano Pacifico per sfidare Oscar e Bruno: “La prima volta che li ho incontrati, ho pensato che fossero degli sbruffoni. Facevano battute liftate inverosimili, muri dove rimanevano agganciati al cielo, Pipe che non si vedono nemmeno nella pallavolo indoor. Eppure non urlavano, non si abbracciavano, niente. Sembrava una cosa contro di te, per dimostrarti che non ci potevi fare niente se non appartenevi al loro pianeta”.
Ma in Oscar e Bruno non c’è niente di sovrannaturale ed il loro enigma non riguarda un qualche patto con il diavolo. Solo il male. Oscar è stato per dieci anni vittime di abusi nella sua famiglia; Bruno ha passato tre anni in un carcere minorile dove ha subito quello che si subisce in posti come quello.
“Hanno scelto la pallavolo perché è l’unico sport di squadra dove non puoi picchiare l’avversario o esserne picchiato. Il volley indoor si gioca in troppi ed è impossibile evitare di essere abbracciati dai compagni, quindi il Beach è stata una scelta di sopravvivenza. E un antidoto contro la solitudine”. Oltre a De Souza, uno dei pochi a sapere la verità era proprio Commodor.
“Quando ci spiegarono, sono rimasto colpito, ovviamente. Commosso. Ma non ho perso la voglia di batterli”.
Se lo sono meritati, Robert Commodor e Jeffrey Swift da Aukland, di essere loro a sfidare gli eterni rivali nella finale olimpica. Sono gli unici ad aver provato così tante volte a batterli, andando in Brasile 11 volte e giocando 26 incontri, tutti persi.
Oggi è il ventisettesimo, ed il primo con un pubblico: Oscar e Bruno, Brasile, da una parte della rete, Commodor e Swift, Nuova Zelanda, dall’altra. Due coppie che si sfidano nell’ennesima rivincita. Chi non ha mai perso. Chi non ha mai vinto.
Ma nello sport la parola mai è sempre provvisoria: c’è solo chi non ha ancora perso e chi non ha ancora vinto.
Oscar e Bruno dopo un punto esultano solo guardandosi, con un linguaggio che solo loro possono capire. Interpretano il Beach come una capoeira. A volte sembra che non tocchino nemmeno il pallone. E quando conosci la loro storia sai che il segreto è proprio quello: il modo in cui toccano senza toccare. Un segreto che, come tutti i segreti, è un velo.
Commodor e Swift, quando segnano si danno il cinque, si incitano a gran voce. Sanno di essere come Ettore di fronte ad Achille. Il mortale contro l’immortale. Ma ogni immortale ha un punto debole.
Il primo set è un lungo testa a testa, poi, due muri consecutivi di Swift scavano un piccolo solco che diventa incolmabile, sino al 21 a 18 conclusivo. Con grande sorpresa, gli australi sono in vantaggio. Non c’erano mai riusciti prima.
A questo punto il pubblico, inizialmente schierato a favore dei brasiliani, si divide equanime tra coloro che parteggiano per gli outsider e quelli che sperano di assistere al primo ritiro da imbattuta di una coppia in tutta la storia del Beach Volley.
Ma la magia è quando i tifosi smettono di trepidare per gli uni o per gli altri ma, semplicemente, per la bellezza pura del gioco. Per la sua incertezza. Non per Troia o gli Achei, ma per l’Iliade.
Nel secondo set Oscar e Bruno reagiscono immediatamente portandosi sul 3 a 1. Un vantaggio che resiste sino al 21 a 19, con nessun errore nella fase di cambio palla: un equilibrio mai visto, una danza che rasenta la perfezione.
Forse è questa la perfezione, nello sport: l’attesa, infinita, della fine.
Il tie – break inizia con una fuga degli Invencìvel, che si portano sul 6 a 2. Ma proprio quando tutti pensano ad un epilogo largamente annunciato Commodor e Swift costringono gli avversari a cedere cinque punti di fila. Oscar e Bruno reagiscono a questo affronto con la stessa compattezza e la stessa imperturbabile sintonia che riservano alle loro sequenze positive, riportandosi in vantaggio 8 a 7.
Da questo momento la partita si trasforma in una trama esistenziale, in una sfida all’unica certezza concessa agli uomini: la mortalità.
Quel punto di vantaggio, insufficiente a decretare un vincitore, resta invariato sino al 15 a 14 prima, sino al 21 a 20 poi, sino al 35 a 34 ancora.
È la partita più lunga di tutti i tempi. Non accenna a finire, nemmeno quando si devono accendere i riflettori sul campo; nemmeno dopo le pause concesse dall’arbitro per evitare che i giocatori stramazzino al suolo.
Sul 45 a 44 anche il pubblico è esausto per la tensione nervosa, ma nessuno si muove, ed ogni punto è un boato collettivo.
Sul 51 a 50 Commodor segna un ace. Parità. Forse tutto dovrebbe finire così. Ma il Beach Volley ammette l’infinito, non il pareggio.
Commodor forza la battuta, Oscar riceve, Bruno alza e Oscar schiaccia verso l’incrocio delle linee di fondo. Un granello di sabbia, solo uno, oltre quel confine. 52 a 51 per i neozelandesi, di nuovo in vantaggio, ad un punto dalla vittoria e dalla prima sconfitta degli Invencìvel. Sul servizio successivo Bruno riceve un po’ troppo corto, costringendo Oscar ad arretrare per palleggiare mentre Swift prende il tempo del muro.
53 a 51, Nuova Zelanda campione olimpico.
Quanta gioia ci può essere in un semplice attimo? Non possiamo saperlo. L’unico specchio che può rifletterlo è la tristezza che c’è dalla parte opposta della rete, dove il pallone è per terra, ben dentro le linee e lì rimarrà.
Commodor e Swift alzano le mani al cielo, si rotolano nella sabbia, corrono tutto intorno al campo, tentando di prolungare quell’attimo, sapendo che non durerà mai abbastanza.
Si ricordano che devono andare a salutare l’arbitro e gli avversari. Danno la mano al primo e si preparano all’inchino con cui si erano sempre congedati da Oscar e Bruno, che non potevano essere toccati.
Ma mentre stanno per farlo, inchinarsi finalmente da vincitori, i due brasiliani porgono le mani e non solo vogliono stringere le loro, ma dopo la stretta si avvicinano e li abbracciano, tenendoli stretti, tenendosi stretti.
I vincitori sono felici.
Gli Invencìvel sono liberi.
Bella la storia degli Invencìvel, un misto fra demoni misteriosi dei manga ed eroi di strada dalle pagine di Black Jesus. La partita incerta fino all’ultimo granello di sabbia rende il racconto avvincente fino in fondo, e il finale chiude ottimamente la parabola degli Invencìvel.
Bello e coinvolgente fino all’ultima riga, complimenti!
Molto bello, avvincente!
Bella questa storia. Travalica lo sport di cui comunque fa un’avvincente descrizione. Molto bello il finale, in cui per una volta vincono tutti.
Grazie, Davide!
Grazie mille, Luca!
Grazie per il commento, Laura.
Il racconto nasce come il “nocciolo” di un romanzo, che spero un giorno di sviluppare, dove lo sport non solo come metafora ma come ‘campo di prova umana’ dovrebbe essere
ancora più approfondito.