Premio Racconti nella Rete 2021 “Il labirinto degli specchi” di Simonpietro Spina
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Di là era già passato, no, di là era impossibile. Un errore, doveva essere un errore. Che fosse invece dalla parte opposta?
Le immagini, tutte uguali eppure tutte distorte, tutte sformate, s’inseguivano fra infinite pareti di specchi; a perdere l’orientamento gli ci volle poco. Riconosceva sé stesso in quelle rifrangenze, ma difficile era dire con certezza che si trattasse proprio di lui. Da che l’agitazione iniziò ad avvolgerlo, come un rampicante attorno ad un sostegno verticale, aveva preso a correre in preda alla disperazione. Sfrecciava fra i vicoli aiutandosi con le palme delle mani nell’atto di svoltare: ansimi angosciosi di ricerche affannose attraversavano i torti corridoi; echi alieni anticipavano il suo passaggio. Ad ogni svolta, un nuovo corridoio uguale al precedente; poi, ogni tanto, una figura di persona si rifletteva in senso opposto al suo e infilava una stradina, finendo inghiottita in quel gioco di specchi.
Intanto scavava nella memoria e sempre più vi annaspava: come fosse arrivato fin lì fu il primo suo pensiero, il primo che strinse, il primo che lasciò andare. Appresso venne il dubbio di sapere chi fosse, se avesse un nome ed un passato: caduto anche quello. Proseguiva in quella corsa e intanto consegnava all’oblio ogni domanda priva di risposta. Gli altri, poi, erano assenti: emergevano ogni tanto frammenti di relazioni lontane, impossibili a pensarci, perché le ultime immaginate sconfessavano, a un uso rigoroso della ragione, le precedenti. Impossibile era infatti che fosse figlio di suo figlio, padre di suo padre, zio di un suo zio e nonno di un uomo che era il suo stesso nonno. Strano era, soprattutto, che non sapesse dire della sua età, neppure a larghi giri: più esattamente, era strano che non fosse in grado di dirsi vecchio o adulto o giovane o infante, come non avesse avuto mai alcun termine di paragone, come non avesse veduto mai altri simili suoi e non conoscesse altri volti che il proprio. Ma il suo era poi un volto conosciuto? si conosceva, lui?
Di nuovo, quella figura riflessa di persona si presentava in lontananza, sparendo dietro un angolo. Ora era più vicina, poteva forse raggiungerla e vi provò: si dileguò, però, svelta, dietro luccichii stordenti. Ne approfittò allora per riprendere fiato. Piegato in due per la gran corsa, si vide, una volta di più, riflesso con singolare nitidezza. Scrutò bene i contorni del viso: non capiva. Una mano, caricata di esitante necessità, ebbe il compito di scandagliare la carnosa consistenza e scoprire, forse, da quanto tempo quella carne fosse carne viva.
Con fulminea rincorsa, un’altra volta, una presenza familiare, pure se oscura, sfrecciò alla sua destra per un breve istante, percorrendo il corridoio perpendicolare al suo: si voltò d’istinto a guardarla; non ne ebbe il tempo, che, dalla sinistra, attraverso il corridoio parallelo, sul lato opposto, un’altra figura corse via veloce. Poi, come non fosse già abbastanza snervante sapere di non essere il solo a inseguire non si sa chi non si sa perché, accadde un fatto impossibile.
Due altre figure, ancora nuove, gli corsero incontro: quella dietro inseguiva quella avanti ed entrambe venivano verso di lui. Venivano avanti con la massima energia e nel correre, come velocisti in assetto da gara, avanzavano a testa bassa, quasi dovessero guadagnare centimetri in vista del traguardo. In un attimo, gli furono addosso: il primo, l’inseguito, scivolò oltre e scappò via; il secondo, l’inseguitore, lo travolse e proseguì la corsa. Nello scontro, l’uomo senza età cadde a peso morto, urtando con le spalle la parete, cosicché il vetro s’infranse. Il colpo esplose alcuni proiettili acuminati e uno, uno guidato dal destino, schizzò in avanti, ferendogli una guancia. Voltatosi, vide l’immagine di sé scomposta in mille triangoli deformi, che convergevano al centro dello specchio, devastato dall’urto. Un coccio affilatissimo era a terra, scintillante e attraente come un’opportunità.
Pensò a quel punto di praticarsi un taglio al centro della mano: il sangue, come inchiostro, gli avrebbe reso possibile marcare i corridoi già percorsi, forse consentendogli di trovare una via d’uscita dal labirinto. Incise allora la plica palmare che costeggia l’eminenza tenar, quella che nella chiromanzia rappresenta la linea della vita, la simbolizzazione dell’energia vitale dell’essere umano. Una lieve pressione fu sufficiente e subito vide sgorgare una stilla salvifica: accostò quindi a un vetro il palmo aperto della mano e appose, con solennità, il primo segno del suo passaggio.
Era pronto a proseguire, così si avviò verso lo sbocco più vicino del corridoio: lì, passi rapidi s’inseguivano, divenendo via via più vicini; attese in agguato, nascosto dietro la svolta del muro, l’orecchio teso e accostato alla parete. Sentì i passi avvicinarsi, ormai vicinissimi e, giudicando propizio il momento, si fiondò alla cieca su quel corpo in movimento: lo afferrò per le caviglie ed entrambi, lui e l’altro, precipitarono orizzontali sul pavimento, lui aggrappato a lui; lottavano. L’uomo tentò di liberarsi, si voltò e ad entrambi si offrì la vista del proprio rivale. Negli occhi dei due, l’immagine riflessa (identica nella sostanza, diversa nei segni lasciati dal tempo) di un unico volto: l’uno era uguale all’altro, l’altro era solo più vecchio. Nel vedere sé stesso più grande, lo assalì un moto di orrore: la vigoria della presa si esaurì e il vecchio sé, liberatosi, si rialzò e prese a fuggire. Ogni invocazione fu vana, un inutile spreco di fiato.
Subito sentì correre dietro di sé: dalla parte opposta del corridoio, un uomo, che era lui stesso più giovane di una decina d’anni, si era fermato a riprendere fiato e lo osservava: negli occhi aveva la foga del predatore, la scintilla omicida di un animale che punta una preda ferita, stesa in terra e vulnerabile. Dalle sclere oculari dell’uomo emergevano in rilievo venature sanguinee e, se prima il Nostro inseguiva, ora comprese che doveva fuggire: il sé stesso più giovane era certo più agile e atletico di lui. Doveva quindi alzarsi e correre: ora o mai più. Di nuovo, una fuga isterica si aggiunse alle molte altre in corso per le vie del labirinto. Dall’alto, sorvolando quel monumentale dedalo di cristalli, scopriamo la verità del labirinto degli specchi: infinite copie dello stesso uomo rinchiuse e obbligate a scontare la vita, gemelli asincroni, come singoli fotogrammi di uno stesso film, uno per ogni istante della medesima esistenza vissuta, ed uno, uno pure per ogni istante di ogni vita ipotetica, di tutte quelle vite, cioè, rimaste in potenza. Erano, in quel labirinto di specchi, tutti insieme infiniti frammenti di infinite vite, così che, noi stessi, non possiamo non chiederci quante vite possibili stiano mai in ogni vita possibile.
Scritto molto bene e veramentte intenso, esprime perfettamente il tormento dell’esistenza