Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Mostrati, Homo!” di Simonpietro Spina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Portava il capo sempre rivolto verso il basso e se ne andava in giro trascinandosi dietro un’aria eternamente sconsolata. Siro aveva, incrostati su ogni lembo di carne, uno ad uno tutti i suoi sessantaquattro anni, uno per ogni quadrato di scacchi. E sempre lui, Siro, aveva, celato negli occhi, un segreto d’infinito. Mai nessuno che lo incalzasse per dirgli un che, né di bene né di male, né di cortese né di villano, e lui mai che si fermasse ad attaccar discorso e domandare, se non lo stretto e sempre a testa bassa. Alcuni più affabili o audaci vi avevano tentato, s’erano inoltrati in quelle profondità, ma ne erano emersi con un’espressione assente e inebetita, immobili come statue di sale o piuttosto pietrificati come chi s’è specchiato negli occhi di Medusa. Questi se ne andavano da quel giorno con un’aria vuota, irriconoscibilmente trasformati. Da allora, nessuno più s’era azzardato a rivolgergli un saluto, al punto che in certe botteghe gli venne negato di entrare e, in quelle che ancora gli davano accoglienza, tutti gli si tenevano a distanza e mai lo si guardava direttamente. Uomini e donne, al suo passaggio, si voltavano dalla parte opposta e, minuscoli, si nascondevano dietro a scudi di mano, mentre alcuni, più prudenti, si davano a fuggire o cambiavano strada. I bambini, dietro materne e paterne raccomandazioni, guardavano altrove e perfino i cani piegavano indietro o sparivano in vicoli riparati. A quel tempo, mi rifiutavo di dar credito alle molte storie che circolavano, le credevo niente più che sciocche superstizioni. Certo era che nessuno, me compreso, avrebbe potuto negare come fosse strano che tanta gente, dopo aver appena incrociato il suo sguardo, avesse mutato per sempre espressione. Avevano tutti perso la loro sostanza interna, come frutti di sola scorza, svuotati della propria polpa.

Un giorno, mi convinsi che avrei dovuto sfidarlo e così feci. Nessuno in città osava mai incrociare il suo sguardo, né lui mai si offriva agli sguardi altrui. Avrei dovuto, allora, farmi sfrontato e cafone: sollevargli, con tocco lieve e due dita appena, il mento in su e affrontarlo, gli occhi miei tuffati nei suoi; così avrei visto finalmente quali cose segrete decantavano da sempre in quel pozzo d’anima solitaria.

Un mattino, poiché per compiersi certi destini non hanno di meglio che il mattino, lo vidi uscire, oscuro e ricurvo, dalla bottega di un calzolaio. Infilzai allora le suole con forza ad ogni passo, come a caricarmi interamente di un fare deciso, e nel mentre dirigevo verso di lui. Procedeva lento, cautamente impegnato ad evitare collisioni, perché il capo guardava solo in terra e gli occhi, più in alto di un certo limite, non potevano sapere quel che vi fosse lungo il percorso. Andavo infilzando i piedi come rompighiaccio nel terreno, quand’ecco che lo ebbi a tiro di sguardo. Lo intercettai in quella sua traiettoria cieca e mi piantai, ritto e massiccio, innanzi a lui. Tesi dunque il braccio in  avanti: non pensò neanche ad ostacolarmi. Raccolsi sulla punta di due dita l’intero suo volto: da sotto il mento, lo avevo tutto sui polpastrelli appaiati di indice e medio. Comandai, infine, a quella barra meccanica che era il mio braccio di levarsi; con voce ferma, recitai queste esatte parole: «Mostrati, Homo

Fu tale e penetrante la forza di quel gesto e di quel verbo, che lui stesso m’agevolò; in breve, fui perduto. Ahi, cosa vidi! In uno sguardo di poco, durato meno di un’occhiata fuggente, quasi neanche un istante, tale che potesse concludersi e dirsi finito, vidi il Tutto che è mai esistito: vi vidi tutte le storie del mondo. Preso da una stretta di mano maestosa, che interamente mi cinse in una morsa poderosa, sentii svuotarmi le viscere e le membra, risucchiato in un plasma evanescente: entro quelle sfere infinite, fatte solo sclere candide, nessun’iride, nessuna pupilla. Finì, in breve, che ogni parte cosciente di me fu dentro di lui, incanalata attraverso il suo sguardo, ed io mi persi in un oceano di anime fluttuanti.

Il mio nome mortale è Siro e ho dentro di me tutte le storie di chi m’ha mai guardato, di donne e di uomini, di umani, di gatti e di cani, della più microscopica creatura e d’ogni altra presenza mai incrociata. Vivono, dentro di me, tutte le loro coscienze ed è un tale tormento, per un uomo soltanto, averne di anime così innumerevoli dentro di sé, che da anni ormai mi volgo al suolo e fuggo ogni sguardo. Questa, infine, questa che avete letto, è la storia, narrata da lei stessa, dell’ultima coscienza che ho rimosso dalle sue umane spoglie e che si esprime su carta per mio mezzo.

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3 commenti »

  1. Per certi versi mi ricorda i racconti di Borges, in particolare l’Aleph. Decisamente originale.

  2. Ho trovato questo racconto davvero molto particolare. Ricercato nello stile, evoca miti e leggende ormai dimenticati. Molto bravo.

  3. Il tuo racconto è veramente particolare..lascia un senso di dolore ma come un bel quadro astratto ti emoziona ponendoti più interrogativi! Complimenti!

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