Premio Racconti nella Rete 2021 “Sei il mare” di Francesco Audino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Sono di fronte a una bistecca al sangue. Ne mangio un boccone con gusto e l’annego nel vino. Sotto il balconcino del ristorante si stende il lungomare di Anzio, un tappeto di sabbia bagnato dalle onde placide. Al tavolo si ride e si scherza: la prima dello spettacolo è andata bene. Strano a dirsi, stasera anch’io sono soddisfatto, perciò volgo lo sguardo al mare e assaporo la mia carne.
Proprio di fronte a quel mare, il giorno dopo, incontro una ragazza. Non sono il tipo da rivolgere parola a una sconosciuta, ma c’è qualcosa, nell’immagine di fronte cui mi trovo, che mi colpisce. Coi capelli scuri che ondeggiano nella lieve brezza, questa ragazza siede sulla sabbia, i piedi scalzi lambiti dall’acqua che va e viene, e attorno al collo un foulard color pesca.
Questo è uno dei dettagli che mi colpisce: l’aria è leggera, è giugno e fa piuttosto caldo, e la ragazza indossa maniche e pantaloni corti. Quel foulard è buffo. Passandole vicino, poi, sento la sua voce, un mormorio appena, che sembra intonare una canzone tra sé. Non capisco le parole, che dalla cadenza mi sembrano francesi.
“Et la gloire, et les gros sous, feront voyage dans nos sillages
Vent arrière ou vent debout, nous les ramèneront avec nous.”
Senza pensarci mi fermo; la ragazza lo nota e si gira, smettendo di cantare. Allora, un po’ divertito, le dico “pardon”.
Lei mi guarda negli occhi per un po’. “Non ti ho già visto?”, mi chiede.
“Forse a teatro. Ma non ieri sera, travestito da Calibano.”
“Sì invece”, dice lei e si alza. “Eravate tutti molto bravi.”
La ringrazio. È il mio primo spettacolo con questa compagnia di professionisti, un vero trampolino di lancio per un attore giovane come me. Ma non è questo che mi passa per la testa adesso: osservo di rimando gli occhi di smeraldo di questa ragazza, incantato dalla sua voce e da come i suoi capelli le svolazzano irriverenti davanti al viso come seducenti tentacoli.
Si chiama Greta. La invito a prendere un caffè.
È evasiva per natura, mentre io mi ritrovo agganciato all’amo dei suoi occhi, delle sue labbra. Ci scambiamo i numeri, ci rivediamo.
Non so di preciso dove abiti o cosa studi. Dice di andare all’università. I nostri incontri sono piacevoli, e scopro che con lei posso aprirmi a qualsiasi conversazione; che non incontro quella resistenza che spesso mi fa stare zitto di fronte agli altri. Eppure c’è qualcosa di lei che mi impensierisce, ma non riesco a capire cosa.
Le ho chiesto più di una volta perché indossasse scialle e foulard. Le prime volte buttavo giù la cosa in modo scherzoso, poi l’ho posta come una domanda seria, ma Greta non ha voluto rispondermi. A volte ho paura che continui ad accettare di vederci solo perché sono l’unico che conosce qui ad Anzio.
Decido di invitarla a casa mia. Per l’occasione ho cucinato una cena – non molto caratteristica, visto che non mi piace il pesce, ma penso di poterla ritenere almeno buona.
Dopo mangiato ci accomodiamo sul divano davanti a un film. Greta, forse complice il vino, si scioglie più del solito. Appoggia la testa sulla mia spalla e chiude quei suoi begli occhi.
Io ne approfitto per toglierle il foulard. Mentre lo sfilo mi sento come se la stessi spogliando della biancheria. Un po’ a scoppio ritardato, Greta si copre il collo con le mani, ma gliele prendo e le sposto dolcemente.
“Non voglio che mi guardi”, mi dice.
Per qualche momento non riesco a rispondere. Sulla parte superiore del suo collo, sotto la mandibola, la pelle liscia di Greta si apre in due tagli sottili, che creano piccole grinze tutt’attorno. Per un istante mi sembra di vedere le fessure muoversi insieme al suo respiro.
Cerco di sfiorarla con un dito, ma lei si alza in piedi e si allontana.
Scatto su anch’io. “Aspetta. Ti prego.”
Restiamo così, con la luce mutevole della TV che disegna le nostre ombre sul muro e il sottofondo di un film che scorre senza pubblico. Mi avvicino a lei come si fa con un animale impaurito, e in qualche modo, mi rendo conto, questa situazione mi rende ancor più attratto da lei. Le accarezzo i capelli mentre mi tiene d’occhio, quasi potessi farle del male. Poi scuote la testa.
“È meglio se non mi cerchi più”, dice.
Ho paura di chiederle perché, o cosa siano quelle fessure che si copre. Le prendo la mano con cui mi ha scansato, lei mi lascia fare. Distoglie lo sguardo ma non se ne va.
Mi avvicino e le bacio la guancia. Poi la bacio di nuovo, sempre più vicina alle labbra, finché le trovo, morbide e salate, e torniamo sul divano. Appena mi tolgo la maglietta lei torna a baciarmi, stringendomi un labbro tra i denti. Quell’improvvisa ferocia mi fa sorridere, e rispondo spingendola giù sui cuscini.
Le sue dita si fanno strada tra i miei capelli, le braccia s’intrecciano dietro la mia nuca. Intanto io la cerco con la mia mano, le sbottono i pantaloni e m’infilo sotto l’orlo delle mutande. La trovo e inizio a sfregarla, ma subito Greta emette un sibilo di dolore e scatta a prendermi il braccio.
“Scusa, ti ho fatto male?”
Si riabbottona i pantaloni. Non ho bisogno che parli per accorgermi che la risposta è sì. Già mi ritrovo a pensare a come salvare la serata quando mi prende un braccio e mi dice “vieni”, trascinandomi in bagno.
Apre l’acqua della vasca. Non si preoccupa nemmeno di farla uscire calda. Quando le chiedo cosa voglia fare non risponde. Mi sfiora e mi bacia come se fremesse dal desiderio. Quando la vasca è abbastanza piena si spoglia senza vergogna e si immerge fino al collo, fino a quelle fessure che ha sotto le mandibole… e poi con tutto il viso.
Mi spoglio anch’io e resto a guardarla. Sento solo i suoni confusi della TV che è rimasta accesa di là, e mi chiedo se non siano passati già due minuti interi, forse tre. Mi sembra di guardarla da ore, ipnotizzato dal suo corpo nudo reso indecifrabile dalle increspature dell’acqua.
Tre minuti. Mi rendo conto che non è normale. Infilo le braccia nell’acqua fredda e la tiro su. Lei riapre gli occhi e respira come se niente fosse. Allora mi accorgo che i tagli sul suo collo respirano per lei. Sono branchie.
Prima che possa dire qualcosa mi prende e mi trascina nella vasca. Appurato che stavolta non le faccio male, mi abbandono al piacere.
Quando si riveste, si rimette il foulard prima ancora dei pantaloni. Essendo buio mi offro di accompagnarla a casa, così magari scopro anche dove abita. Declina gentilmente. Ci salutiamo con quello che a me sembra leggero imbarazzo, eppure Greta non mi è parsa vergognarsi del suo corpo neanche quando avevamo già finito e io la guardavo rinfilare gli abiti.
Così capisco che ci dev’essere qualcos’altro. E ne ho presto la conferma, quando smette di rispondere ai miei messaggi. Mi chiedo se ho sbagliato qualcosa o se fosse inevitabile. Forse avrei dovuto capire dall’inizio che non voleva esporsi troppo, qualunque fosse il motivo, e che con me aveva superato un limite che preferiva non oltrepassare.
Così torno a concentrarmi su altro. Chiudo gli occhi durante la lunga preparazione che richiede alla coppia di truccatori della compagnia per rendermi un mostruoso Calibano, le cui battute ora mi suonano cattive in bocca. Alla fine dello spettacolo l’interprete col ruolo di protagonista mi chiede se ho qualcosa per la testa. Con me è gentile, ma mi infastidisce pensare che possa avermi giudicato meno bravo del solito. Devo darmi una svegliata.
La lascio andare.
I giorni passano, la mia serata con Greta diventa un piacevole ricordo. Più piacevoli, e che riaffiorano con più malinconia, le giornate precedenti, in cui mi sembrava di avvicinarmi sempre di più, anche se di un millimetro alla volta, a quella splendida ragazza incontrata in spiaggia. Il motivo per cui mi ossessionasse così tanto è per me un mistero. Certo non ho dimenticato le sue branchie, e non manco di pormi domande su di esse giorno dopo giorno. Ma non sono solo quelle a trattenere il mio pensiero.
Negli ultimi giorni, percorrendo il lungomare, ho sempre sondato la spiaggia con la coda dell’occhio, ma non l’ho mai rivista. Forse se n’è andata.
Dopo la replica dello spettacolo il cielo riversa su Anzio una pioggia torrenziale. Mi copro con la giacca leggera senza cappuccio e corro. Ma a un tratto mi fermo.
Oggi c’è. Una sagoma buia nel temporale, seduta sul bagnasciuga a mirare il mare mosso. Salgo sul muretto e salto giù nella sabbia bagnata. Due passi e le scarpe sono impiastrate. La chiamo. Si gira.
Si alza.
“Che ci fai qui?”, le chiedo.
“Guardo il mare”, risponde. Ancora una volta mi ricorda un animale impaurito, le mani leggermente distanti dal corpo, quasi fosse pronta a scappare da me.
Mi cerco nella coscienza, ma mi dico che non le ho fatto niente di male.
Mi avvicino. “Perché sei sparita?”
“Perché mi piacevi.”
“Allora è illogico.”
“Fidati, non lo è.”
Sono davanti a lei. Le nostre voci sono alte per sovrastare la pioggia. Le prendo le mani, vedo che respira in modo concitato. Mi guarda il viso, la pelle, la bocca.
“Vattene”, mi dice. “Vattene, o me ne andrò io.”
“Voglio capire, Greta. Perché fai così. Chi sei, dove vivi.”
Insisto. Lei cerca di andarsene, di allontanarmi, ma alla fine ci ritroviamo vicini. La bacio. Riconosco il suo modo di fare: ha deciso di non resistere al suo desiderio. Mi prende, sempre baciandomi, e mi trascina verso il mare. Finiamo tra le onde; all’inizio rido.
Un momento siamo sott’acqua, l’altro emergiamo e la pioggia mi batte sulla schiena. Siamo in balia della corrente, ma non ci importa. Lei sembra a casa.
Poi andiamo giù, sempre più giù. Apro gli occhi e vedo le sue branchie respirare per lei. Le sue mani sono avvinghiate dietro di me, mi trascinano nell’acqua più nera. Le prendo i fianchi e cerco di allontanarla.
Non riesco nemmeno a staccare la bocca da lei.
Comincio a temere per il tempo che ci vorrà a tornare in superficie quando scorgo delle figure muoversi tutt’attorno. Sgrano gli occhi e riconosco gambe sottili, chiome di capelli galleggianti, occhi bellissimi. Seni nudi e sussurri. Come fanno a parlare?
“Ha portato un uomo.”
“Presto, prima che se ne accorgano!”
Urlo per il dolore. Greta mi ha morso. E torna ad attaccarsi alle mie labbra. Sul suo viso scorgo la vergogna, il dolore per ciò che mi sta facendo, ma contemporaneamente lo trovo trasformato dalla brama di qualcos’altro. Ora lei ha il sapore del mare e del mio sangue.
Le altre ragazze, tutte come lei, mi accerchiano e mi addentano. Il dolore mi fa gridare anche se non ho più ossigeno. Voglio solo svegliarmi.
Negli ultimi istanti sento i gemiti di piacere delle creature, assuefatte alla mia carne e al mio sangue come da una droga. I loro volti bellissimi assumono espressioni mostruose. Me ne vado col pensiero colmo di rabbia che devono essere la feccia della loro società, qualunque essa sia.
Me ne vado riconoscendo il profilo di Greta, che è la prima a fuggire lontano, forse per paura di essere scoperta in quell’atto blasfemo; o forse per la vergogna di avermi portato qui.