Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “L’aula di scienze” di Gabriella Bertizzolo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

I raggi di un timido sole si riflettevano sulle vetrine stracolme di vasi, vasetti, flaconi, barattoli di vetro posti nei ripiani. Nell’aula di Scienze dell’Istituto Tecnico “Enrico Fermi” i diciannove alunni della quinta D aspettavano le consegne della loro saccente quanto bizzosa insegnante.

   «Luigi, Mattia, Fabio e anche tu, Omar, preparate l’apparecchiatura per la distillazione a pressione ridotta!» intimò seccamente la docente, una donna goffa con due enormi seni cascanti e un viso rugoso in cui due occhietti vispi riuscivano a trafiggere gli alunni dietro un paio di spesse lenti. Era solita intercalare il freddo linguaggio scientifico con vivaci motti latini straziati in grossolani costrutti. Ne risultava una sorta di allocuzione dotta e patetica al contempo.

    «Voi – aggiunse rivolgendosi verso il gruppo misto più numeroso – compilate a puntino questa tabella sui diversi processi di distillazione. Mi raccomando, fate riferimento agli stati di aggregazione della materia, e non dimenticate la legge di Henry! Potete formare due sottogruppi di cinque» disse consegnando il formulario. L’improvviso boato di un tuono la fece guardare in direzione del finestrone centrale: gli ultimi sprazzi di sole filtravano tra le piccole nuvole sfrangiate, bianche e rosa, foriere di pioggia. Sospirò avvicinandosi al terzo gruppo.

  «Ecco un lavoretto anche per voi» sorrise in tono ironico, rivolgendosi alle cinque rimanenti allieve.

 «Iniziate a fare l’inventario dei minerali, delle rocce e dei fossili, la vetrina è quella in fondo lì» intimò con le labbra arricciate, indicando col dito.

   «D’accordo, prof, però ci dà tutte due le ore, vero?» chiese Elisabetta.

   «Sì, ma fugit invidia hora.... mettetevi subito al lavoro, ecco le cartelle per l’inventario»

Dell’ultimo gruppetto faceva parte anche Marta, una ragazza dal viso ricoperto da una miriade di efelidi in cui brillavano due occhi verdi smeraldo. Una cascata di ricci castani sgusciava dalla bandana variopinta.

   «Io e Barbi facciamo i minerali, Marta e Sonia i fossili… Betty, sei da sola, ma incomincia a fare le rocce, ok?» disse con voce decisa Ludovica, quella più androgina del gruppo col seno piatto e i capelli cortissimi.

   «Va bene, però scrive Ludo che ha una grafia bellissima» disse Marta.

   «Uffa, solo questa volta!» replicò Ludovica aprendo la cartella.

La professoressa tornò alla cattedra e le ragazze si suddivisero.

   «Marta, scendo a prendere l’astuccio» disse Sonia con uno strano sorrisetto. 

   «Ehi, Sonia, non è che per caso ti trovi con Mauro, vero?»

    «Sst! – le fece eco la ragazza guardandosi intorno – zitta che non ti sentano! Dobbiamo trovarci al piano di sotto fra cinque minuti. Ho corrotto Giorda! Poi ti racconto» le bisbigliò all’orecchio con voce eccitata.

  «Povero bidello, ci casca sempre! Mi raccomando, fa’ attenzione!».

  «Marta, se passa la prof, inventa una scusa, una delle tue» disse Sonia, allontanandosi.

In prossimità della parete in cui erano allineate le tre teche, una vetrina impolverata aveva catturato l’attenzione di Marta. Mentre le compagne univano i banchi, si accostò al mobile il cui interno traboccava di vasi, bottiglie, flaconi, barattoli di varia misura riposti negli scaffali. Incuriosita, si assicurò che nessuno la stesse osservando, girò la chiave, aprì le due porte e allungò il viso per scoprire cosa contenessero quei recipienti. Nelle mensole inferiori c’erano semi, germi, grani, granelli, foglioline di varie tipologie vegetali. Nei ripiani al centro e in quelli in alto riconobbe gli embrioni e i feti di varie specie animali immersi nei liquidi di conservazione. Si mise istintivamente a osservare le minuscole chiocciole, i serpentelli, le piccole larve, le grigie volute immobili, intrappolate per sempre nei contenitori. Forse qualcuno era ancora vivo, ipotizzò infantilmente, mantenuto in vita dal miracoloso liquido, e col fiato sospeso provò a controllare se qualche larva si muovesse. Un’indefinita quanto penosa sensazione si era insinuata in lei mentre scorreva con gli occhi le diciture delle etichette. Un recipiente un po’ più grande degli altri posto in fondo allo scaffale centrale aveva attirato la sua attenzione. Sfregò il vetro con il dito per togliere la polvere e vide galleggiare la sagoma di una specie di gambero dotato di due enormi sfere oculari e terminante con una sorta di pinna spiraliforme. Mentre con la coda dell’occhio cercava di anticipare la decifrazione della didascalia, un’altra parte di lei esitava e tendeva a sottrarsi. Tenendo con la mano sinistra il barattolo, con l’indice destro pulì l’etichetta, finché l’iscrizione diventò visibile: “Embrione umano di dieci settimane”. Deglutì e, colta da tremore, riuscì a riporre il recipiente al suo posto senza farlo cadere, richiudendo subito le porte. Ma allora?… pensò tra sé e sé… Aveva la bocca impastata, le mani sudate e un’ondata di dolore le attraversò il ventre e la schiena. In preda all’ansia cominciò convulsamente a contare le settimane. Erano poche… sette… forse ancora meno… sei… cinque…

  «Grazie, amica mia. Stasera esco con Mauro… ma che cos’hai, ti è colato tutto il rimmel!» bisbigliò Sonia euforica, rientrata furtivamente.

  «Vado in bagno, ho mal di pancia» rispose Marta.  

 «Sbrigati, sta arrivando la prof» ammiccò sottovoce l’amica.

 «Cosa avete combinato? – tuonò l’insegnante sopraggiungendo dal lato estremo dell’aula – i vostri compagni sono già arrivati alla schedatura.»

Le alunne del primo sottogruppo mostrarono la cartella che fortunatamente ottenne il consenso sperato.

  «E voi, care le mie ragazze?» esclamò la prof con un sorrisetto sarcastico che metteva in evidenza la gengiva molle sopra un’arcata di denti irregolari.  

  «Ma siete in quattro… e Marta dov’è?»  chiese con voce stridula.

  «Prof, mi scusi, Marta non si sentiva bene, è andata ai servizi!» rispose Sonia.

  «Zitta, Sonia, zittaaa! – sbraitò l’insegnante col volto arrossato per la rabbia, fulminando tutto il quartetto – non ci casco, sai, si giustifica sempre quella lì, e poi porta minigonne troppo corte! Un bel tre non glielo toglie nessuno.»

Si avviò verso la cattedra dimenando i fianchi. Sprofondò sulla sedia lasciando cadere i seni sul ripiano, aprì di scatto il registro, scorse con l’indice i cognomi degli allievi fino ad arrivare alla penultima riga dove annotò un gigantesco tre. Compiaciuta, si asciugò col bordo del fazzoletto gli spruzzi di bava fuoriuscita dalle labbra e con voce insinuante si avvicinò al coordinatore del primo gruppo. Sfogliò velocemente il formulario.

 «Bene, Luigi, hai fatto proprio un buon lavoro con i compagni! disse con voce melliflua- suvvia, ora esponi oralmente come si effettua la distillazione a pressione ridotta!»

   «Sì, prof. Dunque, questo tipo di distillazione – esordì il ragazzo col volto devastato dall’acne – detta anche’distillazione nel vuoto’,si esegue con apparecchi simili a quelli per la distillazione a pressione atmosferica, ma in questo caso il recipiente di raccolta del liquido è collegato al refrigerante a tenuta di vuoto e ha una tubulatura laterale cui si raccorda una pompa aspirante che riduce la pressione all’interno dell’apparecchio di distillazione…»   

   «Basta così. Ragazzi, avete sentito? – proferì la professoressa col solito tono dolciastro mi sembra un ottimo esempio di spiegazione, sic et simpliciter … perfetta. Ergo, un dieci è più che meritato!» concluse mentre suonava la campanella delle tredici.

Marta, ancora chiusa in bagno, finì di pulire con un Kleenex il rimmel colato sulle guance che coprì con abbondante fard. Salì di corsa al piano superiore nell’aula ormai vuota, preparò lo zainetto, infilò il piumino e uscì dal grande portone della scuola.

   «Ancora qua, signorina?» esclamò stupito Giordano, il bidello alleato degli studenti. Marta lo salutò con la mano evitando il suo sguardo.

Le nuvole si erano ammassate ma ancora non aveva iniziato a piovere. Marta prese a camminare come un automa con la vista annebbiata dalle lacrime. Gli occhi le bruciavano ma una strana sensazione di pace, di catarsi interiore gradualmente venne a sostituirsi all’angoscia. Quando alla fine del corso giunse al capitello, anziché deviare a destra, tirò dritto e uscì dal centro. Proseguì lungo la via acciottolata fino all’oratorio di San Michele, oltrepassò la rotonda finché, senza rendersene conto, si trovò a camminare sul margine della carreggiata della strada provinciale nello stesso senso di circolazione dei veicoli. Il rombo delle automobili che le sfrecciavano rasente, le arrivava agli orecchi attutito, ovattato. Un ciclista le aveva fischiato ma Marta continuava a camminare inghiottendo polvere, lacrime e le prime gocce di pioggia. Non sentiva né fame né sete, andava avanti come in trance. D’improvviso nella mente si configurò l’immagine di un ragazzo. Non era bene riconoscibile nei tratti somatici, avanzava mite e sorridente con un fagottino in braccio avvolto in una coperta… lei gli correva incontro… Completamente immersa nel flusso delle emozioni, slittò nella corsia stradale mentre l’assordante stridio della frenata si sovrapponeva al suono del clacson impazzito…

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4 commenti »

  1. Brava Gabriella.
    Coinvolgente il tuo racconto, con un rapporto intrigante tra detto e non detto.
    Chissà se la frenata è stata efficace e se Marta potrà riscattarsi, superando il proprio trauma?

  2. Grazie dell’apprezzamento, Roberto!
    Lascio al lettore libertà assoluta nell’immaginare la conclusione del racconto..se conclusione può esserci…

  3. Ciao Gabriella, un racconto con dei punti apparentemente lasciati in sospeso ma che si ricollegano nella mente del lettore con una libertà tale da funzionare con ogni tipo di conclusione. Lasciare un finale aperto si presta a tante interpretazioni, in base all’umore e allo stato d’animo di chi legge.
    Brava!

  4. Grazie, Fabio, per il gradito commento…Sì il lettore può liberamente dare un seguito al racconto…

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