Premio Racconti nella Rete 2021 “La sedia blu” di Martina Salvai
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Ti sto scrivendo rivolta verso il mare, è una sensazione bellissima di intimità e al contempo di condivisione. Scrivo a te i miei pensieri più segreti e le mie emozioni mentre sono in mezzo a tanta gente che non ho mai visto e mai più rivedrò nella mia vita. Non che possano leggere quello che scrivo sullo schermo del mio portatile, alla mia destra fra me e questa bambina dalle lunghe trecce rosse e le lentiggini ci sono quattro sedie blu vuote e alla mia sinistra nulla. La fila di sedie che guardano verso l’orizzonte si interrompe, favorendo un via vai pigro e tuttavia intenso di gente che si avvicina al parapetto per scrutare meglio la spiaggia o scattarsi una foto. Nessuno bada a me, ma ho comunque l’impressione che qualcuno possa ascoltarmi mentre recito ad alta voce nella mia mente ogni singola parola che scrivo. Sai, riflettevo sul fatto che dopo gli sms in cui si abbreviava qualsiasi parola per rispettare il limite di caratteri siamo passati al non badare più alla lunghezza di quello che scriviamo. Troppe parole inutili, anche qui. Sempre meglio che mandarti un lunghissimo audio che non ascolteresti, non ti pare? Almeno leggendo queste righe potresti correre veloce sulle parole arrivando più in fretta di me al punto della questione. Che è questo. Ecco, vedi, mi piace Nizza ma il pensiero che dovevamo essere qui insieme mi tormenta. Ora non so come te la stia passando chiuso dentro tutto il giorno, qui fa davvero molto caldo e le cose non accennano a migliorare. Sono in città da tre giorni e non ho ancora messo piede in spiaggia. La costa è lunga chilometri e ovunque il mare è così azzurro che sembra una piscina. Le boe sono lontane e si può nuotare a largo senza paura, o almeno pare che la gente non ne abbia, io non lo so, mi pare di avere sempre paura di tutto. Anche a casa, come quelle volte in cui ero in vasca da bagno e ti sentivo rientrare in anticipo sbattendo la porta d’ingresso. Quelle volte sapevo, sapevo per certo che saresti venuto a cercarmi per urlare quanto ti faceva imbestialire non trovarmi pronta, con la cena in tavola e la casa pulita, anche se non facevo altro che cucinare e pulire. Comunque non importa, spero solo che tu stia bene, anche se passi tutto il giorno chiuso dentro. Lo so che non hai mai amato uscire, infatti in tre anni non siamo mai partiti, mai neanche andati a cena fuori. Ecco, forse solo una volta, quando mi hai chiesto di sposarti, così potevi metterti il tuo vestito più bello e fingere di essere normale nelle foto sui social. Mi era piaciuto così tanto e negli anni, quasi ogni giorno nel buio della stanza da letto in cui spesso mi ritrovavo da sola, chiudevo gli occhi rivivendo quella serata, domandandomi cosa avrei potuto fare perché le cose tornassero come allora. E poi quando hai organizzato questa vacanza ho capito che c’era ancora una speranza per noi.
Quando ho trovato per caso i biglietti nel cassetto del tuo comodino, mentre pulivo, ho pianto di felicità per un’ora. Avrei rovinato la tua sorpresa dicendotelo e allora ho deciso di aspettare che fossi tu a parlarmene. Ero così felice che ogni giorno ci mettevo la metà del tempo a sistemare casa, poi cucinavo più del solito e tu eri così contento e ti complimentavi con me. Sono cose che non si dimenticano, ti fanno sentire apprezzata. La mia vita negli ultimi due mesi è cambiata, ho sentito di nuovo qualcosa che avevo del tutto dimenticato: la gioia dell’attesa e la sospensione del dolore.
Ecco, un turista italiano si è fermato per dirmi che sono bella, l’ho ringraziato ed è andato via. È qualcosa di pazzesco. Non te lo sto raccontando per farti ingelosire, è solo che per la prima volta da tanto tempo vivo qualcosa che non ti riguarda ed è così strano. Stai ripensando a quello che è successo? Io non riesco a fare altro. L’idea che dovevamo essere qui insieme è insostenibile. Ma poi, sai, avresti dovuto dirmelo subito. Invece io aspettavo ogni sera che tu mi dicessi “sorpresa! Si va a Nizza” e io sarei esplosa dalla gioia e ti avrei abbracciato. Non troppo forte, perché non ti piace. Ti avrei chiesto il permesso di chiamare mia madre per dirle che saremmo stati via per un’intera settimana, sempre che ti fosse andato bene. Ma poi perché avrei dovuto chiedertelo? Tu non mi hai neanche chiesto dove mi sarebbe piaciuto andare in vacanza. Però più i giorni passavano nell’attesa che tu mi parlassi della splendida sorpresa che mi aspettava, più fantasticavo su quello che avremmo fatto e sui posti che avremmo visto. Comprai una guida della Costa Azzurra in libreria, nascondendola con cura prima che tu rientrassi per non mostrarti che avevo capito. E dopo due, tre e infine quattro settimane era come se a Nizza ci fossi nata tanto ne avevo percorso le strade e i palazzi su quella cartina. Avrei potuto dare indicazioni più precise di qualsiasi persona del posto a un passante che si fosse perso. Quando mancavano tre giorni alla partenza mi convinsi che non mi avresti detto nulla fino all’ultimo momento, così da cogliermi ancora di più alla sprovvista. Ma poi ecco, ti sei messo a parlare con lei mentre eri nel bagno di servizio accanto alla cucina. Tu non lo sai, perché secondo te un uomo non deve neanche sapere com’è fatta una cucina e io ho imparato a non fare rumore neanche con le stoviglie, ma con le due finestre aperte si sente tutto. E io ho sentito proprio tutto quello che le dicevi sull’organizzazione per il viaggio a Nizza che voi due stavate per fare. Non è possibile descriverti la sensazione. Non si trattava dell’ennesima delusione o mortificazione, non era neanche lei il vero problema. Seduta alla sedia della cucina fissavo impassibile le immagini di guerra che scorrevano sul televisore, non avevo idea di cose stesse accadendo nel mondo, in quel momento esistevo solo io, un grumo minuscolo di inutilità di fronte a un baratro, con la sensazione che ogni minimo spiraglio di sole e aria pura mi veniva tappato da ammassi di polvere. Mentre ti ascoltavo non avevo neanche voglia di piangere, restavo solo immobile con il gomito appoggiato sul tavolo e la testa nel palmo della mano per non farla rotolare giù sul pavimento. Ti ho sentito uscire dal bagno, andare in soggiorno e accendere la tv. Allora ho capito cosa andava fatto. Ti ho preparato la cena migliore che potessi, condita con il sonnifero che prendo per dormire ormai quasi ogni notte da tre anni. Ho aspettato che crollassi addormentato con la testa sul tavolo del soggiorno e ho spento la televisione. Se lo avessi fatto in un tuo stato di semicoscienza ti saresti svegliato e avresti iniziato a imprecarmi contro con la bava alla bocca, ma in quel momento sembravi morto e allora ho dato sfogo alla mia immaginazione. Ho preso il tuo telefono e ho scritto a quella là. Le ho detto che tua moglie aveva iniziato a insospettirsi e che era meglio non sentirvi per un po’, rimandando la vacanza di qualche giorno. Lei è molto dolce, ha risposto piena di comprensione per me, sembrava quasi dispiaciuta, mi ha fatto pena e mi sono fatta pena anch’io. Allora non sapevo ancora cosa avrei potuto farti, ma non ci è voluto molto, in quella casa ogni angolo poteva suggerirmi infinite idee dopo anni di umiliazioni subite. Potevo accendere il ferro da stiro e schiacciartelo sulla faccia finché non avrei sentito la pelle friggere, potevo picchiarti con la padella fino a farti passare dal sonno al coma, potevo metterti le mani sui fornelli accesi aspettando di vedere se le dita sciolte si incollano fra loro prima di mostrare le ossa, potevo fare un milione di altre cose che nel giro di pochi secondi avevo immaginato dando sfogo ai miei istinti più bassi. Ma poi mi sono voltata verso la cantina e ho pensato a quella volta in cui tornasti ubriaco e con un ceffone mi facesti cadere dalle scale lasciandomi svenuta per ore, facendomi risvegliare al buio, sola, confusa e terrorizzata. Ecco, era proprio quello che volevo provassi anche tu, almeno una volta nella tua vita. Allora mentre eri svenuto ti ho trascinato fino alla porta della cantina e ti ho spinto giù per le scale. Poi, per stare più tranquilla, ho preso le manette che ogni tanto usavi per fartelo venire duro a letto e ti ho incatenato alla ringhiera. Ho chiuso la porta ma ti ho lasciato una piccola bottiglia d’acqua vicino ai piedi, chissà se l’hai trovata a tentoni, nel buio assoluto.
Bene, quello che volevo dirti te l’ho scritto, non mi serve altro. Sono pronta a raggiungere la spiaggia. Sento le onde che si infrangono con violenza su una distesa di sassi. Sono taglienti, la gente va con le scarpe di gomma per non ferirsi. Io andrò senza. Tanto, alla fine, la ricompensa è il mare.
“Tanto alla fine la ricompensa è il mare”.
Un grande senso di liberazione dopo i torti subìti.
Bello!!!
La protagonista del racconto per anni ha ricolmato di premure il compagno ricevendo in cambio quasi sempre indifferenza se non disprezzo. Un giorno, facendo le pulizie, scopre casualmente nel cassetto del comodino due biglietti per una vacanza a Nizza. E’ felicissima. ricolma ancora di più il compagno di attenzioni, crede che lui non le abbia detto niente per farle una sorpresa all’ultimo momento, ma un giorno mentre cucina sente lui che nel bagno di servizio parla al telefono con l’amante del viaggio che hanno progettato di fare insieme a Nizza. La protagonista a questo punto sente letteralmente crollargli il mondo addosso, e medita vendetta. Prepara una buona cenetta ma condisce le pietanze che prenderà il compagno con il sonnifero che lei da anni usa per poter dormire (insonnia molto probabilmente causata dall’infelice vita di coppia), infine manda un sms all’amante che la moglie si era insospettita e che sarebbe stato meglio rimandare la vacanza di qualche giorno. Conduce lui profondamente addormentato in cantina e lo ammanetta alla ringhiera, lasciandogli solo una bottiglietta d’acqua da bere. Utilizzerà i biglietti che il compagno aveva acquistato per andare lei in vacanza a Nizza, e seduta di fronte il mare scriverà su un portatile i fatti che l’hanno condotta sin lì. Racconto amaro, un po’ una fotografia dei tormentati rapporti di coppia di oggigiorno (anche se pure in passato le difficoltà non mancavano di certo). Scrittura efficace con un finale che al di là dell’indubbio effetto drammaturgico mi fa venire in mente il detto di un mio personaggio letterario seriale, il maresciallo Mario Ferrari: “male porta male”.