Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Un pianeta meno affollato” di Martina Salvai

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Enrica doveva essere da Maria alle dieci in punto. I loro incontri clandestini le erano stati di conforto fino alla settimana prima, ma le cose erano cambiate. La sua settantenne NSP (Nipote Senza Portafoglio) le aveva chiesto di tingersi i capelli di viola ed Enrica, dopo aver visto il palmo della mano illuminarsi per la notifica, aveva approvato l’acquisto del colore, comunicando al ministero degli “Affidi di Pensionamento” di erogare la cifra necessaria dal suo conto di nipote affidataria con una breve rotazione del polso. Era stata Maria a spiegarle che nipoti affidatari e NSP non potevano incontrarsi né stringere alcun legame, lei doveva solo approvare o meno ogni singola spesa che Maria volesse sostenere, a partire dai beni primari. Enrica non capiva perché quel sistema, quello per cui una persona nel momento in cui smette di essere produttiva debba dipendere del tutto da un’altra per ogni sua necessità, con il rischio di ritrovarsi NSP di un nipote affidatario fuori di testa, fosse stato decretato il migliore possibile. Il fatto che la popolazione mondiale sfiorasse i dieci miliardi di abitanti non sembrava una giustificazione, per non parlare del sistema a punti che accresceva lo status di ogni nipote affidatario in base ai decessi dei propri NSP.
Prese un elettrocab monoposto, ma non avrebbe raggiunto Maria. Scese mezz’ora dopo davanti al Tribunale cittadino, un edificio enorme di marmo dalle finestre sbarrate.
Da qualche settimana era stata assunta come infermiera dai coniugi Distanti, facoltosi membri del MIV – Ministero dell’Istruzione Virtuale, per occuparsi dei figli di cinque e sette anni, in coma dopo un incidente avvenuto due anni prima. La disponibilità economica della famiglia aveva permesso ai Distanti di far sopravvivere la mente dei bambini all’interno di “Virtual Nanny – learn, play and be safe, il servizio di babysitting da remoto e in modalità virtual reality con più di trenta etnie e quarantasei lingue da attribuire alla propria nanny”, a tutti gli effetti una piattaforma online dove ogni bambino connesso tramite un casco di ancoraggio poteva trascorrere ore di studio e intrattenimento con le migliori Nanny, intelligenze artificiali create allo scopo di educare e stimolare l’intelligenza infantile. Per tante famiglie quella piattaforma web era diventata un parcheggio per bambini, un posto dove liberarsi della responsabilità dei propri figli per un congruo numero di ore ogni giorno o per intere settimane durante l’estate. Per la famiglia Distanti era l’unica opzione plausibile, dal momento che si mascheravano dietro una religiosità dai caratteri dell’assolutismo rifiutando la possibilità che quelle coscienze che agivano all’interno di Virtual Nanny non fossero altro che intelligenze artificiali e che i loro bambini fossero in realtà già altrove, mentre i loro corpi continuavano ad esistere, bloccati in questo mondo dalla tecnologia.
Enrica era ossessionata da quella famiglia, lei che era diventata infermiera per assistere le persone che non potevano permettersi cure adeguate o assistenza umana oltre a quella robotica di base che veniva offerta negli ospedali popolari a chi non avesse abbonamenti sanitari premium attivi.
La sua vita si era scolorita e ristretta al punto da coincidere con una stanza, in un tempo scandito solo dal battito dei cuori meccanici. L’unica cosa che le sembrava giusta, umana, era porre fine a quell’insensatezza, ma per farlo doveva chiedere consiglio a qualcuno di cui si fidava. Per questo la sera prima si era registrata come “visitatrice” del Tribunale per incontrare suo cugino, garante legale nelle questioni della sicurezza virtuale.
Enrica passò i tornelli d’ingresso del tribunale e alzò la mano sinistra per il riconoscimento del palmo e la temperatura corporea. Una volta registrata, attivò il suo auricolare per utilizzare l’assistente delle pubbliche amministrazioni. 
“Salve, Enrica, benvenuta al tribunale civile e penale del distretto. In quanto visitatrice, la sua permanenza all’interno dell’edificio non potrà superare i quaranta minuti. Il dottor Diaz la sta aspettando nel suo studio, prosegua lungo il corridoio e prenda l’ultimo ascensore sulla sinistra, libero fra sette secondi. Lo studio del garante Diaz è al terzo piano”. Chiese all’assistente dove potesse trovare i distributori automatici e fece una deviazione al quarto piano per prelevare del caffè da portare al cugino in segno di pace.
Giunta a destinazione, fu accolta da una sedia scomoda in una stanza fredda e semibuia. Alberto era in piedi davanti a una finestra ingombrata da sbarre e veneziane, sembrava intento a osservare fra una losanga e l’altra pezzi della realtà esterna, carpiti con grande difficoltà, mentre si contorceva e inclinava la testa da una parte all’altra.
“Ciao Enrica – la accolse senza voltarsi – siediti – era già seduta – come posso aiutarti?”
Enrica mise i due caffè sulla scrivania, il garante andò a sedersi al di là del tavolo e non notò i bicchieri, o finse di non vederli, continuando a sorridere e guardarla. 
“In quanto visitatrice hai poco tempo, per cui andiamo dritti al motivo di questo incontro. Siamo cugini di primo grado e non ci vediamo da venticinque anni, per cui direi che si tratta di questioni professionali”.
“Non voglio farti perdere tempo. Ho una domanda da porti e dovrai essere molto chiaro e semplice nello spiegarti, perché non ho alcuna dimestichezza con i termini legali”.
“Sentiamo”.
“Lavoro come infermiera in una casa dove due bambini cerebralmente morti sono ostaggio di una realtà virtuale e collaboro a mantenere in vita i loro corpi attraverso macchinari e terapie. Vorrei potermi appellare al diritto dell’eutanasia coatta, una volta ho sentito che anche un’infermiera può farlo.”
“Perché dici che i bambini sono ostaggio di una realtà virtuale? Chi li tiene in ostaggio?”.
Enrica arrossì.
“I loro genitori sono religiosi fondamentalisti e non hanno accettato la morte cerebrale. Dal momento che sono funzionari del ministero, tutte le nuove terapie che possono comprare tengono in vita i due bambini e i loro cervelli sono attivati da impulsi elettrici all’interno di una realtà virtuale dove crediamo vivano la loro vita, ma non è così. I dottori sono sicuri che staccando i caschi di ancoraggio, anche i loro corpi cederebbero”.
“Vediamo le cose da un punto di vista legale, questo ci farà risparmiare tempo. Dunque, i due bambini sono sotto la potestà dei loro genitori, giusto?”.
“Sì”.
“Ci sono stati problemi precedenti di abusi, violenze, maltrattamenti, denunce?”.
“Non che io sappia”.
“Hai detto che sono cerebralmente morti. Come vengono tenuti in vita?”
“Sono entrambi collegati a diversi macchinari che attivano respirazione, circolazione, mantengono in funzione gli organi. Io offro assistenza quotidiana durante il giorno e poi c’è una persona che sta con loro di notte e li monitora. Ogni settimana arrivano decine di specialisti per le sedute delle più varie tecniche di fisioterapia, agopuntura, chiropratica, cellule sintetiche, elettrodialisi. Per non parlare di questa specie di sacerdoti e sacerdotesse che arrivano in tunica e cappuccio porpora e li massaggiano con delle lozioni benedette mentre intonano canti mistici, con dei gorgoglii angoscianti”.
“Assisti a questi massaggi?”.
“Sì”.
“Sono inappropriati?”.
“Intendi se questi monaci inquietanti toccano i bambini dove non dovrebbero? No, questo non accade”.
“Ci sono persone in quella casa che potrebbero approfittare dello svantaggio dei bambini? L’infermiere notturno, qualche domestico, dei parenti o amici di famiglia che puoi aver conosciuto”
“Non lo so, Alberto. Ma non è questo il problema, ti sarà chiaro. I bambini sono morti e noi li costringiamo a vivere in una bugia, sempre che si tratti delle loro coscienze e non di intelligenze artificiali create per illudere due folli a cui sottrarre denaro”.
“Non possiamo fare nulla. È nel pieno diritto dei genitori fornire assistenza sanitaria se questa concede una continuità vitale al corpo. Se poi queste persone hanno una tale disponibilità economica da permettere una qualche ‘vita’ che possa definirsi tale a questi bambini, farli correre e giocare anche se sono bloccati in un letto, chi siamo noi per privarli di questa possibilità tanto eccezionale? Potresti dire con certezza che quelli nella realtà virtuale non sono davvero i bambini?”.
Enrica avvampò e non riuscì a rispondere. Guardò i bicchieri di caffè ancora pieni e fumanti  e avrebbe voluto lanciarli contro Alberto. Lui, come avendo presentito il pericolo, si tirò indietro sulla sedia e mise le mani sulla scrivania.
“L’eutanasia coatta è stata introdotta per i casi in cui il paziente sia cosciente della propria condizione irreversibile e non possa esprimere la volontà di suicidarsi, oppure nei casi in cui anche in assenza di coscienza da parte del paziente, il dolore della condizione in cui versa sia tale da rendere la sua esistenza miserabile. In questo caso la legge permette che si usi carità verso questi soggetti e si consenta a un operatore, quale sei tu, o ad un familiare, di porre fine alla loro vita. Non sono contemplati altri casi in cui l’eutanasia coatta sia legale, né un procedimento legale ti accorderebbe esito positivo in questa situazione, credimi”.
Alberto si alzò e si diresse verso la porta dello studio, continuando a rivolgersi ad Enrica.
“E poiché abbiamo un legame di sangue, ti darò anche un parere personale. Lascia che i ricchi spendano i loro soldi. Forse è vero, quei dati all’interno del computer non sono che riproduzioni dei bambini. Ma se non sono vivi perché preoccupartene? Finché ti pagano lo stipendio va tutto bene; quando non sarà più così, chiamami”.
Il gesto universale e inequivocabile dei fine visita era arrivato. Alberto era in piedi e stringeva la maniglia della porta come se dovesse tenerla aperta.
Enrica si alzò di riflesso, annuendo. Doveva ingoiare quelle parole e andare via in silenzio il più presto possibile. Stava per varcare la soglia quando si voltò per salutare il cugino, ma lo vide che era tornato a contorcersi davanti alla finestra proprio come quando era arrivata. Trattenne il respiro per qualche istante e poi oltrepassò la porta; nel corridoio l’assistente della pubblica amministrazione tornò a parlarle. 
“Ciao Enrica, spero che il tuo incontro sia stato fruttuoso e ti abbia offerto l’assistenza legale di cui necessitavi. Il nuovo abbonamento ‘Cause Facili Premium’ ti offre tre mesi di prova gratuita con la nostra assistenza legale per cause civili e se possiedi il porto d’armi puoi attivare l’estensione ‘fino a prova contraria’, per proteggerti in caso di utilizzo improprio dell’arma. Hai ancora dieci minuti per uscire dall’edificio”.
La boccata d’aria gelida che investì Enrica uscendo la fece sussultare. Passò le successive due ore a camminare per le strade semideserte della città. Era un comportamento così poco comune che le telecamere cittadine rilevarono quest’attività sospetta. Aveva dimenticato di spegnere l’auricolare, alla sua cella si agganciò il trasmettitore della polizia e un’agente si intromise nel suo corridoio uditivo per chiederle se avesse bisogno di aiuto. Ridestatasi di colpo da quella specie di trance, liquidò la poliziotta dicendole di essere un’infermiera e che era arrivata in anticipo di due ore avendo letto male l’orario di un appuntamento, “stavo cercando di passare il tempo facendo un po’ di moto”. A quel punto spense l’auricolare e si avviò alla stazione di elettrocab più vicina. Tornata a casa gettò i vestiti sul pavimento e atterrata sul divano si addormentò, risvegliandosi da sogni agitati, nel suo letto, alle 2.22 di notte.

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