Premio Racconti nella Rete 2021 “Nel giardino” di Lucia Urbano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Un gatto attraversa di corsa diretto verso il cancello.
Clara lo vede dalla finestra di camera: in punta di piedi si sporge e la investe un’onda d’aria tiepida che le attraversa il vestito, quasi una carezza sulla pelle.
Il salice d’argento sotto la luce di uno degli ultimi giorni di aprile le nasconde alla vista il suo spicchio preferito di giardino, quello verso la strada.
Il gatto è sparito.
Ricade sul letto lasciando spenzolare le gambe mentre la finestra riflette la sua immagine: una bambina con un vestito a fiori ampio, modello grembiule con fiocco in vita, lungo fino al ginocchio.
Si raccoglie i capelli all’altezza delle spalle e si immagina con un caschetto corto, frangetta stile Cina, un paio di jeans stretti come Giulia.
Mica Alice nel paese delle meraviglie come la manda fuori sua madre.
E il suo gatto. Deve assolutamente avere un gatto come Paola.
Tredici anni tra meno di un mese.
Lo scopre accoccolato sul muretto nel sole già caldo di maggio.
È il martedì dopo.
«Ciuciii! Vieni!» curva in avanti lo avvicina.
È una gattina con il sottopancia e le zampine bianche e il musetto mascherato di nero che le mette allegria.
In una mano una tazza con un po’ di latte, nell’altra un filo di lana con una pallina rossa, la attira al suo rifugio sotto il salice.
La gattina la rincorre a balzelloni, saltando su tutte e quattro le zampe insieme come una molla, si arresta di colpo in mezzo al vialetto, flette il corpo all’indietro, rizza la coda, pronta al balzo: punta un balestruccio che gridando vola rasoterra.
E’ già una cacciatrice.
Clara le sistema una cesta con dentro una copertina vecchia al riparo del salice e mentre le si addormenta afflosciandosi nel palmo della mano, satolla e stanca dei giochi, le fusa la attraversano dalla punta delle dita fino al fondoschiena come una corrente.
Sarà lei, la sua Zaira.
Sabato mattina: in giardino non c’è.
Clara sente come degli spilli nella schiena.
Il mobile di salotto.
Dal giardino, attraverso la cucina, è un attimo.
Tutti i gatti che arrivano nel suo giardino sono fatalmente attratti dallo spazio sotto le grandi zampe intagliate a forma di testa di serpente.
Un nascondiglio perfetto.
Ma non dura.
Lei. Sua madre. Di gatti non vuol sentire neanche l’odore.
Basta le si avvicinino anche solo per strada.
«Pussa via, gattaccio! Non ti azzardare!».
Il colpo di tacco per terra. Figurarsi in casa. Sono colpi di scopa.
«Non voglio bestie in casa. Le bestie stanno fuori. Lo capisci o no?»
Dopo la scuola entra nel cancello di corsa, fradicia di pioggia.
Non sente neppure il profumo delle patate fritte, immancabili nella tradizione del pranzo del sabato.
Ha nelle orecchie il ringhio del giorno precedente.
«Basta che non entri in casa eh».
Recuperata per un pelo. Era già sul primo gradino.
Il giardino è tutto bagnato sotto un cielo grigio e basso.
«Vai a scuotere la tovaglia!»
Clara scende i gradini e va verso la tettoia, al riparo.
Spia la madre senza farsi vedere.
Le guarda le tozze scarpe marroni con il tacco basso, quei grossi piedi. Porta il 40. Nessuna delle madri delle sue amiche ha i piedi così grandi.
Tu non lavori il sabato. Che hai fatto a Zaira?
Diventa vecchia e vedrai quanto ti dispiacerà di avermi fatto questo.
Ingoia una lacrima che vorrebbe uscire. Dà un calcio a un sasso.
Tutto il pomeriggio continua la perlustrazione del giardino.
Oltre il nido sotto il salice, lo sguardo implora tra le fronde del tiglio e la siepe d’alloro sulla strada, i cespugli di rose e il gelsomino dei vialetti, l’edera al confine col vicino.
La vede spuntare da ogni angolo.
Ma non appare.
Negli occhi umidi si confondono i verdi delle foglie, i bruni dei rami, i grigi dei muretti.
Si lascia andare a sedere sul gradino della terrazza.
La pietra fredda a contatto con le gambe la fa rabbrividire come se un brulichio di insetti le risalisse la schiena in un attimo.
Nel letto, i piedi freddi senza dormire, li rivede tutti.
Quello tutto bianco, quello tigrato della scorsa primavera.
Tutti glieli ha cacciati.
Una massa dura le schiaccia lo stomaco.
Vorrei che questa casa crollasse. Il giardino pieno di gatti che vagano tra i ruderi. E lei sotto le macerie con una gamba spezzata.
A pancia in giù, affonda il viso nella calda macchia di lacrime salate, saliva e moccio.
Domenica mattina, l’alba.
Il viso ancora sporco di lacrime, i capelli appiccicati, scende le scale in punta di piedi.
Solo la voce dei balestrucci in giardino.
Una lama di sole la acceca. Fa un respiro profondo.
All’idea che qualcuno possa affacciarsi dalle camere le ascelle si bagnano di sudore.
Fa un altro respiro, lungo.
Ti prego, fai che la trovi sul muretto.
Il salotto deserto è ancora immerso nella semioscurità.
Un’occhiata al mobile, non si sa mai.
Un grido le si strozza in gola.
Da dietro la parte posteriore spunta un ciuffo di pelo bianco.
Una zampina.
Non può essere.
Non riesce né a deglutire né a respirare.
Le gambe di pietra cedono di colpo e va giù.
Zaira. Immobile. Già rigida, gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta da cui esce un filo di schiuma.
Accovacciata per terra, le dita nel pelo ancora morbido, le lacrime le annebbiano la vista. Un ronzio in testa.
Si è trascinata a morire lì dietro. I gatti si nascondono per morire, gliel’aveva detto Paola.
Perché?
Col cuore avvolto nel filo spinato si passa sul naso il dorso della mano. La guarda meglio. Nessuna traccia di sangue.
I pensieri le avviluppano il cervello come in una tela di ragno.
Come dal folto delle ragnatele le risuona la voce di sua madre che parla alla donna delle pulizie.
«I gatti servono solo ad eliminare i topi. E noi abbiamo il veleno per loro».
Magari avessimo un gatto, ricorda di aver pensato. Stupida.
Respira profondamente per reprimere una fitta alla pancia mentre mille aghi le pungono la schiena.
Era successo di sera, erano alla TV quando l’urlo di sua madre li aveva raggiunti da là sotto.
«Un topo! Un topo nel seminterrato!»
L’avevano spedita in camera sua.
Un posto dove lei non è autorizzata ad entrare.
Nulla di interessante, damigiane e bottiglie e, a sentire sua madre, anche qualcosa di pericoloso di cui non ricorda il nome…
Un sapore acido in bocca le penetra fino alle narici.
Quel biblico «occhio per occhio» sembra straboccare dal suo petto.
Il seminterrato è chiuso da una porta. Sa dove è nascosta la chiave. Tengono lì anche l’olio lubrificante.
L’idea le balena come un lampo.
Un velo scivoloso sul gradino.
E’ ancora nel letto quando sente un grido d’aiuto provenire dallo scantinato.
«La mia gamba! La mia gamba!»
Con un sorriso si gira dall’altra parte.
Ora non sente più solo i gridi dei piccoli dei balestrucci che si lanciano dai nidi.
Complimenti, un racconto crudele ma scritto benissimo!
Amo i gatti e parteggio per la protagonista. A parte questo ti faccio i miei complimenti in generale e in particolare per il ritmo della narrazione.