Premio Racconti nella Rete 2021 “Coscienza” di Concetta Pintacuda
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021La stanza era illuminata a tratti dai fari delle automobili. Tutto appariva ad intermittenza, in un’alternanza di chiaro scuri dove gli oggetti sembravano cambiare posto di continuo. Tranne Lui, immobile nella stessa posizione come ogni notte.
Percepivo l’umido del cuscino e il mio battito cardiaco che riecheggiava tra le pareti come un cadenzato toc toc alla porta.
Provai ad accendere la luce alla mia destra ma le mie braccia erano bloccate. Tutto il mio corpo era paralizzato in un bagno di sudore.
Quando appariva, lo faceva sempre da sopra l’armadio, dono di mia nonna paterna. Non so perché preferisse quell’oggetto in particolare, forse aveva semplicemente buongusto. Massiccio, in stile Art Nouveau ricco di intarsi floreali, occupava il lato sinistro della parete di fronte al letto. Eppure avrebbe avuto una visuale migliore se avesse scelto la libreria in noce; posta al centro e superiore in altezza, gli avrebbe permesso di dominarmi con maggiore forza, imponendosi alla mia visione diretta.
Invece no! Eccolo lì sul mio armadio, con la sua viscida massa pulsante, a dissacrare quell’oggetto che amavo, alterando i miei ricordi affettivi in spaventose sensazioni.
Nell’oscurità risaltava la biancastra sostanza gelatinosa intorno all’iride che, per contro, era di un nero così profondo da potermi perdere dentro. La sua enorme sagoma ovale non era nemmeno addolcita dalla classica peluria che invece lasciava spazio ad una bordatura rigonfia come lombrichi sudaticci disposti a cerchio.
Rimanemmo entrambi a fissarci, ma mentre il mio sguardo era colmo di disperazione, Lui mi osservava con netto disappunto, non era inquisitore ma aveva un’espressione di aspro rimprovero. Più io mi stringevo in me stesso, più Lui si gonfiava di rabbia diventando sempre più enorme avanzando fino quasi a toccarmi.
Avvertivo sul viso l’alitare affannoso del suo caldo respiro, come se da un momento all’altro volesse inglobarmi nelle sue palpebre mollicce.
Mi contraevo ad ogni suo pulsare, appiattendomi contro il materasso ormai madido, sperando di scomparire; ma rimanevo in quella stanza, a guardare l’oscurità, tormentato più dall’impossibilità di capire il perché della sua stizza, che dall’assurdità della sua presenza.
In quel delirio mi chiedevo cosa avessi mai potuto fare di così abietto per meritarmi tanto disprezzo, e credendo che Lui potesse leggermi nel pensiero, attendevo una risposta. Ancora una volta non proferì parola e attesi soltanto che tutto finisse così come era iniziato, dal nulla!
Da più di un anno, veniva a farmi visita sempre alla stessa ora, verso le due e un quarto. Puntuale come il sorgere del sole al mattino, mi costringeva a svegliarmi in piena notte. Forse a causa del mio sonno leggero, proprio nel momento in cui stavo per sprofondare nell’incoscienza, d’improvviso sentivo un anomalo scricchiolio dei mobili. Non come il rosicchiare delle termiti, ma come un raccapricciante suono di ossa masticate che diventava sempre più intenso.
Terrorizzato, mi rifugiavo sotto le coperte. Ma d’improvviso, nonostante mi mancasse il respiro e le prime gocce di sudore scorressero lungo il collo, come Ulisse attratto dal canto delle sirene in mezzo alla bonaccia, per una irrefrenabile perversa curiosità, tentato da quel mormorio, scoprivo il viso.
Inesorabilmente rivolgevo il mio sguardo verso l’armadio, dove non mi attendevano affascinanti creature ma il solito ripugnante ammasso venoso il cui peso schiacciava il legno a tal punto da far vacillare le assi delle ante.
Alle due e un quarto, iniziava così un macabro gioco di resistenza a chi per primo si fosse arreso, se io sfinito dalla paura, tra mille interrogativi che non trovavano risposte o Lui stanco di vedermi inerte senza reagire alla sua provocatoria invadenza piena di disapprovazione.
<<Cosa vuoi da me, perché mi perseguiti!>> gridavo a bocca chiusa << ti sei preso i miei ricordi, il mio sonno, la mia vita! E perché tutto questo odio! >>.
Il mio monologo interiore andava avanti così, per ore, fino a quando dalla finestra il cielo iniziava a tingersi di un pallido chiarore ed io, ormai stanco mi addormentavo e tutto spariva.
La mattina alzarmi diventava una lotta contro la forza di gravità. Letteralmente strisciavo giù dal letto. Quel dormire a singhiozzi mi distruggeva. Fuori mi attendeva la vita reale che riuscivo ad affrontare ingurgitando due tre tazze di caffè.
La biblioteca presso cui lavoravo si trovava non molto lontano da casa così potevo rinunciare all’automobile per fare delle passeggiate. Camminare mi aiutava a riacquistare le forze, e il sole, che il più delle volte splendeva tra i viali, mi rinvigoriva. Fuori dalle mura di casa sentivo un senso di sollievo e libertà, respiravo l’aria colma di salsedine e l’azzurro del mare in fondo al corso mi faceva dimenticare ogni cosa.
Tutte le ansie svanivano. Col mento all’insù mi abbandonavo ad ogni scorcio, senza più paura di andare incontro a quell’immagine spaventosa. Il giorno era soltanto mio e Lui non poteva portarmelo via.
Eppure qualche mese prima della sua apparizione, la città mi andava stretta, percorrevo le vie a testa bassa. I volti sorridenti dei passanti mi irritavano, le piazze mi sembravano solo vuoti tra i palazzi e persino il luccichio dell’acqua tra le barche ormeggiate mi lasciava indifferente.
Strana coincidenza, ma adesso che le notti non mi appartenevano più, trovavo meraviglioso ogni angolo di quegli spazi, un dolce rifugio dove assaporare ogni attimo di leggerezza.
Una mattina, durante una delle mie passeggiate per recarmi al lavoro, mi accadde qualcosa di bizzarro.
Decisi di deviare passando per il mercato storico, dove, in passato, mi piaceva andare con mio padre all’uscita da scuola, deliziandomi tra le leccornie e i profumi delle bancarelle protette da variopinti tendaggi.
Soffermandomi davanti a una cassetta colma di melagrane vermiglie, vidi passare davanti al mio viso una ossuta mano di vecchio intento ad acquistare uno di quei frutti.
Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Inizialmente ebbi quasi un sussulto per la sua aria familiare, poi non ci feci più caso e continuai il mio percorso. Ma diversi metri più in là ritrovai quell’uomo che mi fissava e nonostante cambiassi più volte direzione lui era sempre davanti a me con lo stesso sguardo malinconico.
Da allora mi capitava di rivederlo in più circostanze, in un bar intento a leggere un giornale, per strada alla fermata del bus o davanti a una libreria intento a guardarmi.
Iniziò persino a farmi visita in biblioteca con una certa frequenza. Stava sempre in fondo alla sala lettura, sommerso da grossi tomi di Storia ma cosa assai strana non sembrava più notarmi. Ciò mi indispettii a tal punto da divenire un’ossessione, era il mio pensiero fisso in ogni cosa che facevo, lo cercavo ovunque e quando finalmente lo incontravo, quell’indifferenza suscitava in me una sensazione di estrema irritazione.
Mi veniva voglia di lanciarmi su di lui, prenderlo per il collo e strattonare le sue fragili ossa gridandogli in faccia, << perché non mi guardi più vecchio! Cos’è, ora che sei entrato nella mia testa tu mi ignori!>>.
Ben presto compresi che quell’essere era inafferrabile, come fosse la scenografia lontana di un teatro infinito, e cosa più tremenda non era solo. Concentrandomi meglio su quella visione, notai che in un angolo dietro le sue spalle, rimpicciolito da quella surreale prospettiva, stava Lui, immobile, con un’espressione bieca tra la derisione e il soddisfatto.
Da quel momento mi resi conto che era finita! Persi anche il giorno! L’inquietudine scandiva ogni momento della mia vita. Provavo sollievo solo qualche istante al mattino, quando al risveglio, dopo una notte di terrore, prima di uscire, osservavo la stanza illuminata dai raggi del sole che scaldavano l’armadio finalmente libero da quella orrenda creatura.
Cosi una mattina, decisi di non andare a lavoro per soffermarmi di più nella mia camera. Le ante decorate mi portarono alla mente le conversazioni con mia nonna, quando dopo la scuola passavo a trovarla.
Mi raccontava spesso di mio padre, di come avesse disegnato ogni dettaglio di quell’armadio, mostrando doti artistiche che poi aveva abbandonato per dedicarsi alla sua vera passione: i libri di storia.
Quei ricordi, improvvisamente mi provocarono un senso di inquietudine così per non pensare mi dedicai alla lettura e senza accorgermi ben presto mi abbandonai al sonno.
Due e un quarto, questa volta non fu il rumore del legno a svegliarmi ma una strana sensazione ai piedi. A un certo punto sentii afferrarmi con forza le caviglie e aprendo gli occhi vidi il vecchio. Il suo sguardo era di una dolcezza disarmante e il sorriso particolarmente benevolo, in contrasto con la forza delle sue dita che continuavano a stringere per tirami a sé non so per quale terrificante scopo.
La paura iniziava a crescere dentro di me, volevo liberarmi da quella presa, ma restavo bloccato, senza fiato, fino a quando Lui non apparve in tutta la sua mole avanzando minaccioso alle spalle del vecchio.
Allora capì che questa volta non ero io il suo obiettivo, ma quell’uomo e spinto da un’inspiegabile voglia di proteggerlo, vincendo ogni paura, strappai le gambe da quella presa e mi scaraventai verso l’armadio. Lo aprii con violenza, rovistando come un folle cercai non so quale arma, e nel trambusto cadde una scatola che aprendosi riversò il suo contenuto.
In un attimo tutto si fermò, mi inginocchiai, e vidi l’orologio di mio padre, da troppo tempo ormai rimasto nascosto. Guardai le lancette, due e un quarto! Ebbi un fremito: un anno e mezzo fa si erano fermate misteriosamente qualche minuto dopo la sua morte esattamente a quell’ora!
Le tempie mi pulsavano, il respiro diventava sempre più affannato, gli occhi mi bruciavano per l’affiorare delle lacrime e in preda al delirio gridai verso quel mostro immaginario:
<< Che tu sia maledetto! Hai vinto tu! Affronterò il dolore! Cancellerò ogni senso di colpa così tu potrai sparire dalla mia mente! Però ti prego! Non portarmelo via, lascialo ancora un altro po’ qui accanto a me prima di dirgli addio!>>
Ma il bagliore dei fari illuminò la stanza ormai vuota, sia il vecchio che il grande occhio si erano dissolti e io rimasi lì solo, con le ginocchia incollate al pavimento, con l’orologio tra le mani, versando tutte le lacrime che non avevo mai pianto.
Un dolore mai scomparso che preme per essere ascoltato. E alla fine esplode. Le descrizioni della paura e dell’angoscia mi sono piaciute molto. Rendono tantissimo l’idea del disagio che si sta provando.
Complimenti!
Bravissima Concetta.
Il tuo racconto coinvolgente, inquietando ed emozionando, ci conferma che il dolore deve sempre essere affrontato.