Premio Racconti nella Rete 2021 “Noi due, sconosciuti” di Nazarena De Angelis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021***
“L’amore è soltanto una parola, fino al momento in cui arriva qualcuno a darle un senso”. (P. Coelho)
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“Posso ordinare un aperitivo? Non vorrei disturbare” la cliente sollecitò il cameriere del fornito bar del ristorante La Pergola all’Hilton, accostandosi al bancone.
All’attico dell’albergo di Monte Mario si godeva di una vista spettacolare sulla capitale e l’ottimo cibo era realizzato da un noto chef di origine tedesca, addirittura tre volte stellato.
La terrazza più famosa di Roma aveva ospitato la cena di nozze del matrimonio di Nina e rimaneva la sua coperta di Linus personale, il luogo per rifugiarsi quando aveva un problema su cui riflettere o bisogno di un attimo per sé.
Come quella sera particolare: stretta nello spolverino marrone firmato Burberry, in un abito nero che ne segnava le forme sinuose, le décolleté e la pochette abbinata, aveva approfittato delle tre ore già pattuite con la baby sitter per centellinare un drink guardando il tramonto.
Così sperava, non immaginando che la terrazza fosse stata interamente riservata per un party proprio il quattordici febbraio.
“Sì, signora, abbiamo un piccolo spazio da condividere con un altro cliente, se non è un problema” il cortese cameriere in livrea bianca la scortò ad una zona d’angolo; divani di vimini coperti da imbottiture e cuscini color crema di forma rettangolare, un tavolino da caffè dalla base in frassino e dal piano di cristallo temperato e un ombrellone dalla candida tettoia erano in linea con l’eleganza moderna della terrazza.
Un uomo dai capelli corvini osservava il panorama, assorto; si voltò al rumore dei tacchi alti sulla pavimentazione e le fece un cenno di saluto con la testa “Buonasera”.
“Buonasera a te” lo contraccambiò, sgranando gli occhi, e lo raggiunse per godere della brezza di un inverno particolarmente mite.
Il sole era appena svanito, il cielo aveva acquisito la caratteristica tinta rosata che preannunciava una successiva giornata calda.
“Adoro La Pergola, la vista da quassù è straordinaria e gli stuzzichini del cuoco ancora meglio. Posso offrirti qualcosa da bere?” il moro – due iridi profonde e cupe come l’inferno, un abito scuro elegante su una camicia azzurra e un curioso giglio bianco inserito nell’asola del bavero della giacca – lo domandò gentilmente alla sua unica compagnia… una compagnia dai lunghi capelli castani e dall’ovale realizzato dalla punta del pennello di un pittore rinascimentale.
Il riservato cameriere era rimasto di lato, in attesa dell’ordinazione.
“Va bene, grazie. Un bicchiere di prosecco, per piacere” Nina, amante delle bollicine dry, scelse un vino bianco frizzante.
“Due” segnalò il moro, presentandosi “Cristiano”. Disse il suo nome, tendendole la destra e stringendo la speculare manina femminile qualche secondo più del necessario. “Che ci fa una donna sposata sola soletta in un posto tanto romantico la sera di San Valentino?” non si trattenne e indicò il cerchietto d’oro all’anulare sinistro.
“E tu?” Nina si difese prontamente poiché anche lui indossava la fede.
“È da maleducati rispondere a una domanda con un’altra per sviare il discorso. Non abbiamo tolto gli anelli, dimostra che non cerchiamo partners occasionali. Ti ho proposto di bere assieme e hai accettato subito, per cui nemmeno aspettiamo amanti ritardatari” ragionò ad alta voce.
“Per un panorama simile non c’è prezzo, Sherlock Holmes, per il resto c’è MasterCard. Non recita così la pubblicità?” lo schernì per ridiventare subito seria. “Oggi è il mio anniversario di nozze oltre che la festa degli innamorati. Mio marito aveva promesso di rientrare presto dal lavoro e portarmi a cena fuori. Invece non si è presentato… mi ha inviato uno squallido messaggio di due parole: arriverò tardi. Ho deciso che meritavo qualche ora di svago”.
“E’ da tanto che sei sposata?” le chiese, curioso.
“Sette anni; e tu?”.
“Più o meno lo stesso tempo. Dicono che lo scorrere inesorabile dei giorni appiattisca i sentimenti. Forse, semplicemente, l’uomo non è nato per la monogamia e rimane con il coniuge per mera convenzione. Io non condivido, però” ribatté, sorseggiando il vino appena lasciato dall’addetto, che aveva servito per prima Nina. Sul tavolino spiccava un vassoio di appetitose tartine al tonno affumicato su cuori di pasta sfoglia.
“Chi lo dice sbaglia di grosso, non è il mio caso. Mio marito mi ha salvato la vita…” con espressione immalinconita abbassò lo sguardo sul bicchiere, decorato da un grazioso cuoricino satinato, adatto alla festa di metà febbraio.
“E’ tutto a posto? Sei triste…” Cristiano di nuovo valicò il limite della conoscenza. Poggiato il flûte sul marmo della balconata, occhi negli occhi con lei, si era ritrovato a carezzarle il dorso della mano.
La tenerezza era diventata un contatto meno breve; le sue dita erano salite lungo l’avambraccio fino alla scapola attraverso la stoffa dello spolverino per terminare il viaggio sulla gota sinistra dallo zigomo perfetto della sconosciuta.
Una forte esplosione di energia scaturita dalle note contrastanti di ribes nero dolce ed essenza di mandarino l’aveva colpito in pieno petto; era un peso al centro del torace, gli impediva quasi di respirare.
Ancora più bella e vulnerabile, Nina era soltanto una giovane donna il cui profumo lo aveva inebriato e le cui labbra dischiuse – dipinte di rossetto lucido color ciliegia – rappresentavano un amoroso sogno proibito.
“Quando ho conosciuto mio marito eravamo giovanissimi, dovevamo iniziare l’ultimo anno di liceo classico. Soffrivo di una malattia che mi aveva mangiato persino l’anima, pensavo non ne sarei mai uscita. Invece ci innamorammo e ne venni fuori grazie al nostro legame” sussurrò, accennando al male che l’aveva assediata fin da fanciulla, un disturbo alimentare innominabile e infame. La fame da bue! (*)
“Non volevo deprimerti, perdonami” rammaricato, fece tintinnare il vetro del calice di prosecco con il suo. Non poteva smettere di fissarle la bocca… era irresistibile.
La ragazza – a cui il tannino aveva offuscato la mente e lo sguardo maschile provocato un effetto peggiore – alzò il viso, consapevolmente. Capì di essere perduta! Con Cristiano tutto aveva già preso una piega intensa e importante.
“Nina…” la voce roca, rimase fermo per qualche secondo a pochi centimetri dal suo volto per conquistarne la mano e baciarne delicatamente le dita, una ad una.
Era troppo vicino… Nina percepì l’odore di dopobarba speziato e muschivo e del vino, nel ventre una tensione erotica scomposta al tocco delle sue labbra gentili.
“Hai delle mani splendide, con le dita affusolate. Sono la parte del corpo di una donna che amo di più, la prima che ammiro”.
“Mi piace la semplicità, non sono una persona complicata”.
“Davvero? Non credo proprio. Non si è abbastanza imparziali per giudicare se stessi e nessuno è semplice davvero. Nel tuo caso la complessità è compensata dai frammenti di stelle che tuo padre ha rubato al cielo” con un riferimento agli occhioni da cerbiatta smarrita, i palmi delle mani si posarono sulle sue guance, custodendone il visetto.
Il calore che emanavano lo scottò: era un’ustione di primo grado che nessun medico avrebbe potuto curare. Dovette scostarsi per non andare a fuoco.
Nina sollevò il viso scrutandolo; le folte ciglia castane sbatterono a mo’ di ali di falena per l’agitazione. Calamitata dalla sua presenza non indietreggiò, fu ferma sui tacchi sui cui oscillò leggermente.
Un braccio saldo la sorresse “Ti sei emozionata?”.
“Sì, tanto” ammise.
“Anche io, senti” Cristiano spostò la sua mano destra sul proprio torace all’altezza del cuore galoppante.
Nina distinse chiaramente un battito accelerato, potente. Era la stessa andatura del muscolo cardiaco che lui le provocava. E sembrava… una pericolosa marcia in avvicinamento.
Un sottile strato di stoffa della camicia separava le loro pelli e no, non era abbastanza, non poteva esserlo.
“Stai bene o devo chiamare un cardiologo?”.
L’altro non parlò; stava perdendo il controllo e l’assenza di lucidità non lo confortava. “Sei felice, Nina? Intendo nella vita, non solo ora”. Desiderava molto più che baciarla, sviò su un ragionamento non meno importante bevendo il resto del vino in un unico sorso.
“È da maleducati rispondere ad una domanda con un’altra” lo canzonò.
“Ottima teoria: chi è lo scemo che te l’ha suggerita?”.
“Non lo so” fu distratta dalla volta del firmamento “La luna mi affascina. È un piccolissimo spicchio argentato nell’oscurità del cielo dall’incanto intramontabile, in una perenne falsa solitudine” sospirò, riferendosi al quesito precedente sulla felicità. “In alcuni istanti. E tu?”.
“Adesso sì. Dal momento in cui mi sono voltato e ti ho vista… il desiderio di averti per me, di possederti in un letto fra lenzuola di seta, di carezzarti mentre ci muoviamo insieme mi sta tormentando. Scusa, dovevo dirtelo prima di impazzire” arrossì del colore di un peperone crusco al sorrisetto della dirimpettaia, che minimizzò per toglierlo d’impaccio “Lo prenderò come un complimento”.
Lo scandì in un sussurro avvicinandosi al suo orecchio, con una battuta esageratamente maliziosa rispetto al modo in cui si comportava di solito “Sono molto più bella di come mi hai immaginato, credimi…”.
La rappresentazione lussuriosa del sogno altrui di cui era passiva protagonista aveva colto nel segno. Era stata incantata dalla dolcezza e insieme dalla passione con cui l’uomo l’aveva enunciata, di più dal viso colmo di lei.
“E’ molto probabile” le tese la mano d’impulso sperando l’afferrasse.
La miniatura dalla lunga chioma color castagna, dai tizzoni ardenti e dalle labbra carnose, contraccambiò la stretta con sollecitudine.
“Stasera, entrato in albergo, ho avuto uno sciocco presentimento… Ero certo che avrei incontrato la donna della mia vita e… d’impulso ho preso una stanza” dalla tasca della giacca estrasse una chiave magnetica.
Lei sgranò gli occhioni… in cuor suo non era affatto sbalordita, però. “Credevo fosse tua moglie. Sette anni di matrimonio sono un’eternità!”.
“Eravamo in due a pensarlo; accadeva prima che incrociassi il tuo sguardo”.
Il rosso pitturò le gote di Nina, stavolta.
“Non ti costringerò a fare nulla che non vorrai, potrai fermarti in qualsiasi istante. Dimmi che anche tu lo desideri, Nina”. Cristiano era sincero, trasparente, pacifico; bisbigliò il suo nome in tono strozzato e scese a scostarle una ciocca di capelli scuri dal collo per lasciarle un bacio a fior di labbra sotto l’orecchio.
Nina percepì un palpito. Non seppe mai dove fosse iniziato e dove finito quel tremore… se da Cristiano o da se stessa. Comprese pure che fosse cominciato ben altro!
Lui le offrì galantemente il braccio per dirigersi all’interno del ristorante, senza inutili parole.
Frastornata dal loro contatto, la bruna lo seguì rimanendo in silenzio per il resto del percorso. Nell’aria distingueva la lunghezza d’onda dell’attrazione reciproca sintonizzata sulla stessa frequenza, una corrente elettrica ad altissimo voltaggio che non si interruppe mentre camminavano fianco a fianco in corridoio.
Davanti alla porta della stanza lo fissò coi suoi penetranti bottoni di cioccolato fondente “Sei sicuro che poi non ti innamorerai di me? Potrò rimanere poche ore e si tratterà di un episodio isolato. Quando ci saluteremo, sarà per un addio” lo bisbigliò teneramente col suo sorriso più ammaliatore.
“Sono già innamorato di te, dolce Nina, dovresti saperlo” nessuno al mondo gli aveva mai sorriso in tal modo, nemmeno sua mamma quando era piccolo.
Fu un attimo e le sue braccia la strinsero “Sei fantastica, bellissima… mia”. Strofinò le labbra sulle sue in cerca di una corrispondenza che trovò immediatamente intanto che le lingue si avvolgevano l’un l’altra in una danza amorosa.
Unirono gli archi gioiosi in una miriade di bacetti che cambiavano ritmo divenendo più impetuosi, cercarono i denti e gli umori del partner, in un ritrovamento di sensi.
Si staccarono perché Cristiano desiderava sincerarsi delle sue intenzioni “E tu, sei davvero sicura?”. Era l’ennesima volta che chiedevano E tu?. Gli rammentò un datato e sentimentale brano del cantautore romano Claudio Baglioni.
“Sciocchino!” la donna – appoggiata allo stipite della porta – tirò i lembi del colletto della camicia celeste, traendolo a sé.
Le labbra di Cristiano, calde e gentili, erano il paradiso che le mancava da troppo tempo. Infilò la destra nella tasca posteriore dei pantaloni di fresco lana, recuperando la tessera magnetica e sventolandola sotto gli occhi neri, finalmente brillanti “Mi ospiti, sconosciuto di poche ore?”.
“Sì, mia dolce signora” gliela strappò di mano al pari di un bimbetto dispettoso; la inserì nel meccanismo di apertura spingendo l’anta e richiudendola alle loro spalle.
Si ritrovò al centro della lussuosa suite in lieve imbarazzo. Fino a cinque minuti prima pensava di non avere nessuna possibilità di continuare l’estemporaneo e rapido corteggiamento; ora invece il sogno di congiungersi con lei sul letto enorme – dalla struttura a baldacchino, lenzuola e cuscini ricoperti di seta beige – stava per realizzarsi.
“Posso offrirti qualcos’altro da bere?” per allentare la tensione, si diresse al fornitissimo frigo bar senza attendere la risposta della sua interlocutrice.
Nina fu più lesta. Gli si piazzò alle terga, baciandolo lei sul collo all’altezza dell’orecchio. Aveva intuito un leggero irrigidimento nel futuro compagno di giochi “Non agitarti!”.
Il brivido che lo trapassò fu così intenso che lo zittì, ulteriormente.
Al suo voltarsi indietro, gli scoccò un bacio rumoroso “Aspettami a letto, arriverò tra un attimo”. Lo spinse leggermente verso il talamo e lo prese in giro, scomparendo nella toilette “Nudo, Cri! Non ti dileguerai, vero?”.
Indeciso se servirsi di un alcolico o ubbidire all’ordine lussurioso, scelse la seconda opzione.
Si spogliò lentamente, ripiegando gli abiti sulla poltrona imbottita posizionata accanto al comodino.
Tolse ogni indumento, rimanendo in boxer a fissare il panorama dalla finestra affacciata sullo skyline della città dei Sette Colli, la cui lastra antiriflesso fumé permetteva di ammirare l’esterno senza essere visti.
Città affascinante, Roma! Città eterna, pazza, caotica, piena di contraddizioni, forse la più bella al mondo!
Prese un lungo respiro per quietare l’adrenalina che gli scorreva nelle vene al posto del sangue e abbassò l’intimo, sedendosi nel letto, come richiestogli.
Non era riuscito ad allungarsi né a rilassarsi; si era solo accomodato con la schiena poggiata ai grandi cuscini e aveva tirato il lenzuolo fino alla vita perché la partner non notasse immediatamente il suo impellente desiderio.
“Eccomi” uscita dal bagno, Nina camminò verso di lui. In un gesto sensuale di voluta noncuranza, sciolse la cinta dell’accappatoio di spugna beige dell’Hilton, che ricadde a terra.
Splendida e desiderabile, non voleva improvvisare uno spogliarello: soltanto mostrare a Cristiano la particolarità che la caratterizzava.
Si stagliò di lato esibendo il tatuaggio di una fenice disegnato dall’ago di un vero artista sul suo corpo magnifico.
Le ali dell’uccello partivano qualche centimetro sotto l’attaccatura dei seni, a metà fra la schiena e il ventre, mentre la coda terminava nella parte superiore della coscia, rimanendo invisibile allo sguardo persino con l’abito corto indossato quel giorno.
“E’ stupendo… tu sei stupenda” con le fauci secche dall’emozione che lo pervase, si espresse in un complimento sincero e spontaneo.
La bellezza di Nina colpiva nel suo complesso: le gambe flessuose, i fianchi morbidi e sodi, la minuscola piumetta scura ne sottolineavano la femminilità; il seno a goccia, sferico e eccezionale, i boccioli rosei e già tumidi, la pelle nivea senza imperfezioni completavano un fisico affrescato da un angelo; i cioccolatini, ombrosi e intensi, erano pura magia. Baci Perugina per un’indigestione perenne! Da mangiare per un intero anno, non solo a San Valentino. Cristiano aveva già mal di pancia!
Sollevò il lenzuolo invitandola a raggiungerlo e, nello stesso istante, spense i faretti della camera col pulsante sopra la testiera del letto.
L’illuminazione dei palazzi che circondavano l’hotel era sufficiente a creare un’atmosfera romantica ed esclusiva.
“Ho fatto il tatuaggio quando mi sono riunita all’uomo che è diventato mio marito. Ero sopravvissuta nel periodo di forzata lontananza che vivemmo… ero riuscita a guarire dalla patologia che mi aveva oppresso… perché lo dovevo a lui. Il suo amore era stato comunque la mia forza, era rimasto nel mio spirito. Sono rinata dalle mie stesse ceneri, Cristiano, dai miei dolori… sono diventata Fenice!” spiegò con mestizia posizionandogli a fianco.
La mano maschile salì a carezzarle il mento. Lo sfiorò con la punta delle dita delineandone il contorno; il pollice passò sulle labbra e si fermò sullo spazio fra i due orli carminio.
Nina gemette al suo tocco, scoprendo due spilli neri che la scrutavano “Sono arrivato tardi, scusami… So solo che voglio te, Nina, tutto ciò che sei, Fenice compresa, adesso…”. Lo sostenne, schietto, con la linearità che lo distingueva, incollando la bocca al sorriso di lei.
Che aveva percepito un’intensa emozione in un momento di pura suggestione… una vibrazione che non provava da mesi, che era rimasta dietro il buco nero della sua anima.
Cristiano era sfacciato e insieme insicuro, delicato e estremamente rassicurante: il lato piacevole della normalità, non meno interessante.
La sua sinistra le accarezzò la schiena nuda, per dimostrarle una vicinanza e una solidarietà che sfociò immediatamente in un lungo fremito di consapevole concupiscenza.
Sfiorandogli lei le labbra con le dita, lo fissò, languida. Fra loro era seduzione allo stato puro, alchimia, magia.
Lo abbracciò, con tutto il corpo e con tutta la voglia che aveva, baciandolo ovunque sul viso e sulle spalle “Sono solo tua” gli sussurrò che era lì per lui, soltanto per lui, perché nel suo respiro dimoravano loro due assieme e non v’era più spazio per il resto del mondo. Perché non c’era mai stato.
Si dettero vicendevolmente, senza fretta, diventando l’una l’appendice dell’altro, in un prolungamento fisico inaspettato e felice, fra coccole, baci travolgenti, mani che si cercavano, bocche che si appagavano.
Nina percepì quasi di morire tra le braccia dell’amante e di essere giunta alle porte dell’estasi “Cri!” continuò a ripetere in una cantilena gioiosa.
Fu pervasa da un benessere immenso che la colse impreparata, in maniera violenta. Gemette con sana energia e l’intero suo essere si contrasse sulla virilità e sul soffio vitale che la stava invadendo.
Gli spasmi femminili travolsero Cristiano, catapultandolo nello stesso identico e meraviglioso istante in una vortice di pura passione riversato nell’affettuosa compagna.
Che si tenne a lui, aggrappandosi alle sue scapole, continuando a baciarlo; sussultò, poggiandosi nell’incavo del suo petto quando il piacere divenne insopportabile e di nuovo tornò a lambirgli le labbra, per placare la tempesta dei loro cuori.
Fu Cristiano a legarla a sé, ancora di più, quasi stritolandola, con sensibilità e terrore; era il panico di chi aveva ritrovato la sua dea e aveva paura di vederla volare via… la consapevolezza che la dolce Nina era la sua altra metà! Lo era sempre stata!
“Non ho mai provato prima ciò che sento per te e non accadrà mai per nessun’altra. Lo vivo nel cuore, sulla pelle e sotto di essa… e in ogni dove” le prese la destra, mettendola all’altezza proprio muscolo cardiaco scatenato al ritmo di un rock acrobatico. “Da quando ti ho conosciuto ho voluto solo essere tuo” non era ancora pronto per lasciarla andare, non poteva. Perseverò in una dichiarazione romantica.
“Voglio il tuo sorriso, il tuo profumo, la tua bocca sulla mia, la tua mano mentre camminiamo, la tua risata esclusivamente per me. Ti voglio tutta, ogni giorno” sussurrò quasi tremando al suono delle proprie parole dannatamente vere e incredibili.
“Cri, sei arrivato tardi” la bruna percorse il contorno delle sue labbra con la punta della lingua ed emise un sospiro.
“Tardi… che brutta parola, la più orrenda del vocabolario! Ascoltami: tutto è possibile, invece, se ci si crede” rivoltò il polso e l’orologio gli rimandò l’ora sbagliata. “No, maledizione… alla faccia della coerenza! Devo scappare, scusami. Non ho nemmeno il tempo di farmi una doccia…” velocemente, si rivestì. “Adoro il modo in cui pronunci il mio diminutivo… Cri!”. Allacciando i bottoni di madreperla della camicia, le propose “Ci rivediamo? Stesso posto, stessa ora, il mese prossimo?”.
“Meglio di no…” avvolta nel lenzuolo sollevò il viso per porgergli l’arco di Cupido in un ultimo bacio che durò un’eternità: quella che forse non avrebbero avuto assieme e che tentarono di trattenere.
“Come desideri, dolce Nina, non insisto” un’ombra di dolore ne oscurò le fattezze, per un istante: la rimandò al mittente, al maledetto cherubino, assieme alla freccia che lo aveva trapassato provocandogli una ferita insanabile. Desiderava salutarla con un sorriso di felicità… non riuscì!
“Addio, Cri” cercò di mettere ogni particella di sé nell’espressione del volto, che lui avrebbe portato con sé.
Cristiano non le rispose: si limitò a richiudersi la porta alla spalle, carezzando i petali del giglio rimasto miracolosamente intatto sul bavero della giacca, in un gesto scaramantico, uscendo dalla stanza e dalla sua vita.
La mora si diresse in bagno per un’abluzione rapida e si preparò per tornare a casa, acconciando i capelli e truccandosi con i prodotti che aveva nella pochette. Il lucido del rossetto color ciliegia spiccava sulle sue labbra, donandole un’aria capricciosa e modaiola.
Scendendo nella hall dell’hotel, fu fermata dal concierge che le porse un biglietto ripiegato in quattro e una classica scatola rettangolare di Baci Perugina “Signora, li hanno lasciati per lei”.
Cristiano le aveva scritto un messaggio, in bella grafia: Ci vediamo qui fra un mese esatto: stesso posto, stessa ora. Se non verrai, mi suiciderò buttandomi dalla terrazza. Ti amo. Cri.
Nina contrasse il viso in una smorfia di irritazione, riponendo il foglietto nella tasca dello spolverino e la confezione di praline sotto il braccio.
“Tutto bene?” chiese il portiere all’affascinante e distinta signora che aveva inusualmente occupato una stanza dell’Hilton con l’amante proprio la sera della festa degli innamorati. Non gli era parsa tipo da tradimenti, ma nel suo mestiere ne aveva viste di cotte e di crude e non si meravigliava più di nulla.
“Sì, la ringrazio. Per favore, può chiamarmi un taxi?” aveva lasciato l’auto in garage, evitando di guidare nel caotico traffico romano per rilassarsi maggiormente.
Arrivata al suo appartamento, non fece in tempo a girare la chiave nella toppa della porta blindata che si ritrovò davanti suo marito: un asciugamano sui fianchi, ricoperto di goccioline d’acqua sul petto, i capelli scuri bagnati, era appena uscito dalla doccia e la studiava.
“Ciao, ti sei ricordato di pagare la baby sitter?” s’informò senza perdersi in convenevoli.
“Certo! Era contentissima perché le ho regalato cinquanta euro! Mi è parso il minimo, ha persino rinunciato a trascorrere il San Valentino col suo ragazzo per controllare i nostri figli” le fece l’occhiolino, con complicità.
Lei rise “Hai fatto bene, se li è meritati. Le nostre due pesti?”.
“Dormono come angioletti. E tu? Ti sei divertita, stasera?” le domandò, ironico, squadrandola dalla testa ai piedi con uno strano luccichio nelle iridi cupe.
“In effetti sì, molto” la donna cercò di non scoppiare a ridere, posando la scatola di Baci Perugina sul tavolo del soggiorno, su cui campeggiava un vaso di cristallo con sette gigli bianchi: sette… uno per ogni anno di matrimonio (**).
“Più del solito? Più delle feste degli innamorati nonché nostri anniversari che abbiamo trascorso assieme?” si mosse verso di lei, scostandole i capelli dal collo e lasciandole un bacio sonoro e umido dietro l’orecchio.
“Uhm, uhm” annuì, languida come una gattina.
“Confessami i tuoi peccati! A parte il cioccolato” l’aiutò a togliere lo spolverino, che volò sul divano, girandola verso di sé.
“Assolutamente no, rimarranno un segreto” si barricò dietro una fragile difesa.
“Quindi solo piacere? Nessuna delusione dalla tua serata, Fenice?” suo marito era curioso. Le mani salde sui fianchi femminili, la esortò “Rispondimi!”.
“Questa!” Nina, agguerrita, aprì il pugno chiuso che conteneva il biglietto datole dal concierge.
Lui perse i colori “Lo sconosciuto ha scritto qualcosa di sbagliato?”.
“Ovviamente! Detesto i ricatti più dei ritardi, Cri. E poi i suicidi non vanno in Paradiso” lo sbeffeggiò, muovendo le labbra a formare un cuoricino con le labbra lucide… il cuoricino di Cupido!
“Amore, è impossibile, sono già in Paradiso! Perché sono con te, Fenice! E scusami, se puoi… mi hanno trattenuto al lavoro! Meno male che sapevo dove trovarti!” Cristiano strinse sua moglie Nina con tutto il sentimento che poté mettere in un unico abbraccio, facendola volteggiare al centro del salone della loro casa.
Il bacio che ricevette quando lei discese coi piedi a terra e gli buttò le braccia al collo fu più intenso e tenero dell’ultimo scambiato nella suite dell’Hilton… era un bacio di pace e rinnovata armonia che valeva una vita intera!
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(*) La bulimia, dal greco boùlimos, fame da bue.
(**) Il giglio da sempre è sinonimo di purezza, generazione e innocenza. Regalare un giglio significa voler ricominciare da capo la relazione con l’altro, ripartire da una pagina bianca da scrivere insieme.
Da inguaribile romantica ho sperato fino alla fine in questo epilogo.
Bella atmosfera, belle parole, tutto è poesia come l’amore.
Complimenti! Mi hai fatto sognare.
Grazie, Barbara, volevo un pizzico di magia!