Premio Racconti nella Rete 2021 “One year from now” di Lorenzo Bazzoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Uscì di casa per la prima volta in un anno, socchiudendo dolorosamente gli occhi invasi dagli ultimi raggi d’ un sole morente che affogava piano piano nell’orizzonte. Tutto le parve mostruosamente irreale dato che, nel suo isolamento, aveva obliato il concetto di colore. Ai suoi occhi disabituati, il mondo di fuori risultava troppo vivido, quasi che la realtà fosse affilata e puntuta come una lama. Era trascorso un anno da quel giorno. Un anno in cui lei non era uscita di casa, un anno durante il quale aveva avuto paura persino di respirare.
E, se fosse dipeso da lei, non sarebbe uscita neanche quel giorno; Ma era il suo compleanno ed in quel periodo dell’anno la vecchia casa di famiglia si riempiva d’ echi ossessionanti e di sussurri strascicati, che rimbalzavano malignamente da una parete all’altra fino a conficcarsi nel suo cervello come uncini arroventati dai neri falò del Tartaro. Le sue articolazioni scricchiolavano e mandavano gemiti mentre muoveva i primi, esitanti passi in un mondo che le pareva familiare nonostante il fatto che ogni oggetto sembrasse emanare un impalpabile alone d’ estraneità. La città era la stessa, immutata da quando lei era venuta al mondo; mentre cresceva e osservava gli amici ed i compagni crescere assieme a lei, la città era rimasta uguale a se stessa, come un quadro che, sebbene deturpato dal tempo, conservi ancora la propria immagine intatta anche se sepolta dalla lordura.
Ora, tuttavia, mentre camminava attraverso strade esitanti, tutto le risultava alieno, come se, attraversata la soglia di casa, fosse caduta al di la dello specchio, trovandosi quindi in un mondo rovesciato, avverso a qualunque forma di sanità. Così camminava come in un sogno ad occhi aperti, eterea figura slavata appena meno consistente delle diafane teorie d’ ombre maligne che le scorrevano tutt’intorno come una corrente d’ acqua putrida. Purtuttavia l’ immobile anno pesava su di lei e sulle sue membra, sicché fu presto costretta dall’esaurirsi delle sue esigue energie a sedersi su una panchina, situata in parco ricco di platani e abeti, ai piedi della quale si stendeva una pozza d’ acqua lercia, in cui poté specchiarsi, per la prima volta in un anno. E si trovò smagrita, si stupì grandemente del pallore della propria carne, delle occhiaie che s’ infossavano profondamente nel suo viso, dell’inconsistenza degli arti che parevano solo ossa alle quali fosse attaccato uno scarno lembo di pelle.
Comprese di essere deperita ma il fatto non la sconvolse, dato che sembrava esser divenuta immune alle passioni. Fu tuttavia scossa da un fremito, d’ amore o d’ orrore chi può dirlo, quando vide un uomo che credeva, che sperava d’ aver dimenticato, avvicinarsi con il solito passo tronfio, come se l’ intero creato non fosse altro che un suo possedimento ereditario. Con studiata noncuranza si sedette al fianco di lei, osservandola fisso con occhi profondi e ardenti come l’ inferno. “ sapevo che ti avrei trovata qui, in questo giorno, seduta su questa panchina, la stessa su cui ci conoscemmo anni e anni or sono” disse l’ uomo con voce mesta, strozzata, sussurrante, mentre sul volto gli si dipingeva un melanconico sorriso.
Lei rispose, lo sguardo appeso ai platani spogliati dall’inverno:” tu! Non dovresti essere qui! Non dovresti, dopo quello che t’ ho inflitto un anno fa, essere in grado di muoverti come se nulla fosse! Perché? Perché sei qui? Perché hai lasciato il tuo freddo sepolcro? Per divertirti a tormentarmi? Per vendicarti? Cosa vuoi da me? Non hai forse fatto abbastanza costringendomi a lasciare la mia gretta prigione? Smettila di ghignare come un ebete e rispondimi, dannato spettro nato appena un anno fa!” E mentre queste parole si lanciavo fuori dalle sue cianotiche labbra come pallottole ed il suo viso era distorto e contratto dalla furia, il suo animo era in realtà calmo e freddo come un lago congelato. Il sorriso di lui svanì e il suo sguardo si fece tetro, affisso su orizzonti inconoscibili: ”sai cosa voglio, lo sai perfettamente. Non voglio niente che tu stessa non desideri. E se sei uscita di casa in questo giorno carico di presagi è perché infine hai deciso di fare ciò che è giusto.
Ed io non sono qui né per fermarti né per esortarti. Sono qui solo per osservare.” Detto questo svanì, come non fossa mai esistito, lasciandola sola e con il capo chino, le palme premute sugli occhi e le dita sprofondate nei capelli corvini che, nonostante la sua giovane età, già erano striati di pallido avorio. I pensieri che avevano vorticato impazziti nel suo cranio come un blizzard mostruoso, si schiarirono d’ un tratto, portando la risolutezza nelle di lei stanche membra.
Si alzò e diresse i suoi passi meccanicamente, inconsapevolmente, verso un luogo che conosceva ma che non comprese finché non vi fu giunta. Si trattava di un grande ed antico ponte che si stagliava a svariati metri d’ altezza sul rivo torbidamente profondo e freddo che attraversava la città per tutta la sua lunghezza e che da tempo immemore la tagliava in due quasi perfette metà. Fu solo quando si fu fermata che poté notare l’ uomo della panchina, l’ amante scomparso, posizionarsi alle sue spalle, dopo che, di nero vestito e confuso tra la folla, l’ aveva seguita per tutto il tragitto, il volto distorto in un ghigno da teschio così malvagio da far tremare la stessa luce. I loro occhi si incrociarono come non accadeva da un anno e lui annuii impercettibilmente. Allora lei balzò sulla murata del ponte e nell’arco d’ un insignificante istante s’ era già scaraventata di sotto.
E mentre le acque crudeli l’ avvolgevano trascinandola verso noumenici abissi, un sorriso le affiorò sul viso, per la prima volta in un anno.
Profondo e tragico. L’abisso delle acque come l’abisso dell’anima umana.
Lessico ricercato.