Premio Racconti nella Rete 2021 “Questioni di igiene” di Giovanni Marco Maggio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Sapeva chi lo stava chiamando, il suo era l’unico numero salvato in rubrica con uno stupido nomignolo e non con nome e cognome come tutti gli altri, ma decise comunque di rispondere al telefono dicendo pronto, chi è che rompe a quest’ora. Lei gli disse ciao, che fai, sei a casa. Hai chiamato sul fisso, fece lui, dove potrei essere. Lei rise e gli rispose idiota, tu non ce l’hai nemmeno un telefono fisso. Lui le disse hai ragione, scusa, che succede e lei rispose un casino con la lavatrice, perde acqua da tutte le parti e si è allagato il bagno. Mi dispiace ma com’è successo. Guarda, non ne ho idea, non è che puoi passare a vedere. Sto andando adesso a fare la spesa ma posso passare appena ho finito, rispose. Fammi questo favore se puoi, vieni un attimo adesso; se neanche tu riesci a capire di che si tratta allora chiamerò un idraulico e gli regalerò i soliti cento euro per la chiamata, se tutto va bene. La freccia dei sensi di colpa – lui conosceva molto bene la sensazione e lei sapeva dove colpire – si infilò tra l’ottava e la nona costola. Sbloccò il cellulare per vedere l’ora: va bene, disse, tra dieci minuti sono lì e vediamo di che si tratta. Parlo come se ne capissi qualcosa, pensò.
Uscì di casa e salì sul primo bus fetido e senza aria condizionata che gli passò davanti. In fondo, stravaccato sui sedili dell’ultima fila, un barbone ubriaco si godeva il suo abituale tour panoramico della città. Davanti, il conducente parlava al telefono e lui sbirciò tra i sedili vuoti per vedere se avesse avuto almeno la coscienza di indossare gli auricolari. La città era deserta e lui si sentiva l’ultimo stronzo a non essere ancora andato in ferie ma il pericolo era sempre dietro l’angolo e le norme stradali vanno rispettate anche a fine luglio. Scese alla fermata e si stupì di trovare il portoncino aperto. Chiamò l’ascensore perché di affrontare a piedi sei piani di scale con quel caldo, neanche a parlarne. Vide la propria immagine riflessa sullo specchio sbeccato e si passò una mano tra i capelli sudati.
Lei gli diede il benvenuto scalza e in pantaloncini. Grazie per essere venuto, gli disse, ti conviene toglierti le scarpe prima di entrare perché di là è tutto sottosopra. Lui la baciò sulla guancia, fece una battuta sul suo aspetto e si avviò verso il fondo del corridoio. Lei aveva spento la lavatrice ma il bagno era ormai uno stagno. Per terra c’erano alcuni strofinacci che aveva usato per tamponare l’emorragia, all’angolo il secchio rosso dello straccio pieno di acqua sporca. Per prima cosa lui lo svuotò nel gabinetto, tirò la catenella dello sciacquone e le chiese di aiutarlo ad asciugare per terra.
Senti ma che vuoi fare più tardi, chiese lui. Non so, pensavo che potremmo andare a bere qualcosa fuori, ti andrebbe, rispose lei. Sì, mi andrebbe, se finiamo per tempo qui. Guardò tra i tubi per controllare che non fosse saltato qualcosa e gli sembrò tutto a posto. Aprì la vaschetta del detersivo e controllò che non ci fossero calcare o granuli di ammorbidente. Non era un esperto come voleva farle credere ma gli sembrò di fare una cosa logica che gli avrebbe permesso di fare la sua porca figura. Nemmeno lì trovò niente di rilevante. Lei lo osservava attenta, ferma sulla porta con le mani sui fianchi. Proviamo a riaccenderla, le propose, e vediamo da dove perde, com’è che si fa. Sfumava così la professionalità mostrata fino a quel momento.
Scelsero il lavaggio rapido e, dopo pochi secondi dall’avvio, la lavatrice ricominciò a zampillare. Prima lentamente, poi la perdita si fece più consistente. Lei gli disse di spegnere, spegnere, fai veloce. Ecco, disse lui, ora capisco: qualcosa è rimasto incastrato nell’oblò, è tipo un laccio nero ma non so cosa sia di preciso. Svelato l’arcano, esultò lei, pensavo fosse più grave, menomale allora. Presero una tinozza di plastica e la posizionarono sotto l’oblò e aprirono la lavatrice che riversò quasi tutta l’acqua fuori. La tinozza riuscì a raccoglierne solo una minima parte e il resto finì sul pavimento e i due, di nuovo, furono costretti a pulire.
Vediamo cos’era che bloccava tutto, questo maledetto, disse lei. Infilò la mano tra i vestiti e tirò fuori un indumento nero che le si srotolò in mano, ancora zuppo e gocciolante. Lui inclinò la testa per capire di cosa si trattava. È una gonna, chiese. Non mi pare, fece lei. Lui guardò meglio e si accorse che era una camicia da notte corta e trasparente che finiva in una culotte di pizzo. E questa cos’è, le chiese. Lei vide quello che aveva in mano, non aveva ancora capito, guardò lui e per un istante rimase spiazzata. Sorpresa per te, disse pochi secondi dopo sollevando le spalle. Bella, disse lui, la puoi mettere questa sera per uscire.
Poi fecero finta di niente. Lui non diede peso al fatto e andò verso l’ingresso, indossò le scarpe e le disse allora ci vediamo più tardi, vado a fare la spesa e ti richiamo per metterci d’accordo. Va bene, disse lei, grazie mille per l’aiuto, lo baciò sulle labbra. Lui ricambiò il bacio ma si sentì frenare.
Uscì dall’appartamento che lei aveva preso in affitto prima di conoscerlo, scese la prima rampa di scale e si bloccò sul pianerottolo del quinto piano. La camicia da notte. Pensandoci bene, lui non l’aveva mai vista con qualcosa del genere addosso. Era possibile che, dopo tre anni di relazione, lei avesse voluto sorprenderlo. Al solo pensiero, percepì una vampata di desiderio farsi spazio tra le sue gambe. No, non era possibile, pensò, c’era sicuramente qualcosa che lei gli stava nascondendo. E poi, mai risolta, gravitava attorno a loro la faccenda di quella notte in metro, che lei non aveva mai chiarito a fondo e di cui lui non aveva più osato chiedere. Il dubbio iniziò a serpeggiare dentro di lui e annullò ogni impulso erotico. Lui prese a schiaffi l’immagine del vagone vuoto, delle cinque di mattina di una notte di inizio giugno e di un messaggio senza replica e rifletté sul fatto che non c’erano neanche anniversari o eventi particolari da festeggiare, almeno non che lui ricordasse e lui, questo gli era riconosciuto da tutti, non dimenticava mai niente. Temporeggiò ancora per qualche secondo, con gli avambracci poggiati sul corrimano in legno e un’espressione riflessiva stampata in faccia. Fu a quel punto che si decise a chiederle spiegazioni. Risalì le scale, si sistemò la maglietta, calibrò il respiro. Sperò di ritrovarsela davanti con la camicia da notte addosso ma non fu così, non poteva essere così. Drindrin.
Lei rispose al campanello. Chi è, chiese, e lui non disse nulla, ché stava ancora riprendendo fiato. Aprì la porta e se lo ritrovò davanti. Che ci fai di nuovo qui, gli chiese. Vorrei sapere come mai hai comprato quel vestitino, esordì lui. Ma cosa fai lì sulla porta come uno scemo, entra, disse lei. No, grazie, mi basta solo sapere per chi hai comprato quella camicia da notte, dopodiché posso pure andarmene. Per te naturalmente, rispose lei, per chi altro. A me invece non sembra così naturale come dici tu, sento che non me la racconti giusta, ribatté lui. Scusa, fece lei, per caso c’è qualcosa che non va, perché a me sembra così. Sì, quello che non va è che mi piacerebbe sapere con chi stai scopando, chi è questo. Chi deve essere, rispose lei, non è nessuno, stai delirando. Non hai mai fatto nulla di tutto ciò per me fino ad ora quindi deve per forza essere per qualcun altro. Senti, disse lei: l’ho visto in vetrina, ti ho pensato e, siccome l’avevo appena comprato, ho deciso di lavarlo prima di indossarlo, semplici questioni di igiene, ora sei contento. Potevi mandarmi una foto se ci tenevi tanto. Volevo che fosse una sorpresa, disse lei.
Lui fece la sua solita faccia perplessa. Si appoggiò allo stipite della porta d’ingresso e si grattò il naso. Mise le mani in tasca alla ricerca di una replica ma lei lo incalzò prima che lui potesse trovarne una a tono: se la pensi così, forse è davvero il caso che io lo faccia, che io mi scopi uno con questa camicia nera addosso e magari ti mandi pure un video per farti vedere che avevi ragione, perché tu hai sempre ragione. Non attaccarmi per difenderti, fece lui, non fai ridere, mi basta una risposta onesta. Te l’ho già data, urlò lei, basta, non vale la pena continuare a discuterne, sei ridicolo, come al solito. Gli sbatté la porta in faccia e ritornò dentro. Interruppe ancora il ciclo della lavatrice, prese il sacchetto della spazzatura dalla cucina e ci buttò dentro la camicia da notte. Si sedette sulla tavoletta del wc a gambe larghe. Puntò lo sguardo sulle dita dei piedi raggrinzite e vide che le era saltato lo smalto trasparente dall’alluce sinistro. Sbuffò.
Lui fu tentato di bussare ancora ma alla fine uscì dal palazzo e si avviò verso il supermercato. Due bambini in bicicletta gli passarono accanto. Uno sorpassò l’altro e lo colpì sulla testa con uno scappellotto: corri, ciccione, prova a raggiungermi. Il bambino grasso si alzò sui pedali e cercò di dare il meglio di sé. Anche lui affrettò il passo. I due bambini svoltarono su una strada secondaria e non si videro più.
Rientrò a casa con due sacchetti della spesa e sistemò la verdura in frigo e le conserve nella dispensa. Si spogliò e si infilò sotto il getto d’acqua fredda della doccia e si guardò i piedi. Lo shampoo, ecco cosa ho dimenticato di comprare, pensò mentre si insaponava la testa con il bagnoschiuma.
Lei chiama il compagno in un’ora insolita perché vada a casa sua a controllarle la lavatrice bloccata che perde acqua, altrimenti deve chiamare un idraulico che per l’intervento d’urgenza si farà pagare a caro prezzo. Lui un po’ per generosità un po’ per orgoglio maschile accetta, nonostante non si intenda di queste cose. Riesce comunque a rimediare al guasto, ma scopre che a causare il problema era un indumento intimo femminile molto sensuale che di solito viene indossato in occasioni un po’ trasgressive. Lui si convince che lei indossi questo capo per andare a letto con l’amante, e a niente servono le spiegazioni di lei che sostiene di averlo comprato solo per lui. Il racconto finisce con una mezza scenata e lei che butta via la sottoveste e lui che se ne torna a casa a macerarsi nei suoi dubbi. Racconto che è una piccola fotografia dei tormentati e precari rapporti di coppia di oggigiorno. Scrittura “moderna” che in una successione di scene unisce narrazione e dialogo.
Scrivi molto bene, complimenti. Anch’io ho notato la “modernità” della scrittura, come dice anche ill commento qui sopra.
A me rimane l’atroce dubbio!!!!! Ah ah ah ….
Bravo!!