Premio Racconti per Corti 2021 “Spleen” di Nicola Giannini
Categoria: Premio Racconti per Corti 2021L’ “Osteria del Pellegrino” così era chiamata, era un locale piuttosto angusto. All’interno sulla sommità delle pareti spiccavano teste di cervi imbalsamati, le quali corna erano un terreno ideale per le vistose ragnatele che regnavano tra un busto ed un altro.
La locanda non era molto frequentata ed il signor Melchiorre, ormai ottantenne e la moglie Rosalinda, erano i gestori di quell’esercizio che era ormai diventato per loro un’ancora alla vita soprattutto da quando furono costretti a salutare per l’ultima volta il loro unico figlio, morto a soli quindici anni a causa di una incurabile malattia.
Quando Geremia entrò, il locale era pressoché deserto, solo un vecchio seduto accanto alla finestra in fondo all’ampio salone, versava da una bottiglia le ultime gocce di brandy rimaste, in un piccolo bicchiere.
Geremia si diresse con passi pesanti verso il bancone ed esordì: – “Vorrei mangiare, qualcosa, sono stanco”.
Melchiorre, disse a Rosalinda di preparare un tavolo, ed intanto interloquì in toni cordiali con la strana e inedita figura, mentre lo accompagnava alla panca: – “Benvenuto nella nostra locanda. Come vede non è molto affollata e potremmo subito rifocillarla. Ecco si accomodi pure.” Geremia appoggiò lo zaino sul pavimento si posò sulla sedia, e dopo due colpi di tosse, si stropicciò gli occhi, e disse: – “Vorrei bere acqua, mangiare pasta bianca.. o con sugo rosso e verdura.” Rosalinda annuì, e decifrò le espressioni bizzarre dell’anziano cliente segnando tutto lentamente, poi si diresse in cucina. Per Geremia i colori erano importanti nello scegliere il cibo.
Marino, l’ubriacone, non era quel che comunemente si dice, una brava persona. Da anni consumava alcoolici nella locanda solo talvolta sborsando un quattrino, approfittando della benevolenza di quei due diligenti vecchietti, ed era di temperamento rude; a risentirne in passato furono soprattutto la moglie e la figlia, che ormai non vedeva da molti anni, da quando nel corso di una notte fuggirono dalla sua abitazione. Da quel giorno la condotta di vita di Marino peggiorò ulteriormente e passava sovente intere giornate in quell’osteria ad affogare i ricordi a suon di cognac e brandy. Quel giorno era andato in osteria molto presto e probabilmente era già alticcio prima di entrare nel locale. In quei frangenti, quando era completamente ubriaco, erano guai per chi ci avesse avuto a che fare e a scontarne le conseguenze erano soprattutto i due esercenti che a suon di minacce erano costretti a versare liquori.
-“Rosalinda portami un cognac e offrine una anche al signore”- esclamò Marino con voce rauca dirigendosi verso il nuovo arrivato. Geremia, guardava con aria sospettosa quella figura che si stava avvicinando, ma rimaneva impassibile.
– “Allora cosa ci fa da queste parti? Non la vedo in buone condizioni eh eh eh. .. ma che vuole in questo mondo solo le donne sono sempre in buone condizioni, non trova?”- e lasciò partire uno sputo sul pavimento.
-“Marino smetta subito di importunare il signore e si rimetta al suo tavolo!”- intervenne Melchiorre. Già altre volte era capitato che dovesse intervenire per sedare il suo abituale cliente, ma questi lo ignorava o peggio se la prendeva con Melchiorre stesso. Mai comunque Marino aveva alzato le mani sui due buoni negozianti e anche loro sapevano che mai l’avrebbe fatto con loro. Ma quello era uno di quei giorni, che aveva bevuto così tanto che non era per niente padrone di sé, e in quei momenti era comunque sempre imprevedibile.
– “Sa forestiero, le donne mi hanno rovinato. A cominciare da quella vacca di mia madre che mi ha messo al mondo, in questo schifo di mondo, in cui tutto è vomito.. anche lei forestiero puzza tanto, ma che vuole, tutti siamo marci tutti siamo destinati a marcire, la vita è un lenta decomposizione, più passano le generazioni più il fetore aumenta!”-.. e tornò al suo tavolo senza che Geremia, avesse cambiato espressione. Poi con un labile sussurro: “La vita non è facile” osservò Geremia rivolgendosi a lui.
-“No, non è facile. Io per esempio non ho mai saputo vivere, perché sento che la vita non mi appartiene. Io non sono nato per la vita, non sono nato per la sofferenza altrui a mio vantaggio, ma sono nato per il mio alcool di merda, ecco per cosa sono nato!”- Geremia continuava a rimanere impassibile e ascoltava il vecchio che intanto si era alzato e davanti a lui: – “Vedi vecchio, per vivere tu hai bisogno prima di tutto di mangiare. Ma ti nutri di animali, di piante tutti viventi e anche tu lo sei: solo il diritto del più forte ti giustifica la vita, ed io la vita la rifiuto per questo e amo tutto ciò che fa schifo. Perché tanta sofferenza? Perché la vita è questo? Io ho smesso di vivere da tempo, ma non è questa la strada: io vorrei non essere nato.” Detto ciò rimase in silenzio. E Geremia si mise a piangere dentro di sè. Infondo era vero ciò che il vecchio barbone diceva, e anche lui non avrebbe voluto essere nato, ma la tristezza delle sue parole lo allontanarono da se stesso e dalla volontà di uno sguardo di comprensione verso quel suo simile.
Rosalinda arrivò nella sala con un piatto elegante e finemente decorato riempito di pasta fino al bordo, e colorata in maniera omogenea con una salsa di pomodoro. “Ecco a lei, spero sia di suo gradimento”- disse mentre porgeva il piatto a Geremia il quale, alzò ali occhi verso la vecchia e annuì.
-“Ehi donna portami il mio dannato cognac che ti avevo chiesto e anche al nostro nuovo amico!”.”
– “Marino deve smetterla di bere o si rovinerà definitivamente”- tuonò un giovanotto entrando nella locanda e e dirigendosi verso il banco per cambiare dei soldi. Giovanni era un uomo sulla trentina ma conservava la grinta e l’aspetto di un ventenne.
– “Cow boy occupati delle tue stronzate e delle tue donnette e non badare a me… la vita insegnerà presto a chinare il capo anche a te che sorridi, è solo questione di tempo.”
-“Oggi è proprio ridotto male – sussurrò il giovane a Melchiorre mentre gli cambiava una banconota in monete. – “Si stamattina era già completamente sbronzo, qua non ha bevuto molto.” Melchiorre mostrava l’orgoglio di sentirsi ancora attivo. L’orgoglio era l’oppio che lo nutriva, dalla morte del figlio, ma di fatto esibiva quotidianamente la sua incapacità a farsi rispettare, e sempre per orgoglio mai chiedeva aiuto nel difendersi. Per dimostrare quello che lui non era, sacrificava la sostanza sull’altare della forma: ma era solo un’illusione disperata che aveva efficacia esclusivamente su se stesso perché tutti sapevano di che pasta era fatto, e tutti sapevano che specialmente negli ultimi anni non faceva che peggiorare questo lato di se stesso.
– “Grazie Melchiorre, allora ci vediamo. Salutami anche Rosalinda, oggi non posso fermarmi di più vado di fretta, devo sistemare ben sei cavalli.”Con queste parole Giovanni uscì dall’osteria.
Geremia dopo aver terminato il pasto, rimase al tavolo in silenzio. Egli aveva pochi soldi con sé, ma gli sarebbero bastati per ben altri dieci pranzi come quello ma il suo sguardo e la sua espressione verbale di quel momento equivocamente potevano essere interpretati come quelli di una persona che non poteva permettersi di pagare; Rosalinda così interpretò, e si allontanò dirigendosi affranta in cucina: quella volta decise che sarebbe stata l’ultima e svuotò dentro sè tre barattoli di barbiturici. Nel contempo Geremia decise di alzarsi e si diresse verso il bancone e chiedendo il conto a Melchiorre e lo pagò, salutando il buon bottegaio con il cenno della mano sinistra, proprio mentre Marino si stava ridestando dopo essersi addormentato.
Che dire? Cin cin e in bocca al lupo…anzi al cervo!!!!
Grazie e crepi il lupo!
In vino veritas! Melchiorre fra ambrosia di osteria e oro per Gesù Bambino
Commento poetico. Anche nelle realtà più crude.. la verità è una questione prospettica; almeno nei testi letterari.