Premio Racconti nella Rete 2021 “Perché ti preoccupi?” di Teresa Principato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Anna si preoccupava per ogni cosa, dalla scadenza delle bottiglie di latte in dispensa fino ai conflitti in Medio Oriente.
Aveva sempre qualcosa per cui darsi pensiero.
A casa: le bollette da pagare, il pane da comprare, il piumone da portare in lavanderia. E in ufficio: lo stagista da formare, il progetto da chiudere, il report da preparare. E poi: la dieta da seguire, la palestra da frequentare, e le malattie – per l’amor del Cielo, non dimentichiamo le malattie da scongiurare! Perché Anna soffriva anche di una lieve forma di ipocondria – d’altra parte, essendo una persona che si preoccupava per tutto, non poteva di certo non preoccuparsi per la salute.
Perfino gli amici, pur facendo parte – sulla carta – dell’universo del relax, le davano pensiero, perché doveva organizzare aperitivi, cene e dopocena in modo tale che chi mal si sopportava non si trovasse nello stesso posto nello stesso momento, e allo stesso tempo doveva pianificare una rigorosa turnazione a cadenze più o meno regolari in modo che, non potendo metterli tutti insieme, nessuno si sentisse trascurato o messo in secondo piano.
Intendiamoci, Anna non era sola. Accanto a lei c’erano Federico, suo marito, e il piccolo Andrea, il loro bambino. Certo, quel che riguardava il suo lavoro erano solo cose sue, ma nelle cose di casa Federico non era uno di quelli che “aiutavano” la moglie, che davano per scontato che le incombenze fossero tutte di competenza della donna e che si sentivano degli eroi quando mettevano i piatti sporchi in lavastoviglie: Federico partecipava attivamente alla gestione della casa e di Andrea, e anzi c’erano cose di cui si occupava esclusivamente lui da anni – come la pulizia dei pavimenti, per cui Anna non era certa di sapere con precisione neppure il colore del mocio in uso in quel momento. Andrea poi era un amore: molto educato, molto ordinato e molto intelligente per i suoi sette anni – un piccolo ometto che riempiva di orgoglio mamma e papà.
Dicevamo: Anna non era sola. Semplicemente, su questo aspetto viveva in un mondo tutto suo, dove nessuno poteva raggiungerla perché nessuno poteva davvero capirla. Era un mondo nel quale lei saltellava incessantemente da una questione all’altra finché qualcuno non le risolveva (lei, Federico o perfino Andrea) oppure non si auto-risolvevano. E a quel punto – ad esempio quando il pane era stato comprato, il progetto chiuso e l’aperitivo consumato – venivano subito rimpiazzate da nuove faccende da sbrigare, risolvere, portare a termine.
Anna non conosceva il significato dell’espressione “svuotare la mente”.
Le piaceva avere tutto sotto controllo. E non solo quello che riguardava strettamente la sua persona: si sentiva in dovere di farlo anche per le persone a cui teneva – e non erano poche, essendo lei una persona molto buona, empatica e disponibile verso il prossimo. Federico aveva provato più volte a farle capire che non solo non era necessario affannarsi a quel modo, ma che poteva anche essere dannoso per la sua salute mentale. Ma Anna non conosceva altro modo di vivere, per cui Federico non aveva potuto far altro che accettare le cose per come erano e provare quantomeno, da parte sua, a darle meno preoccupazioni possibili.
Da un po’ di tempo, però, Anna si sentiva un po’ strana. Era stato un anno difficile – la pandemia, la cassa integrazione, la malattia di uno zio a cui era affezionata e tante altre piccole cose tra cui Andrea sempre a casa – ma in realtà il numero di faccende di cui preoccuparsi era diminuito molto. La “vita a metà” derivante alle misure imposte dalle istituzioni a causa dell’emergenza sanitaria aveva inevitabilmente ridotto le necessità, le incombenze e le situazioni di cui era solita darsi pensiero. Eppure lei si sentiva più inquieta che mai.
Quel giorno era stata tutto il tempo a casa: non c’era stata alcuna necessità o esigenza per cui preoccuparsi di uscire. Federico era ancora al lavoro – le farmacie non avevano mai chiuso le serrande – e Anna aveva appena concluso la sua giornata di smart working (che poi non c’era nulla di smart in quel che faceva, dato che era costretta a stare davanti al pc esattamente come faceva in ufficio dalle 9 alle 18: forse sarebbe stato più corretto chiamarlo telelavoro, ma si sa che l’inglese rende tutto più professional). Andrea stava disegnando qualcosa, seduto al tavolo della cucina accanto a lei. Si stava facendo sera: a quel punto bisognava preoccuparsi solo della cena. Anzi, neppure di quella, tanto era già perfettamente pianificata: spaghetti al sugo con polpette “di Lilli e il Vagabondo”, come diceva Andrea, che adorava tanto il piatto quanto il film.
Anna si era alzata dalla sedia e aveva iniziato a riordinare i fogli del lavoro sparsi sul tavolo.
“Andrea, amore” aveva detto, “tra poco è ora di cena. Dobbiamo preoccuparci di sistemare tutto e di preparare da mangiare prima che torni papà”.
Il bambino aveva continuato a colorare come se non l’avesse sentita. Anna non aveva insistito, anche perché era già andata nello studio a mettere a posto il portatile e i documenti, era tornata in cucina e aveva iniziato a svuotare la lavastoviglie. Sistemata quella faccenda, si era accorta che c’erano delle ditate sullo sportello lucido del forno a microonde, così aveva preso la spugna e le aveva rimosse. Poi si era ricordata che il giorno prima aveva detto a Federico di pagare la bolletta del gas, ma non aveva verificato se la cosa fosse stata effettivamente fatta o meno, così aveva preso il suo smartphone per controllare sull’app del gestore se la questione fosse stata effettivamente risolta o no. Nel farlo aveva visto che la sua amica Giulia le aveva mandato un messaggio su WhatsApp, chiedendole se lei e Federico, visto l’allentamento delle restrizioni, erano disponibili per andare a mangiare una pizza con lei e il suo compagno, rigorosamente all’aperto.
“Ci siamo, si ricomincia! Certo che se organizziamo con Giulia e Roberto per questo weekend, magari per sabato, poi dovremmo sentire Michela e Luca, e Fabio e Davide, per non far torto a nessuno. Magari per la settimana dopo, Michela al venerdì e Fabio al sabato”.
Anna aveva iniziato a ragionare ad alta voce. Lo faceva spesso, a casa, per far sì che chi era nei dintorni – Federico principalmente, ma anche Andrea per le faccende che lo potevano riguardare – potesse sentire, intervenire e nel caso muovere obiezioni: si preoccupava del fatto che nessuno avesse di che lamentarsi, poi.
“Ci saranno sicuramente dei locali che non rispettano correttamente le norme di sicurezza. Dove posso verificare? Forse dovrei fare un giro per vedere se quei due o tre che ci piacevano di più sono davvero a posto. O magari qualcuno ha lasciato qualche recensione su internet! Devo ricordarmi di controllare. Sì, prima metto su il sugo e poi controllo, direi. Oh, ma la bolletta alla fine non è stata pagata! Che testa, Federico! Devo sempre ricordargli tutto io. Per fortuna scade tra due settimane, però se lo facciamo subito non corriamo il rischio di dimenticarcene. O meglio: Federico se ne dimenticherebbe! E se non gestissi con attenzione i nostri appuntamenti, rischieremmo di perdere tutti gli amici! E se non controllassi i ristoranti, rischieremmo pure di ammalarci. Ah, meno male che ci sono io che mi preoccupo!” aveva concluso.
“Perché?”.
Era la voce infantile del piccolo Andrea.
Anna si era voltata a fissarlo, in silenzio. Che domanda era, “perché”? A cosa si riferiva? Si era forse persa qualcosa? Forse le aveva già posto una domanda che lei, presa dai suoi pensieri ad alta voce, non aveva sentito?
“Perché ti preoccupi?” aveva precisato il bambino, che nel frattempo si era alzato dalla sedia e l’aveva raggiunta.
Anna aveva sbattuto le palpebre un paio di volte, senza smettere di fissarlo. La stava forse prendendo in giro? Era possibile che un bambino di sette anni stesse provando a prendersi gioco di lei, donna adulta e responsabile?
“Beh, perché qualcuno dovrà pur farlo” aveva risposto lei, con tono stupito.
“E perché tu?” aveva chiesto ancora Andrea, continuando a guardarla dal basso verso l’alto, con il piccolo indice della mano destra poggiato sul labbro inferiore. La domanda non era posta con tono accusatorio, né canzonatorio. Era semplice, genuina curiosità.
E quella genuina curiosità la stava spiazzando.
Anna non riusciva a ricordare quando aveva iniziato a preoccuparsi di tutto. Era sempre stato automatico, per lei, non solo farsi carico dei problemi di cui veniva a conoscenza, ma anche cercare di prevedere l’imprevedibile e studiare modi per porvi rimedio. Non ricordando il “quando”, le diventava difficile anche trovare il “perché”.
E d’altra parte nessuno, prima di Andrea, le aveva mai posto questa domanda in maniera diretta.
Certo, indubbiamente preoccuparsi continuamente di tutto le costava una gran quantità di energia. Mentale, più che fisica. E ora questo bambino curioso, con la banale domanda dei bambini – Perché? –, l’aveva messa di fronte al fatto che una risposta pronta e convincente non l’aveva.
Perché si preoccupava per tante cose?
Dove sperava di arrivare, preoccupandosi tanto?
Cosa sperava di ottenere?
Non lo sapeva.
Non lo sapeva dire con certezza.
Non ci aveva mai pensato.
Dopo queste rapide riflessioni, Anna aveva sorriso dolcemente al piccolo Andrea. La sua domanda era semplice, ma la risposta non lo era affatto.
E così ora aveva una nuova questione di cui preoccuparsi.
In quest’ultimo periodo, i motivi per preoccuparsi sono stati tanti, di pari passo alla voglia di tranquillità.
Scrivere è stato un ottimo antidoto. Ogni giorno ha la sua pena si dice. Viviamo l’oggi e speriamo nel domani.
Anna, la protagonista del racconto, è perennemente occupata a gestire ogni aspetto della propria vita in modo che questa non possa riservarle brutte sorprese.Credo sia questa la risposta alla domanda “perché”che le rivolge il piccolo Andrea sentendola riflettere ad alta voce. Avere una vita ben organizzata ritengo sia essenzialmente un pregio, ma è anche vero che un esercizio ossessivo di questo controllo può facilmente divenire pretesa, verso se stessi e verso gli altri. Racconto divertente, scrittura scorrevole.