Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “La mancia” di Gianpaolo Antolini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Campo Carlo Magno, estate 1970.

La Fiat 600 beige rallenta, mette la freccia ed entra nel parcheggio dei Fortini, la stazione di partenza del Grostè. Nicolò scende, saluta e ringrazia la persona al volante.

Tutte le mattine, verso le sette, si porta alla rotonda del suo paese a fare l’autostop. Deve intercettare gli operai delle funivie che ogni giorno risalgono la Val Rendena fino a Madonna di Campiglio per lavorare. Ormai lo conoscono, sanno che va a fare il caddie al campo da golf e gli danno volentieri un passaggio. Ha quindici anni e la voglia di mettersi in tasca qualche soldino, senza dover chiedere sempre a mamma e papà.

È una bella giornata, non c’è una nuvola in cielo. Zainetto in spalla, si dirige velocemente verso il Golf Hotel. I suoi colleghi sono già arrivati tutti. Molti abitano qui, lui è quello che viene da più lontano. Celso risponde con un sorriso al suo saluto.

Mentre aspettano che i clienti dell’hotel vengano a fare un giro sul campo, giocano a calcio in uno spiazzo lì vicino. Sono una ventina. Lui è uno degli ultimi arrivati, il più giovane… ma è alto, ben messo e col pallone ci sa fare.

Verso le nove c’è una bella fila di signori impettiti e impazienti davanti allo stanzino della Club House, dove Celso conserva le sacche dei ferri, pianifica orari e giri sul campo, sceglie il caddie da affiancare a ognuno di loro. Ci sono quelli che preferiscono un giro in solitaria, altri che cercano compagnia per giocarsi l’aperitivo, altri ancora che scelgono di girare in gruppo, talvolta con mogli e figli al seguito.

Celso li chiama per nome, uno alla volta, affida loro la sacca con le mazze e indica il cliente da accompagnare.

Alle dieci sono rimasti in tre, seduti sulla staccionata che delimita la buca di partenza del campo da golf; gli altri sono tutti fuori, a girare. Ne approfittano per mettere qualcosa sotto i denti. Nel suo zainetto i soliti due panini con la mortadella, una mela e una bottiglietta d’acqua. La mamma sa che preferisce il prosciutto crudo, ma dice che costa troppo.

Passa un quarto d’ora e arrivano in tre, accompagnati dalle rispettive signore. Sono eleganti, raffinati, vestiti di tutto punto. Celso li chiama.

«Ehi ragazzi, mi raccomando, questi sono professionisti! Quello alto è un campione, ha già vinto un sacco di premi. Sono venuti a provare il percorso per la gara di domenica.»

A Nicolò capita proprio lui, il campione… un tipo di poche parole, abbronzato, sulla quarantina. Da come picchia con il legno alla prima buca, capisce che è al cospetto di uno che fa del golf la sua professione.

Coprono le prime due buche in pochi minuti. I tre non si perdono in chiacchiere: scrutano il campo, ogni tanto strappano dei fili d’erba e li rilasciano per capire dove tira il vento, scelgono i ferri con cura, provano e riprovano i movimenti prima di colpire la pallina.

Alla terza buca il campione spara un drive terrificante. La Dunlop bianca sparisce al di là del dosso. La direzione, però, non è quella giusta. Nicolò ha paura che sia andata a finire nell’erba alta, anziché rimanere nel tracciato.

Non aspetta i tiri degli altri due, si mette la sacca in spalla e si avvia rapidamente verso la zona in cui l’ha vista cadere. La raggiunge in pochi minuti. La pallina non è sul percorso, è proprio nel rough; sarà un problema trovarla, lì dentro.

L’erba gli arriva fin sopra le ginocchia. Delimita con gli occhi l’area in cui presume sia finita e comincia a perlustrare e a tastare il terreno con i piedi. La speranza è di sentire prima o poi qualcosa di duro sotto le scarpe.

Il gruppetto nel frattempo lo raggiunge. Il campione vuole assolutamente ritrovare la pallina e rimetterla in gioco senza subire penalità. Gli secca perdere, non importa se si tratta di un giro di allenamento. Tutti lo aiutano a cercarla. Anche le signore fanno finta di partecipare, chinandosi ogni tanto a spostare l’erba con le mani.

Passano i minuti, il campione si innervosisce.

«Basta, lasciamo perdere! E tu stai più attento, la prossima volta!» sibila, guardandolo di traverso.

Escono tutti dal rough. Rimane da solo, vuole fare un ultimo tentativo. Intanto il campione si fa dare una pallina nuova per poter riprendere il gioco. Sta per scoccare il tiro, quando Nicolò sente qualcosa sotto il piede sinistro. Abbassa la mano e la raccoglie.

«Fermi, fermi! L’ho trovata!» grida felice, mostrandola a tutti.

Il campione lo fulmina un’altra volta con lo sguardo. E non solo.

«Ma che fa ‘sto deficiente! Non conosce le regole?!» urla.

Tutti lo guardano, le signore con quell’aria di sufficienza e superiorità che gli aveva dato fastidio fin dal primo momento.

Si irrigidisce. Ha ancora la pallina in mano. Abbassa lentamente il braccio e la lascia cadere nell’erba. Poi fa la stessa cosa con la sacca dei ferri, levandosela dalle spalle. Quindi, senza dire niente, gira i tacchi e torna indietro.

Il campione sbotta, un’altra volta.

«Ehi tu, dove vai? Torna subito qui! Ehiii… dico a te!»

Lo lascia sbraitare. Anche i suoi amici lo chiamano.

«Dai Nic, torna indietro… non fare così!»

Non li ascolta e tira dritto.

Quando Celso lo vede arrivare, esce di corsa dal suo sgabuzzino.

«Cosa diavolo ci fai, qui?! Non eri sul campo a girare?»

«Sì, ma è successa una cosa e mi sono arrabbiato.»

Racconta a Celso perché è lì con lui e non sul percorso a portare le mazze al campione. Gli dice che per oggi basta, torna a casa.

Lo saluta, riprende lo zainetto e si dirige verso i Fortini. Ha tutto il tempo per azzannare la mela e l’altro panino con la mortadella. Anche al ritorno fa l’autostop. Un’oretta basta per arrivare a casa, non sono ancora le tre del pomeriggio.

Sua madre non c’è, è andata a trovare una vicina di casa che non sta bene. Il nonno è seduto in cucina, con l’immancabile Nazionale esportazione in bocca; sta facendo un solitario con le carte da briscola. Lo avvisa che va all’oratorio a giocare a pallone con i suoi amici.

La sera dopo cena deve spiegare ai genitori perché è tornato prima da Campiglio. Mentre parla scruta sua madre e capisce che non ha per niente apprezzato il suo comportamento.

«Hai fatto bene!» lo conforta invece suo padre, appena rientrato dal lavoro, quando finisce di riferire come sono andate le cose. Nicolò gli butta le braccia al collo e gli dà un bacio. Anche il nonno annuisce, facendogli l’occhiolino.

«Papà, non ci voglio più andare a Campiglio! Trovami qualcos’altro da fare qui in paese, per favore.»

«No, domani tu ci torni e ti comporterai come se non fosse successo niente!» gli risponde, fissandolo dritto negli occhi. Non osa replicare, anche il tono di voce non ammette discussioni.

La mattina dopo Celso sorride quando lo vede arrivare, ma non dice niente. I suoi amici lo guardano in modo diverso dal solito. Lui fa finta di nulla, come gli ha suggerito suo padre.

Verso le dieci i tre giocatori del giorno prima si ripresentano puntuali al campo, senza le signore questa volta. Vede il campione parlottare con Celso. Poi sente chiamare il suo nome.

Si avvicina, incredulo. Celso gli porge la sacca dei ferri e gli sussurra all’orecchio un “Mi raccomando…”

«Andiamo?» dice il campione, squadrandolo con aria divertita.

Si avvia davanti a loro, senza dire niente.

Coprono le nove buche in meno di due ore. Lui si limita a portare la sacca e a porgere le mazze, va subito a vedere dove cade la pallina, solleva dalla buca l’asta con la bandierina quando sono sul green. Nessun accenno a quanto è successo il giorno prima.

Il campione termina il giro quattro colpi sotto il par, surclassando i due colleghi. Mentre escono dal campo, li lascia andare avanti e lo prende in disparte.

«Scusa per ieri… non mi sono comportato bene con te.»

Mentre lo dice gli fa scivolare in mano una banconota da cinquemila lire. Nicolò strabuzza gli occhi, una mancia così non l’ha mai vista. È sorpreso, riesce a malapena a balbettare «Grazie.»

«Domenica alla gara voglio te. Ci sei?»

«Sì, sì, ci sarò! Certo che ci sarò!»

«Bene… a domenica, allora!»

Gli dà un buffetto sulla guancia e se ne va.

Nicolò vede Celso guardare verso di lui. Sta annuendo con il capo e gli sta regalando l’ennesimo sorriso.

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4 commenti »

  1. Il carattere è importante, in qualsiasi ambito, non bisogna reprimerlo e a volte, come in questo caso, è proprio quello che ci premia!

  2. Grazie del commento Nicolo.
    La penso esattamente allo stesso modo… è una delle riflessioni, forse la più importante, che ho cercato di trasmettere con questo racconto.

  3. Un racconto di “formazione”. Ricco non solo della vicenda umana ma anche di quel linguaggio tecnico che fa entrare in un mondo.

  4. Grazie Caterina del tuo commento. E in bocca al lupo per il concorso di quest’anno.

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