Premio Racconti nella Rete 2021 “Il flauto rosso” di Giorgio Ridolfi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Guardò fuori, attraverso i vetri, stava piovendo. Rimase perplesso, un attimo prima il cielo era pieno di stelle e la luna splendeva sopra la collina.
-Bene- pensò – almeno rinfrescherà.
Non era però l’unica cosa fuori posto in quella notte d’estate: tutt’intorno, la campagna, era silenziosa, completamente priva di vita, non un grillo né un uccello notturno, solo il ruscello brontolava lontano.
La pioggia non durò molto, così il dottor Faustoni poté finalmente uscire, aprire la comoda sedia a sdraio e sedersi nel giardino. Erano da poco passate le undici e faceva ancora molto caldo e le poche gocce d’acqua avevano peggiorato solo la situazione.
Era stanco, stanco e molto avvilito, avrebbe voluto addormentarsi lì, nel giardino, così, forse più tardi, avrebbe goduto un po’ di fresco, Si ricordò però dei dolori reumatici che lo tormentavano, che sarebbero certo aumentati con l’umidità della notte, così decise di rimanere fuori solo qualche minuto, ma ben sveglio, cercando di dimenticare i suoi guai.
Quella era la sua specialità: in qualsiasi momento era capace di estraniarsi dalla realtà, era il suo salvagente per i momenti brutti e quella trascorsa era stata proprio una giornata tremenda.
Prima in ufficio, con i colleghi, poi a casa con il figlio, tutto era andato per il verso sbagliato ed ora quella calura asfissiante lo opprimeva come sotto un macigno, non aveva bisogno solo d’aria per respirare ma anche di una ventata di freschezza per la mente che potesse rilassarlo.
In quel mentre sentì un fruscio che proveniva dal fondo del giardino.
– Chi è là? – chiese, ma nessuno rispose e i poveri occhi da miope non videro niente.
Poi, però, lentamente, dall’oscurità, apparve un ragazzo, esile, esile, vestito di bianco.
-E tu chi sei? – lo apostrofò meravigliato Faustoni.
Il ragazzo non rispose e questo, stranamente, non lo infastidì, anzi: quella improvvisa presenza, apparsa quasi dal nulla, non lo inquietava, al contrario, lo incuriosiva e benché non lo conoscesse, gli ispirò fiducia. Aveva uno sguardo sereno, due occhi incantevoli, con una luce particolare e qualcosa di strano… di diverso.
– Vieni qui vicino, fatti vedere meglio- disse ancora -che ci fai a quest’ora nel mio giardino? –
Il ragazzo si avvicinò ma non rispose, sedette accanto al lui, sull’erba, con le gambe incrociate, alla moda degli Indiani, sorridendo.
Ora Faustoni lo vedeva bene: poteva avere dodici o tredici anni e non era così esile come sembrava, anzi, con le spalle ben erette e le braccia conserte, dava l’idea di essere longilineo ma pieno di forza.
I suoi occhi lo colpirono particolarmente, c’era un bagliore particolare, sembrava quasi che sprigionassero energia, tanto erano belli. E poi mobilissimi e pieni di una pacata dolcezza ma, soprattutto, uno nero ed uno blu.
-Non restare per terra, ti bagnerai, prendi una sedia- lo esortò.
Il ragazzo non si mosse, lo fissava sorridendo. Eppure, Faustoni non si indispettì, lui che non sopportava assolutamente di essere contraddetto, non se la prese, rimase in silenzio, a fissarlo, come se attraverso lo sguardo potessero comunicare.
Per meglio dire, Faustoni avvertì che una strana forza, un fluido, che proveniva dal ragazzo, lo circondava, dandogli un senso di benessere. Anche il caldo era scomparso, mentre erano tornati gli uccelli, non quelli notturni, ma festosi gabbiani che volavano, frenetici, da ogni parte.
Così pure la notte, di colpo, era svanita e c’era una tenue luce soffusa di un tramonto dorato ed al posto del brontolio del ruscello, c’era un rumore di onde che si frangevano sulla spiaggia.
Il giardino era sparito, volatilizzato, si ritrovò in riva al mare, sotto un lussureggiante palmeto, accarezzato da una fresca brezza. La spiaggia era bianchissima, si perdeva in una serie infinita di golfi e promontori a volte interrotti da alte scogliere che si specchiavano in un mare cristallino. Accanto a lui, nella stessa posizione che aveva in giardino, il ragazzo con i suoi occhi stranissimi, uno nero ed uno blu.
Non stava sognando, era sveglio, né poteva essere la sua immaginazione, tutto era concreto, reale: l’odore del mare, il garrire dei gabbiani, il sole al tramonto e poi il ragazzo… ma certo lui poteva spiegargli cosa stesse succedendo. Si voltò verso di lui, era ancora lì, immobile e solenne, ma non gli chiese nulla, ebbe paura: e se tutto fosse finito e quel posto meraviglioso fosse scomparso all’improvviso. Non voleva, quello che gli stava capitando era “troppo fantastico” per perderlo per curiosità.
“Troppo fantastico”, come avrebbe detto suo figlio. Già suo figlio: quella sera, gli aveva finalmente aperto gli occhi e gli aveva sbattuto in faccia tutta sua “amata normalità”.
-Papà, tu sei troppo normale- aveva detto -troppo uguale, sempre. Non cambi mai, sei nato vecchio, ma io no! Io sono giovane e voglio viverla la mia gioventù. Voglio poter sognare, avere grandi aspirazioni, mantenere il mio entusiasmo! -.
-Le aspirazioni- aveva mormorato sconsolato –cosa ne sai tu delle mie aspirazioni-.
-E dimmele allora, parlami, non farmi solo prediche, fammi sentire che sei vivo! -.
Ma Faustoni non parlò. Solo ora, nella pace di quel luogo, lontano dagli affanni, trovò le parole che avrebbe voluto dire a suo figlio.
Non era nato vecchio, né “troppo normale”, aveva solo paura, terrore di essere deriso, preso in giro per i suoi sogni. Così li aveva sempre tenuti nascosti, soprattutto a sé stesso, per non rimanere deluso e il suo estraniarsi dalla realtà, per dimenticare i suoi guai, non era altro che un alibi: si convinceva che fosse impossibile aspirare a qualcosa di diverso per paura di essere sconfitto.
Ora, finalmente, aveva capito, avrebbe dovuto lasciarsi trasportare dai suoi sogni, così come si era abbandonato all’energia del ragazzo dagli occhi strani, doveva ritrovare l’entusiasmo che aveva da giovane, quando… quando: era disperato, non riusciva a ricordare una sola volta in cui avesse sognato di fare qualcosa di veramente affascinante.
Sentì allora una musica dolcissima, si voltò, era il ragazzo che stava suonando con un piccolo flauto rosso, come quello che una volta gli regalò suo nonno. Ma certo, ora ricordava, doveva avere circa la stessa età del ragazzo, fu così contento di quel regalo che corse dal padre annunciandogli di voler diventare un grande musicista.
-Benedetto figliolo- gli rispose sorridendo –non credo che potrai mai esserlo, quelli, almeno all’inizio, fanno la fame e tu sei troppo goloso per stare a dieta-.
Lui rimase malissimo, non capì lo scherzo e, infuriato, scagliò il flauto a terra, frantumandolo.
-Non avresti dovuto farlo- disse finalmente il ragazzo –rompere quel flauto significò spezzare ogni legame con i tuoi sogni, così, invece di sforzarti per realizzarli o scoprirne di nuovi, li hai distrutti e con essi la felicità. Vedi come è facile essere sereni, basta ritrovare l’innocenza dei quegli anni. Prendilo- lo esortò infine porgendogli il flauto –ti aiuterà-.
Faustoni lo prese, delicatamente, come per non sciuparlo e lo mise nella tasca della giacca.
-Papà… papà, sveglia, sta piovendo-.
Era di nuovo nel giardino di casa e suo figlio lo stava scuotendo: si era addormentato. Rimase deluso, molto deluso, aveva sognato, si guardò intorno in cerca del ragazzo ma non lo trovò.
-Ma cos’hai, papà? Cosa cerchi? – gli chiese curioso il figlio.
-Niente, niente, ma cosa c’è? –
-C’è che piove e tu ti stavi bagnando. Ti eri addormentato e così sono uscito a chiamarti.
Poi… volevo dirti… ecco, mi dispiace, non volevo dire quelle cose… prima, ma sai io ci tenevo tanto a suonare in quella “band”, ma se tu non vuoi io… e quello cos’è? – gli chiese, stupito, indicandogli la tasca della giacca.
-Quello cosa? – disse Faustoni frugando con la mano: era il flauto, il suo flauto rosso, quello che gli aveva regalato il ragazzo, non era stato dunque un sogno, almeno non del tutto.
-Vieni- disse al figlio –rientriamo in casa, così parliamo un po’ di questa tua “band”, sai anch’io, adesso, mi intendo di musica.
Mi sono svegliato e non c’era più/ sembrava normale che lui fosse lì/ aveva un occhio nero e un occhio blu/ bambino io/ bambino tu. Questo racconto mi ha ricordato i versi di una canzone di qualche anno fa, che non escluderei possa essere stata fonte di ispirazione per l’autore. La morale è non disprezzare i propri sogni, anche se magari sembrano volare troppo alti. Scrittura scorrevole, buona descrizione degli ambienti per questa storia di scoperta che strizza l’occhio al fantastico.