Premio Racconti nella Rete 2021 “Nerume” di Giuseppe Fabrizio Ernesto Coco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Due sere prima della partenza, davanti a una pizza, Lamberto le confidò: «Avrei portato te. Questo viaggio lo avevamo desiderato tanto e non siamo mai riusciti a farlo. Magari in futuro, quando torneremo insieme.»
«Sì, nella bara!» liquidò risentita Giuliana. Poi al parcheggio si salutarono affettuosamente, lei gli strinse le mani pensando a quanto le amasse.
Prima di entrare in macchina si raccomandò: «Ricordati di salutare Marcello. È sempre tuo figlio.»
«Certo, gli manderò un messaggino.»
Tre giorni dopo, mentre è alle prese con chiacchere, decolorazioni e tagli, Giuliana riceve una telefonata dalla polizia di Enna, bisbiglia per non farsi sentire da clienti e lavoranti. Come unica parente di Lamberto (erano separati, ma non divorziati), la informavano del decesso a causa di un incidente sulla A19 Catania – Palermo.
Riattacca. Guarda il vuoto inebetita.
Ricorda l’ultimo incontro, di come si fosse arrabbiata per il suo solito gioco seduttivo (“Avrei portato te, però ora c’è lei”), si sente in colpa per tutti i pensieri di biasimo fatti mentre rientrava.
Sulla pelle rivive la tensione della prima uscita, le mani corpose di Lamberto, la scoperta di avere in comune la passione per i film di Sophia Loren e Marcello Mastroianni.
Lei adorava La pupa del gangster, tanto che, qualche mese dopo, quando lo invitava a casa, si faceva trovare con la vestaglia di raso, finti boa di struzzo e ciabatte col tacco.
Una cliente con un impacco in testa la ridesta con voce da fumatrice incallita: «July, i quarantacinque minuti sono passati da un quarto d’ora. Non vorrei che mi si lessasse il cuoio capelluto!»
Alle quattordici si fa coraggio, chiama.
«Pronto, sei a lavoro?»
«Mamma? Che ti è successo? Hai una voce.»
Giuliana, tira su il moccio, poi con voce strozzata: «Senti, devo dirti una cosa… il babbo è morto.»
«C’è rimasto secco mentre trombava con l’ultima sciacquina?»
Non dice nulla, solo singulti.
«Scusa» aggiunge Marcello, «non volevo. Ti passo a prendere. Non puoi rimanere a lavorare.»
«Ti aspetto.»
Marcello l’aiuta nell’acquisto online del biglietto aereo che l’indomani l’avrebbe portata in Sicilia. Floscia sul divano del salotto guarda la stanza affollata di ricordi: il T-Table rosso della Kartell che Lamberto le aveva regalato alcuni anni fa, con sopra il Buddha di giada contornato da candeline a forma di fiori di loto, la maschera africana intagliata nel legno appesa accanto alla locandina incorniciata della versione spagnola di Ieri, oggi e domani, una vecchia croce ortodossa d’argento e una mezuzah in vetro colorato.
«Devo andare, domani ho il turno di mattina. Se hai bisogno chiama.»
«Tranquillo. Da quando ci siamo lasciati ero di già un po’ vedova»
Il giorno dopo, Giuliana lascia il locale in mano alle collaboratrici e s’imbarca sul volo per Catania. Durante il viaggio, come una vedova proba, inizia a ricordare le qualità di Lamberto. Ma subito si affacciano i difetti: giocava. Non proprio d’azzardo, però quel tanto da lasciarci la casa al mare che aveva acquistato grazie a un’eredità e a un colpo di fortuna.
Sforza la memoria a ricordare i viaggi fatti insieme (Egitto, Marocco, Armenia, Cina, Mar Morto), poi, mentre sgranocchia i salatini offerti dalle mani tozze e curate dello steward, irrompono altre pecche: circa quattro, forse cinque volte al mese, Lamberto beveva tanto, poi diventava odioso e manesco. Una volta che aveva avuto grossi problemi sul lavoro, la sera a cena era già brillo. Lei in cucina con un paio di occhiali demodé friggeva anelli di totani. Lamberto, scaldato dell’alcol e della rabbia, parlava animosamente, ma Giuliana sentiva con fatica a causa del rumore della cappa e dello sfrigolio del pesce.
«Come dici?» continuava a dire. «Scusa, non ho capito. Cosa?»
Stufo di dover sempre ripetere in quel frastuono, le si avvicinò, afferrò la padella dalla fiamma e gliela tirò addosso. Giuliana riuscì a scansarsi quel tanto per non finire gravemente ustionata, ma solo delle bruciature importanti. Al pronto soccorso dichiarò un incidente mentre friggeva. Poi nella mente, l’accaduto fini nella sezione screzi di coppia. La cosa che invece la fece imbestialire, tanto da indurla a chiedere la separazione, fu scoprire che Lamberto aveva una relazione fissa da quasi un anno. Non era la solita scappatella: un’altra si era insinuata fra loro.
Finito il matrimonio, dopo un paio di mesi ricominciarono a vedersi con la scusa di parlare della crescita di Marcello.
Dall’aeroporto, fino ad Enna, prende un taxi monovolume insieme a tre donne e due uomini, così da poter contenere il costo. L’auto viaggia su un’autostrada deserta e arsa dal sole. Dal finestrino solo colline brulle, ogni tanto qualche albero di palma e in lontananza delle macchie, che a guardar bene, sono agglomerati di case.
Gli altri passeggeri cianciano tra loro, sembra si conoscano: un dialetto fitto fitto che pare una nenia, interrotta da qualche esclamazione o risata. Le chiedono qualcosa, lei risponde evasiva e poi riprendono a parlottare. Da come sono sgualciti devono aver fatto un viaggio lungo. Lo si intuisce anche dall’aria nell’abitacolo: puzzo di rancido e alito cattivo, nonostante la climatizzazione. Apre uno spiraglio di finestrino e come un cane annusa l’aria esterna. Avrebbe voglia di sgranchirsi, il calore della schiena a contatto della tappezzeria è disagevole – Chissà quanti ci hanno sudato! Ma non si arriva mai?
Avverte lo sguardo dei maschi puntato su alcune punti del suo corpo e quello delle femmine che in cerca di difetti: si rassetta il vestito dove lo sente tirare. – Ma proprio qui dovevi finire i tuoi giorni?
Arrivata alla centrale di polizia di Enna, Giuliana viene a conoscenza dei particolari del decesso:
- Lamberto non aveva superato i limiti di velocità
- non si era reso conto che doveva fare un cambio di careggiata su un viadotto perché la giovane signora che era in macchina con lui stava trafichiando (testuali parole del militare).
«Cosa faceva?» incalza Giuliana.
«Come dire, signora… siamo quasi certi che la passeggera gli stava… insomma, facendo un lavoretto. Abbiamo trovato il signor Lamberto con le brache calate. Lei, invece, aveva tracce di liquido organico sulle labbra.» risponde il graduato in imbarazzo.
«Chiarissimo.»
Una volante l’accompagna alla camera mortuaria: un edificio squallido e fatiscente che rende ancora più straziante l’incontro con il morto.
Le bare aperte di Lamberto e dell’esserino scialbo (nomignolo che le affibbiò quando la vide la prima volta), pur essendo nella stessa stanza, sembrano non avere alcun legame: lui contornato da cuscini floreali, ordinati da Giuliana prima di partire, lei invece solo due fiori ormai agonizzanti, lasciati da qualcuno venuto a conoscenza dell’incidente ai due forestieri.
Guardando Il viso di lui, rilassato e soddisfatto come dopo un orgasmo, si stizzisce: si era sempre illusa che quell’espressione fosse stata riservata a lei sola. Adesso, nella bara, non può più negare la realtà: anche lei è stata una delle tante con cui si era divertito. Prova a pacificarsi pensando di essere stata l’unica ad averlo sposato e a dargli un figlio.
Il mattino seguente prima conforta corpo e animo flirtando con il barista (dalle mani grandi e dita agili come tentacoli) di un elegante locale vicino l’albergo, poi inizia a girare per pratiche burocratiche. In due giorni riesce a far cremare Lamberto.
Le rimane a disposizione ancora un giorno, mette l’urna nel bagaglio a mano tra i trucchi e le mutande sporche e si trasferisce a Catania.
Rimane stordita dalla confusione rumorosa in cui sono immersi gli edifici barocchi del centro. Le pare che tutto quel nero lavico sprigioni calore e metta sete. Nelle ore più calde si ritrova nella piazza, da cui si snoda, tra slarghi e vie, la fera, uno dei due grandi mercati della città. È affascinata dalle urla gutturali degli ambulanti, non capisce quasi nulla di quelle frasi. Il mescolame di odori le dà la nausea: formaggio, olive, pesce, erbe aromatiche, sudore, profumi di dopobarba e creme per il corpo. La impressionano i pezzi di bestie squartate appese davanti alle macellerie, così come i pesci agonizzanti sui banchi: accennano lievi movimenti, quando i pescivendoli gli buttano addosso l’acqua per mantenerne il colore vivo. S’intrufola tra quei dedali di banchi intimorita dal pigia pigia di sconosciuti, si eccitata nel guardare uno tra quegli uomini rozzi: braccia muscolose e pelose, mani callose e unghie nere, prima sistema la merce nelle buste di due clienti procaci, poi lo vede infilarsi una mano nei pantaloni e immagina si rovisti il sesso sudato e piscioso. Si accorge di essere guardato, sorride. Giuliana non distoglie lo sguardo, piacciono quei denti bianchi e il viso cotto dal sole, ha il sorriso marpione che avrebbe voluto vedere nel padre e che aveva trovato in tutti i Lamberto incontrati. Quel trambusto la sconvolge, capisce di avere fame e appetito di vita. Si allontana veloce.
In camera ripensa a quel trasporto provato poche ore prima. Ritorna a cercare quei banchi. C’è ancora un uomo, ma non è sicura sia lui, sembra più massiccio, ha un tatuaggio lungo tutto il braccio destro, la faccia e il sorriso lo ricordano. La mano dello sconosciuto la invita ad avvicinarsi. Lei accetta. Comincia lui – Non sei di qua? – No. – Vacanza? – Sì. – Vuoi vedere una bella cosa? – Forse sì. – Non fare la difficile, che hai paura di me? È qua vicino. Veni cu’ mia.
Anche a distanza Giuliana sente il calore di quel corpo. Lui la guarda, lei guarda a terra. Poi le dice di entrare in un portone, c’è un androne semibuio. La spinge alla parete, Giuliana sente il muro freddo e umido e l’alito caldo, la saliva appiccicosa, l’odore di sudore e di salumi digeriti del corpo di lui che cerca di entrare nella sua carne. Le sussurra – Mi piaci, sei una gran femmina. – Ti faccio godere. – Ti piace è? Lo sento.
Lei vuole che finisca quanto prima, pensa a quei dipinti visti la mattina sul martirio della santa. Ha paura quando lui l’afferra per i capelli per eiaculare in faccia. Lei piange e lui le dice – Te lo dicevo che ti sarebbe piaciuto. Mi sono arricriato, torna domani, amore mio.
Lei trema. Anche dopo aver buttato gli abiti in un sacchetto e averlo annodato stretto per non sentirne l’odore. Trema mentre piange e s’insapona sotto il getto d’acqua calda. È pervasa da brividi quando sistema il bagaglio a mano. Ritrova l’urna di Lamberto. D’istinto la apre e rovescia le ceneri nel cesso. Non trema più.
Si siede nella poltroncina imbottita e socchiude gli occhi. Domattina ha il volo alle sette.
A tratti intenso, finale forte e violento ma in qualche modo liberatorio. Mi è piaciuto.
Grazie del commento.
Duro, crudo e diretto. Un racconto da leggere tutto d’un fiato. Complimenti
Ciao, grazie per aver letto e commentato.