Premio Racconti nella Rete 2021 “La donna e la paura” di Loredana Specchio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Era una donna che aveva paura di tutto, anche della paura.
Aveva imparato a dissimulare i momenti di panico nelle situazioni in cui gli altri sembravano del tutto a loro agio. Aveva fatto il callo a sentire i suoi muscoli rigidi, a vedere le sue spalle ingobbite, a toccarsi le mani fredde e sudate.
Chissà come sarebbe stata la sua vita se la paura non se la fosse mangiata e chissà chi era davvero lei, se quella ingombrante presenza non avesse rivestito la sua anima di ghiaccio.
Gli psicofarmaci sul comodino, la bottiglia di vino a metà, il posacenere pieno: così quella ex-ragazza si avviava verso la vecchiaia.
Basta viaggi, cene con gli amici, cinema, teatri, amori.
Troppa ansia, troppa inquietudine.
Ora le bastava far vagare il suo sguardo sul quartiere di periferia dove abitava e dove non c’era proprio nulla d’interessante da vedere.
Nella piazza abbruttita dall’ombra di grandi palazzi popolari, gruppetti di adolescenti ingollavano birra nell’unico caffè, ciascuno immerso nel proprio cellulare. Qualche pensionato strattonava il proprio cane per tornare presto a casa. Giovani madri con gli occhi cerchiati di stanchezza portavano a passeggio il bimbetto seguendo le strisce di sole che i palazzi lasciavano filtrare.
Ferma su una panchina di legno scrostato da mille estati, accendendosi un’altra sigaretta senza nemmeno rendersi conto di averlo fatto, guardava quel piccolo frammento inutile dell’universo di cui faceva parte.
E, intanto, il pomeriggio diventava sera.
Ma un giorno, poco prima che scoccasse la mezzanotte del 31 dicembre di un anno qualsiasi, un caldo innaturale presagì un piovasco furioso.
I petardi cominciarono a scoppiare mentre la televisione urlava «meno cinque, quattro, tre, due, uno …».
Qualcuno giurò poi di aver sentito i cani guaire proprio allora per poi smettere di colpo.
Il silenzio, per pochi istanti, divenne assoluto e ammantò di se, come una coltre di neve, le case popolari.
Fu allora che, come obbedisse a un comando preciso, la pioggia, trainata dal vento, si abbatté con violenza sui vetri.
Un istante ancora e un ruggito selvaggio scaturì dalle viscere della terra. Il magma stava fracassando la crosta e lasciava uscire il fetore mefitico della profondità terrestre.
Le radici di cemento delle palazzine vacillarono e i bicchieri di cristallo caddero dalle mani della gente già brilla. Centinaia di occhi si sgranarono all’unisono.
Sui muri e sui soffitti comparvero crepe che formarono complicati arabeschi. I mobili si misero a ballare un twist sincopato che s’interruppe solo quando i muri fecero esplodere gli intonaci.
Tutto ingoiò tutto.
Alla fine, restò solo la polvere che si alzò e si abbassò più volte: un sipario grigio e asfissiante che lasciava passare soltanto la voce esaltata di uno showman che da una tv sepolta dai detriti declamava: «Benvenuti nel nuovo anno!».
Negli istanti che precedettero la morte, la Paura andò a trovare tutti, ovunque fossero.
Lei era a terra. Un materasso l’aveva protetta dalla caduta dei massi.
Era contusa, intontita e sotto choc ma si accorse comunque di essere osservata.
Alzò faticosamente il viso e scrutò una forma che mutava sotto i suoi occhi.
Dapprima assunse le sembianze di un grosso insetto. Poi, in pochi frammenti d’attimo, divenne una forma scheletrica e sghimbescia e, subito dopo, si tramutò in una bambina magrolina e pallida.
«T’incontro finalmente», esclamò la donna.
«Che c’è di strano? Non ti ho mai abbandonato», replicò la Paura.
«Ho sprecato la mia vita per tenerti a bada».
«E io allora? Sempre dentro di te, chiusa, legata e imbavagliata. Più mi sforzavo di proteggerti e più tu mi ricacciavi in fondo, giù dove c’è il tuo buio e manca l’aria».
«Ora che vedo come sei, mi sento libera», mormorò la donna.
«Ora che sono libera, ti vedo come sei», ribatté la Paura.
La donna riuscì a scostare il materasso.
Sgusciò fuori e tolse, una a una, schegge dai capelli, dalla faccia, dalle mani, dalle gambe.
Si diresse barcollando verso il frigo ammaccato. Forzò lo sportello e afferrò una bottiglia di spumante. L’aprì. Una schiuma densa e opalescente si riversò fuori. Per un attimo pensò di berne un lungo sorso, come mille altre volte.
Invece, guardò fisso la Paura, sorrise, alzò la bottiglia e si versò il liquido sulla testa.
Microscopiche bollicine gelate le caddero sul viso, lasciando strie sulla pelle impolverata. Scesero sulle vene calde del collo e raggiunsero il seno, poi la pancia. Scivolarono ancora più giù, verso l’inguine. Dalle cosce arrivarono ai polpacci e, infine, raggiunsero i piedi ancora dentro le pantofole.
«Se avessi potuto ti avrei ucciso», disse la donna.
«Se avessi potuto ti avrei salvata» rispose quella allontanandosi da lei.
Le sirene dei vigili del fuoco e della polizia si fecero più vicine. Tra poco qualcuno sarebbe venuto a soccorlerla.
Il tuo racconto è molto toccante. Mi è piaciuto moltissimo. Intimo e profondo. Complimenti. Lascia un messaggio, e questo è molto importante. Lascia il messaggio che anche la paura può essere nostra amica e che tutti possiamo vincerla in qualche modo.
Vivida e suggestiva la solitudine devastante del personaggio e la sua paura, compagna di una vita, la cui sconfitta finale è rappresentata da quella potente immagine del brindisi versato sui capelli. La paura e la solitudine le abbiamo conosciute tutti, ma oggi, leggendo il tuo racconto, le ho conosciute di più.
Sono molto contenta che ti sia piaciuto. Grazie!
iRitmo incalzante, ambientazione grigia e Madama Paura che domina la triste protagonista. Tutto è reso con grande efficacia.
Poi il finale a sorpresa: la Paura non è malvagia e potente, è una bimbetta magra e macilenta animata dalle migliori intenzioni.
Volevo rendere l’idea della paura come un compagno di viaggio di cui conosciamo poco ma che non vorremmo mai avere accanto a noi. Come un rifiuto tossico che, anche se lo seppellisci, ritorna in superficie. Come una visitatrice che non hai mai invitato. Come un ex amica d’infanzia di cui non riesci a cancellare più il numero sul cellulare. Se sono riuscita a trasmettervi questa sensazione ne sono felicissima.
Un racconto introspettivo in cui tutti possiamo immedesimarci.
Bello! Brava!