Premio Racconti nella Rete 2021 “Onde sonore” di Loredana Specchio
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Alle dieci di mattina Ely era ancora in pigiama. Fece un rapido calcolo e capì che sarebbe arrivata troppo tardi al lavoro.
Prese il cellulare e chiamò Giusy, la sua responsabile, dicendole con la voce più nasale che poteva: «Ho un brutto raffreddore. Mi dispiace, oggi non posso venire».
«Riguardati, cara», le rispose la voce gelida di Giusy che non ci aveva creduto neanche un po’.
Ely sospirò e sprofondò di nuovo tra i cuscini, riaddormentandosi.
«Non cambierai mai. È colpa tua!».
Si svegliò di soprassalto. Possibile che la coscienza le rimordesse fino a quel punto?
Ma no, erano soltanto i vicini che litigavano. In quelle case popolari i muri erano così sottili che la privacy era come pretendere che un’Ape trainasse un TIR.
Ely, talvolta, sentiva le discussioni della famiglia che le abitava accanto e sinora non ci aveva mai badato. Era al lavoro tutto il giorno e non aveva né tempo, né voglia di interessarsi ai vicini. Li incontrava di frequente ma si scambiavano soltanto un ghigno che pretendeva di assomigliare a un sorriso.
Qualcuno le aveva detto che vivevano in sei nella stessa casa. Due anziani con l’unico figlio quarantenne sposato con una giovane cubana e i loro due figli, un maschio e una femmina, già adolescenti.
Quella mattina, però, i toni delle loro voci concitate erano davvero alti.
«Non dirmi cosa devo o non … fare. Non … una marionetta!».
«Stamattina si sono svegliati con le paturnie, mi sa», borbottò Ely.
La voce forte e maschile continuò a sbraitare ma si abbassò di intensità.
Ely si alzò dal letto e si preparò il caffè. Oggi era costretta a non uscire. Di certo non voleva complicarsi la vita non facendosi trovare a casa dal medico fiscale.
Di colpo, dal muro si propagò un urlo dal timbro femminile.
«Lo so che mi … tradito, infame! Non hai nemmeno … ai tuoi figli!».
Ely sobbalzò e il caffè bollente le cadde addosso. Imprecò a bassa voce mentre si ripuliva le mani sotto l’acqua fredda.
Però quella frase l’aveva incuriosita: c’era stato un tradimento?
Cercò di captare qualche suono in più però sentì a malapena una vibrazione sonora: qualcuno forse stava replicando ma lei non capiva bene cosa stesse dicendo.
Poi scese il silenzio ed Ely ritornò a farsi i fatti suoi.
Prese un romanzo che voleva leggere da mesi. La finta malattia ora gliene dava l’opportunità.
Ancora in pigiama, si adagiò sul divano con il libro in mano e si immerse nella lettura.
«Smettila, mi … capito?».
«Non ce … faccio più …vivere così».
«Finitela voi due, per l’amor di …».
«Zitta …, non ti … in mezzo».
«… stare tua madre. Impara, invece, a badare ai … figli!».
«Vuoi vedere … adesso è colpa mia?».
Ely interruppe la lettura. Ora le voci arrivavano forti però il muro assorbiva una parte dei suoni.
«Per Dio, voglio andarmene … qui».
«Sono io che … ne vado e … i ragazzi con me».
«Bravi! Andatevene tutti e lasciateci in …».
«Se stiamo in questo … è per causa tua; sei tu che hai … sposare … cubana!».
«… centro io?».
«Taci, mamma! Mi hai sempre … colpa di tutto. Anche dei debiti … ristorante, ricordi?».
«Ma davvero? Forse dimentichi … soldi … devi?».
Ely era irritata; era impossibile continuare a leggere con quel baccano. Buttò il libro da una parte e cominciò a lavare i piatti.
Le grida, nel frattempo, si attenuarono e si sovrapposero l’una all’altra diventando un brusìo impercettibile. Forse avevano deciso di continuare la loro litigata nella camera accanto.
Tuttavia, passò un minuto soltanto e il mormorio si trasformò in un concerto cacofonico.
«Gli … sociali si prenderanno i miei … se continui così».
«… permetterti di accusarmi!».
«Finiremo … giudice come l’altra …».
«Mamma … ragione»
«No, ha … marcio!»
Ely sospirò, finì di rassettare la cucina e si dedicò a WhatsApp.
Tra i tanti messaggi c’era quello di Giorgio, il suo ragazzo.
La sera prima le aveva chiesto di sposarla. Lei, d’istinto, gli avrebbe detto subito di sì, invece prese tempo. Gli uomini, si sa, vanno sempre tenuti un po’ in caldo. In realtà, erano mesi che aspettava quella proposta ed era tornata a casa così emozionata che la notte non era riuscita a prendere sonno. Ora Giorgio voleva sapere qual era la sua risposta. Stava digitando una frase sibillina quando i rumori dall’appartamento a fianco ricominciarono.
«…mi costringere ad … di botte».
«Mi … male. Fermati, figlio di …!».
Ely cercò di concentrarsi sulla tastiera del telefonino ma il suo cervello era attratto senza scampo dalle onde sonore che vagavano nel suo appartamento.
All’improvviso sentì lo sbattere violento di una porta e dai vicini ritornò la calma.
Da quel momento tutto ridivenne silenzioso e la giornata passò tranquilla.
La mattina dopo Ely decise che, per rendere più veritiera la malattia, era meglio che rimanesse di nuovo a casa. Compose il numero del suo ufficio.
«Capisco, tesoro. È di sicuro l’influenza intestinale che sta girando in questi giorni», le rispose Giusy mentre già predisponeva il modulo per l’invio del medico fiscale.
Pregustando la nuova giornata tutta per sé, Ely ciabattò per casa sistemando i suoi vestiti nell’armadio. Uno strillo angosciato la fece trasalire e i maglioni che aveva impilato con cura scivolarono, l’uno dopo l’altro, sul pavimento.
«Lei … scappata!».
Seguirono voci frammentate di gola e di petto.
«Lo dicevo io che … poco di buono!».
«Com’è che tu … sempre tutto prima?».
«… qualche volta mi dessi…; ora bisogna chiamare i …».
«Non posso … i carabinieri, lo capite? … indagato!».
«Devi denunciarla … abbandono … coniugale».
«Brava! Intanto, i miei … finiscono in una casa …».
«… ci voglio andare in una … famiglia!».
I suoni inciamparono l’uno sull’altro disturbandosi a vicenda fino a che non arrivò un’onda sonora intensa e rabbiosa.
«Maledetto il … che vi ho dato retta!».
«Ah, sì? Ci … ringraziare, piuttosto. Se non ci fossimo … noi a quest’ora … in galera».
A questa seguì un’onda dal timbro acuto.
«Ma, a noi, non pensa mai …?».
«… zitti una buona volta!»
«Non … maltrattare, delinquente!»
«Voi non …mai stati… genitori».
Subito dopo un’onda più alta delle altre sovrastò tutto.
«Vattene se la pensi così. La porta … aperta».
Quel mare sonoro era in tempesta: i flutti s’intrecciavano in trame fitte per poi dissolversi e rinascere l’istante successivo.
Il silenzio che seguì lasciò Ely amareggiata. Era come assistere ad un serial in tv di cui, però, non sapevi la programmazione delle puntate.
Il giorno seguente chiamò l’ufficio.
«Ho la febbre alta, nausea e diarrea. Mi sento davvero a pezzi».
«Oh, mi dispiace tanto. Vieni solo quando sarai guarita», le rispose Giusy che con una mano teneva il cellulare e con l’altra si appuntava di avvisare quanto prima la Direzione del Personale. La loro azienda, in effetti, era una di quelle molto attente alla produttività e piuttosto severa in materia di assenze.
Dopo la telefonata, Ely fece un’abbondante colazione, si lavò, si pettinò e si sdraiò sul divano rimanendo in attesa. Non dovette aspettare molto.
«Così … uccidete!».
«Adesso …. pure la vittima?».
«Oddio!»
«… esce il sangue!»
«Mi … paura!»
«Che diavolo sta succedendo in quella casa?», si domandò Ely rimanendo concentrata al massimo per cogliere il senso di quello che sentiva. Lo squillo improvviso del suo cellulare la fece sussultare. Era Giorgio. Lei, con un moto di stizza, spense il telefonino e si rimise in ascolto.
«Basta! Non vedi che … male?».
«Guardate … caduto a terra!».
«Ti prego…, alzati!».
Ely avrebbe voluto capirci di più ma quel miscuglio di suoni si era attenuato diventando un bisbiglio. Allora cercò un muro dove, appoggiando bene le orecchie, sperava di poter sentire meglio. Il bagno le sembrò la postazione più adatta.
Era lì, immobile da una decina di minuti, quando sentì il suono gracchiante del citofono.
«Accidenti, ora no! Speriamo non sia il medico fiscale».
Ely rimase incollata alla parete. L’apparecchio squillò ancora un paio di volte; infine, il visitatore rinunciò.
«Metti giù …coltello!».
«Vai via di …, guarda che hai …?».
«Aiutatemi, mi sento …».
«Chiamo il … soccorso».
I vicini si spostarono in un’altra stanza ed Ely non avvertì più alcun suono decifrabile.
Fu allora che si tuffò sul PC.
Bastò qualche click perché si fermasse soddisfatta.
Il microfono spia professionale che aveva acquistato era un po’ costoso, ma ne valeva la pena.
Poi fece l’ultima cosa che le restava da fare.
«Ciao, Giusy. Ho deciso di prendermi tutte le ferie che mi sono rimaste. Sai ne sento proprio il bisogno».
«Capisco. Divertiti, mia cara».
Giusy riattaccò, si passò il rossetto con cura, si aggiustò i capelli, si rassettò la camicetta e si diresse con passo deciso verso l’ufficio del Capo del Personale.
Un racconto che mi ha catturato e incuriosito per la sua originalità e per la capacità di narrare, con studiata leggerezza, la trasformazione della iniziale curiosità alla vera e propria ossessione della protagonista .Mi sono trovata con lei aa decifrare cosa dicevano i vicini. Divertente e con pochi tratti ben caratterizzata la figura nevrotica della responsabile che non vorremmo mai incontrare.