Premio Racconti nella Rete 2021 “Capotreno mancato” di Andrea Polini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Cinquantacinque anni. Ex contabile di una grande azienda meccanica che da anni aveva delocalizzato in Polonia, ora abbandonato da una moglie stanca di vivere accanto a un uomo che riteneva un fallito, un buono a nulla.
Era anche il capotreno mancato dei suoi sogni di bambino quando suo padre la sera lo portava alla stazione ferroviaria a vedere il passaggio dei treni veloci. Era soprattutto un uomo seduto su una panca della pensilina del quarto binario che fissava le rotaie perdersi all’orizzonte mentre attendeva il treno che almeno un paio di volte la settimana lo portava alla vicina stazione di Pisa per distrarsi un paio d’ore, prendere un caffè e infine tornare alla sua vita dal bilancio in rosso. Quando venne annunciato l’arrivo del locale affrettò gli ultimi tiri di fumo, poi spense la cicca sotto la suola della scarpa. Si alzò in piedi, e come lui si alzarono dalle panche una decina di persone.
Pioveva, faceva anche freddo, e tra meno di tre ore sarebbe stato buio, ma quella gitarella, quella specie di fuga da una quotidianità dove era crollato l’edificio delle sue certezze cercava di non farsela mancare. Il treno arrivò al binario. Era un convoglio bianco, aveva un certo che di asettico, e l’interno, come ormai si usava da decenni, non aveva scompartimenti.
A lui sembrava meno bello dei treni di una volta, casomai gli ricordava certi treni popolari di quando era piccolo, ma pure quelli gli sembravano più belli, avevano le panche di legno e uno sportello per salire e scendere in corrispondenza di ogni panca. I treni di oggi li vedeva in un certo senso senza poesia. Si sistemò su un sedile di colore azzurrino, di fronte aveva uno schermo coi numeri rossi che indicavano l’ora e la velocità del treno. C’era davvero poca gente in quel vagone, seduto accanto non aveva nessuno. Il treno partì, lasciandosi dietro una stazione altrettanto semivuota. Qualche minuto dopo la velocità superò i centotrenta chilometri l’ora, e si domandò se fosse così necessario andare veloci.
La velocità non significava molto per lui, che doveva solo ingannare il tempo. Dette un’occhiata fuori dal finestrino. Il treno sorpassava – come risucchiandole indietro – le auto che marciavano sulla parallela statale Aurelia bagnata di pioggia, e dal finestrino sul lato opposto poteva vedere un paio di aerei militari fermi sulla pista dell’aeroporto. Dopo un po’ il treno iniziò a rallentare. Era a Pisa Centrale, ormai. Scese alla pensilina del quinto binario insieme a diverse altre persone. Il treno avrebbe proseguito verso La Spezia, ma la maggior parte dei viaggiatori scese a Pisa. Si disse che quel pomeriggio sarebbe rimasto in stazione, col tempo che faceva non aveva voglia neanche di andare in Corso Italia.
Oltretutto non aveva portato l’ombrello, quando era uscito di casa non pioveva. Dal sottopasso risalì alla pensilina del primo binario, e subito si infilò nel bar vicino l’edicola. C’era un po’ di gente nel locale, ma non troppa. Ordinò al banco un cappuccino, poi si mise seduto ad un tavolo di forma rotonda posto vicino alla vetrata che dava sulla pensilina. Poco dopo un cameriere gli servì al tavolo il cappuccino. Lo assaggiò. Era buono, caldo, adatto alla stagione. Prese a sorseggiarlo lentamente. Nel bar, intanto, erano entrati un ragazzo e una ragazza, entrambi con gli occhiali, l’aria da intellettuali. Non sentiva i loro discorsi mentre parlavano tra loro nell’attesa di essere serviti al banco. Di certo, pensò, dovevano essere studenti universitari.
Parecchio dopo, aveva ormai finito il cappuccino che nel frattempo si era anche freddato, entrò nel bar un giovane alto e moro, i lineamenti del volto delicati. Indossava un elegante cappotto blu scuro. Dietro di lui, alla cassa, due ragazze ridevano parlando tra loro mentre se lo mangiavano con gli occhi. Pensò a quanta umanità avrebbe visto se avesse fatto davvero il capotreno, come voleva fare da piccolo. Forse, si disse, non sarebbe stato neppure licenziato. Non aveva mai avuto notizia che le ferrovie delocalizzassero, concluse ironicamente. Sulla pensilina, di là dalla vetrata, passava parecchia gente, nonostante il brutto tempo. Ad ogni treno che partiva o che arrivava salivano e scendevano un buon numero di persone. Vite, storie.
Il tempo passava, iniziava a imbrunire. Tra non molto sarebbe salito sul treno che l’avrebbe riportato a casa. Guardò i binari in direzione sud. Quante vite correvano ogni giorno su quei binari. Al tempo che era bambino – e sospirò a questo pensiero – c’era un sentore di poesia nel viaggiare. I binari facevano anche sognare. Si tornava in famiglia, da una moglie, al proprio lavoro. Ora c’era un senso di incertezza, di precarietà, un po’ in tutto. Se si era belli come il giovane di prima si poteva facilmente incontrare una donna per un’avventura di sesso. Se si era medici o avvocati con buona probabilità si poteva avere una vita professionale soddisfacente e remunerata. Ma si trattava tutto sommato di una minoranza fortunata. Per tanti i binari avrebbero condotto verso una casa vuota a causa di un divorzio, o verso un conto in banca prosciugato dai troppi prelevamenti.
Eppure, si disse infine, prima di alzarsi dal tavolo e andare alla cassa a pagare il cappuccino, quei binari a loro modo facevano ancora sognare. Perché viaggiare era comunque inseguire una meta. Era una vita in divenire. E un benedetto giorno la società umana avrebbe finalmente compreso che è davvero bello viaggiare solo se c’è qualcuno che attende con amore il nostro arrivo.
Scorrevole e ben scritto, anche nella descrizione degli ambienti. Complimenti.
Sei veramente bravo nelle descrizioni. Bello!
Bella l’atmosfera sospesa, carica di rimpianto, di sogni non realizzati, di occasioni perdute. Questo piccolo viaggio in treno del racconto diventa l’occasione di confrontarsi con tematiche importanti relative alla propria vita, e a come la si è compiuta, a quali strade si sono intraprese, e se sono state soddisfacenti.
Il racconto mi è piaciuto. Tanti sono gli spunti interessanti: il motivo della delocalizzazione sullo sfondo; la solitudine e il senso di sconfitta; il riferimento alla poesia dei treni di un tempo (che condivido pienamente); la bellezza delle descrizioni e della resa dei dettagli (penso alla “via Aurelia bagnata di pioggia” o al sapore del cappuccino); l’innesto di quello spirito di osservazione da cui spesso scaturiscono le più belle narrazioni… Complimenti!
Racconto carico di speranze, di possibilità che passano accanto ma che sono sempre lontane per afferrarle. Un’atmosfera malinconica, a tratti rassegnata e una vita troppo monotona per credere nella svolta. Eppure, quel fuoco nascosto e quel sogno mancato, secondo me, prima o poi verranno fuori in cerca di riscatto.
Bel racconto e belle descrizioni.
Mi è piaciuto!!
Anche quando brutte e inospitali le stazioni ferroviarie sono luoghi magici. Questo racconto mi ha fatto ricordare tante sensazioni provate nelle stazioni: Venezia, Milano, Trieste, Roma…..Ogni stazione fotografa un momento di vita.
Hai reso il senso di solitudine e di esclusione da certe parti di vita. Bello.
Complimenti Andrea.
Quanta la malinconia intrisa nella tua bella prosa, ma il treno sembra condurre dai rimpianti verso un barlume di speranza.