Premio Racconti nella Rete 2021 “Anche l’alloro dorme” di Valeria De Ricco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Dafne correva a perdifiato nel bosco: i suoi piedi erano tagliuzzati, le sue caviglie sporche e dolenti.
I rovi le avevano lacerato i polpacci in più punti: il sangue secco era incollato sulla pelle e la sua tunica écru era lurida e stracciata.
Ormai il tono e il vigore stavano scemando e il cuore batteva impazzito nel petto.
Scappava da due giorni: si era nutrita solo di bacche, frutti, more e nespole, senza quasi mai arrestare la sua fuga.
Aveva il terrore che Apollo le arrivasse troppo vicino, troppo da non potersi più difendere da lui.
La corsa lasciò il passo a una camminata sostenuta, che le consentì di recuperare il fiato e che permise di vedere dei cespugli di fragole di bosco e saziarsene.
La sete la dilaniava, cominciava a perdere la lucidità, ma tentava di ascoltare in lontananza i suoni; doveva resistere a tutti i costi.
Mai e poi mai sarebbe finita tra le mani di un uomo: lei, ninfea dell’acqua, si era votata alla natura. Non concepiva la passione, l’ardore e tutto quel vigore fisico.
Non lo conosceva, non lo capiva e mal tollerava il doversi difendere dal trasporto di un uomo.
Non riusciva a comprendere quel perseverare nel possederla, quando lei aveva già rifiutato Apollo. Mai avrebbe ceduto, a costo della vita. Il suo futuro non spettava a un singolo umano, e lei non voleva farsi imbrigliare da un essere vivente.
Non sarebbe mai appartenuta a nessuno, si sentiva parte del bosco e dell’universo.
Lei fluiva libera nelle acque, figlia della terra e del dio fiume; era aiuto per i piccoli animali del bosco e conforto per le creature degli stagni e dell’acqua.
Era la confidente dei frassini e dei tigli e aiutava il vento a trasportare il polline.
In primavera distribuiva i colori ai fiori e aiutava alla schiusa i neonati uccellini.
Apollo non l’avrebbe mai portata via dal suo mondo. Il solo tocco di quell’uomo le dava i brividi e la nausea: anche se non sapeva fino a che punto poteva spingersi tutta quell’insistenza, aveva sentito dalle muse chiacchierine dello stagno, di azioni spregevoli e violente che un uomo poteva arrivare a compiere su una donna. Lei non capiva, ma percepiva il disgusto, quasi avesse provato in un’altra vita quella sensazione lasciva, quel senso di terrore e soffocamento.
E a quest’ultimo pensiero si rimise a correre veloce, saltando radici, evitando rami, scivolando sulle foglie umide e sul muschio alla base delle piante.
In quel momento udì la voce in lontananza: “Dafne, fermati amor mio: non ti voglio fare del male”
Lei aggrottò la fronte e stringendo i pugni forte, accelerò il più possibile.
Apollo la terrorizzava: non riusciva a capire, ad accettare che lei era nata libera.
“Padre, padre ti supplico, fa che la smetta. Padre ti prego aiutami!“ sussurrò Dafne, implorando l’aiuto del Dio del fiume.
Le forze stavano calando repentinamente e le lacrime presero il sopravvento.
Il respiro le mancava, sentiva l’affanno e i polmoni che bruciavano: la gola arsa ormai non emetteva che deboli suoni.
Padre, ti prego, ascoltami, salvami!– chiese nella sua mente.
Si nascose dietro un tronco cavo e attese. Si accovacciò a terra, con le ginocchia strette tra le braccia; ascoltando il suo respiro da impazzito a gradualmente sempre più disteso e regolare.
Si estinsero anche le lacrime. Ogni riserva era terminata, e lei rimase inerte e svuotata.
Nessun rumore. Nessuna voce.
Si fermò così per un tempo infinito, tanto che la luce cambiò d’intensità.
Poi, a un tratto, una sensazione e un bisbiglio la fecero alzare; corse verso la radura e il vento le attorcigliò i capelli. Percepì la presenza di suo padre: sorrise e si rasserenò. Sentì uno strano torpore ai piedi, un pulsare dei muscoli dei polpacci e guardò in basso.
I suoi piedi affondarono delicatamente nella terra morbida e fangosa. Percepiva chiaramente l’allungarsi delle sue estremità. Le falangi diventarono radici giovani e forti. Allo stesso tempo sentiva le gambe sode e toniche che si trasformavano in legno.
Alzò le mani al cielo e vide le sue unghie cambiare colore e assottigliarsi sempre più, dando vita a lunghi rametti con piccole foglioline verde smeraldo.
Era meravigliata dalla sua trasformazione e non provava paura.
Percepiva tutta la vita partire dai suoi piedi, che erano affondati di decine di centimetri nella terra umida e fredda. Le piaceva quella sensazione. Il suo corpo stava mutando in un forte e vigoroso albero. Apollo arrivò correndo e, guardando Dafne, cadde ai suoi piedi. Lui pianse e odiò il suo agire, maledì il suo amore e promise di onorarla e ricordarla per l’eternità.
Dafne lo guardò con insensibile disprezzo.
A lei non importavano quelle promesse, lei non conosceva quel sentire e ignorò Apollo, il suo piagnisteo e le sue parole.
Cominciò a sentire il vento che accarezzava le minute foglie.
Le sue braccia ormai erano rami giovani ed elastici: iniziò a percepire il solletico delle zampette degli insetti che si arrampicavano su per il tronco e giovani passeri si appoggiavano sui rami più alti.
La vista dalla collina era incantevole: lei poteva ammirare campi, boschi e radure in tutte le sfumature del verde e chiazze di campi di fiori e girasoli gialli.
Ringraziò il padre per il dono numinoso: oramai la sua trasformazione era quasi conclusa.
Guardò Apollo esanime ai suoi piedi e sentì il tocco delle sue mani sul tronco e adesso provò pena per lui.
Calò pian piano la notte, il buio s’intensificò ora dopo ora.
Lei alzò gli occhi e guardò, a una a una, le migliaia di stelle: vedeva chiaramente la parabola del cielo con il corridoio di stelle della Via Lattea.
Pulsavano luminose a distanza: desideri delle fate e degli esseri umani.
Tappeto di luci vive.
Stordita da tutte quelle sfumature di blu, guardò amorevole in basso. Apollo dormiva, sfinito.
Ora gli era grata per aver reso possibile quella sua metamorfosi: senza il suo amore ossessivo, lei non sarebbe mai diventata quella splendida e giovane pianta di alloro.
Si rivolse al padre, e piena di emozione, ringraziò di non averla abbandonata.
Non avrebbe sprecato quel regalo: sarebbe diventata rifugio per uccelli e insetti e le sue foglie aiuto per le necessità degli umani.
Le sue bacche avrebbero dato un olio ricco di proprietà per nutrire e calmare la pelle.
Il vento le solleticò le cime più alte e lei sentì la stanchezza che la invadeva.
Poi il nulla, il silenzio, il buio e la pace: adesso sapeva che anche gli alberi dormivano.
Il mito di Dafne e Apollo, dalle metamorfosi di Ovidio. Rivisitazione interessante dal punto di vista della Naiade, mi sarebbe piaciuto qualche dettaglio in più per arricchire la storia. Il ritmo che hai dato al racconto è incalzante e dà l’idea della concitazione della fuga.
Grazie Davide, mi sono concentrata molto su Dafne, mi sono proprio immedesimata in lei: è per questo che il racconto è essenziale e non farcito di particolari o arzigogoli. Grazie del commento.
Affascinante rivisitazione del mito di Apollo e Dafne scritto in terza persona dal punto di vista della ninfa (con piccola caduta del punto di vista quando l’autrice entra nei pensieri del dio Apollo afflitto di fronte alla metamorfosi dell’amata in pianta di alloro). Racconto che fa riflettere sul controverso e complesso rapporto tra uomo e donna condizionato dall’attrazione dei sensi, che in questo scritto si risolve nella tenera immagine della pianta di alloro e del dio addormentati, finalmente liberi dai lacci rispettivamente della paura e della passione.