Premio Racconti nella Rete 2021 “Tutti i ‘nostri’ malintesi” di Gianni Demaria
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Andrea mi ha chiesto di te. Sai bene cosa significhi questo: sottopormi ad una violenza non indifferente: non amo essere messo sotto pressione. Non avrei saputo che dire, visto che non ti frequento più come una volta, se non fosse che lui ti conosce meglio di me e la cosa mi ha incuriosito non poco: ti vede tutti i giorni, mi ha detto, dietro una scrivania in quello studio di consulenze legali: scartabelli tra pratiche polverose e cartacce varie. Non ti ha mai rivolto la parola, mi ha detto: limitandosi a un cenno di saluto. No, non appartiene all’alta società, quella a cui tu aspiri da anni: non farebbe l’uomo delle pulizie. No, non vive in un attico in pieno centro città: non potrebbe permetterselo. Non è la prima volta, o sbaglio, che giudichi una persona per ciò che possiede e non per quel che è veramente: l’hai fatto anche con me. Ricordi? Mi apostrofavi: “Paolo, non sopporto la tua mediocrità”. Già, ma tu, chi ti credi di essere? Comunque, lasciamo stare. Non sono al telefono per parlare male di te, non merita, come mi hai detto spesso. Andrea, in effetti, mi sembra preso seriamente da questa situazione. Forse per la sua giovane età, forse perché è più facile infatuarsi di una persona che si incontra tutti i giorni, alla quale si ha paura di rivolgersi anche solo per passargli il cestino appena svuotato. Potresti deluderlo, tutto sommato.
Andrea sta seduto davanti a me,
come ti stavo dicendo .. non interrompermi in continuazione.
Lo guardo, forse con occhi diversi e gli chiedo “cosa prendiamo da bere?”. Titubante, “una coca” mi dice. Sabrina, la cameriera, si avvicina al nostro tavolino. Andrea abbassa lo sguardo, intimorito. “Una pepsi e un caffè macchiato, per favore” le dico. “Con aggiunta di limone, la coca” aggiunge Andrea, guardandomi. “Posso prendere i listini?” domanda Sabrina ad Andrea. “Si, certo” ma Andrea stringe come in una morsa il suo menù. Lei lo trafigge con lo sguardo. “Ah, scusa”, lascia che la ragazza prenda il cartoncino sgualcito dalle sue mani.
Come? Non ricordi il colore degli occhi di Andrea? Blu, notte scuro, come la divisa di Sabrina. Vado avanti:
lo osservo, mentre mi parla: ha delle mani grandi e affusolate, sembrano quelle di un pianista, la carnagione olivastra contrasta con la folta capigliatura bionda. Quando sorride, i denti bianchi gli illuminano il volto.
Sarebbe perfetto per te, se non fosse per quelle orecchie enormi come padiglioni. Ma perché non gli parli? Cosa voglio dire con questo? Non voglio farti nessuna morale, sarebbe assurdo da parte mia.
Sabrina arriva col vassoio. “Fanno seimila”. Ho pronte diecimila lire. Gliele porgo. “il resto arriva subito”. Sgambetta verso nuovi avventori che aspettano da un po’ di sedersi. Andrea dice “Vorrà mica la mancia, quella?”. “Senti, non fare storie. Qui al Guglielmo Pepe è così: lunghe attese per un servizio affrettato. Goditi la vista e sta’ zitto”.
Come ben saprai il locale occupa un terzo dei giardini di Piazza Maria Teresa con i suoi tavolini quadrati di metallo, tutto intorno antichi palazzi settecenteschi da poco ritinteggiati.
Andrea osserva la vecchia Bugatti nera in sosta davanti all’ingresso del Bistrot: la scritta bianca “CAFFE’ GUGLIELMO PEPE” campeggia sulla portiera risaltando alla luce del sole. Le chiome degli alberi non sono ancora folte: alcuni raggi primaverili sfiorano un calice pieno di barbera appoggiato sul tavolino di fronte al nostro. Una bicicletta attende il suo proprietario, chissà da quanto tempo, legata malamente a un vecchio catenaccio attaccato a una panchina rovinata. Intorno a noi il brusio si fa sempre più insistente.
Come, che ne so se c’era qualcuno che conosci? Me lo ricordo, sai, che ci vai spesso al Pepe. Comunque fammi proseguire:
“Ma non mi dici niente?” Andrea osserva la suo bottiglia di cola, mentre succhia il limone con le labbra rosse, tumide.
Ha delle belle labbra.
“Non mi va di parlarti degli assenti! Che ti importa di quello che posso dirti io?” gli faccio un po’ contrariato.
Sì lo so, è una giustificazione del cazzo ma non sapevo che dire ad Andrea. Poi erano arrivati quei tre. Non ti ho ancora detto nulla di loro?
la prima ha i capelli biondi, a spazzola, ben curati. Un bel culo, belle tette. Sui trenta scarsi. L’altra è più bassa, formosa, capelli rossi, ride sempre, in modo sguaiato. Ma il pezzo forte deve ancora arrivare.
Senti qua.
Mentre Andrea me la conta sull’acidità che si fa strada nella sua bocca larga, attraversa l’esofago e prima di raggiungere l’intestino gli fa sputare un seme e gli faccio “Cazzo, non sporcarmi i pantaloni, Andrea”; sopraggiunge lui.
Ragazzi, che tipo. Devo dirti la verità: me lo sarei fatto sul momento: se non fosse che non era molto chiaro come fosse organizzato quel triangolo.
Andrea, a un certo punto, mi prende la mano e, deciso, la porta verso i suoi capelli biondi. “Sto usando un nuovo shampoo alle ortiche da quando mi sono fatto tingere, dicono che rinforza il cuoio capelluto. Senti che buon profumo, provalo” mi dice.
Non te ne importa niente di tutto questo? Era solo per dirti che proprio in quel momento penso che sto perdendo inutilmente del tempo a chiacchierare lì, con lui.
Sbuffo, il mio alito incontra quello della bionda. Vedo che stringe la coscia del suo vicino. Intanto guarda me, anche perché il tipo mica la calcola, la ganza: è lì che se la chiacchiera con la rossa che, infatti, ride da far pena a ogni sua battuta. Penso che di lì a poco ne nascerà un’orgia in qualche pied-à-terre nei dintorni. Alla bionda non interessa ciò che si dicono gli altri due, le interesso io. Dunque sto al gioco e mi metto ad osservarla. “Quanti anni hai detto che ha?” mi fa, intanto, Andrea. “Trentuno” rispondo a tono. “Sembra appartenere a una famiglia benestante”. “E allora?” aggiungo. “Embè, forse il lavoro è un modo per far passare il tempo” fa insospettito. “Potrebbe essere così, chiediglielo domani, che aspetti”. “Dove va la sera, chi vede, frequenta qualcuno?”. “Non lo so, e, francamente, non mi interessa. Se ti va fatti avanti, Andrea”.
Il volume della mia voce si alza all’improvviso, sai, come mi capita spesso quando mi eccito, così che tutte le mie parole raggiungono le orecchie della bionda.
Mi fissa come se stessi parlando proprio di lei. Per vederla devo girare di qualche centimetro la sedia che gracchia sull’acciottolato e spostarmi ancora un po’ di lato, avvicinandomi ad Andrea che mi guarda perplesso. “Che diavolo stai facendo?”. “Niente, c’è una tipa qua dietro che mi fissa”. Intanto trangugio il fondo orribile della tazzina di caffè, ormai vuota.
Ma dai, mi stai chiedendo la stessa cosa che mi ha chiesto lui: se era carina.
“No, sboccata sì” gli dico. “O belle, o troie giusto?”. “No, risposta errata”. “Insomma, da te non se ne cava proprio nulla oggi, Paolo”. “Già, sarà perché non ho più voglia di star seduto qui. C’è troppa gente, adesso. Facciamo due passi, dai”. In quell’istante vedo tutto: la mano della bionda accarezza brutalmente la gamba dell’uomo. Faccia squadrata, zigomi spigolosi, barba di due giorni, occhi profondi e scuri, mani enormi, tipo camionista. Già in T-shirt con la brezzolina di marzo, il gorilla: si gira verso di lei, smette per un attimo di parlare con la rossa, bacia la bionda, mentre lei, con un movimento lento e preciso dello sguardo, supera la testa di Andrea e mi trafigge: l’uomo ha un’erezione, ne sono convinto. Perché si stacca subito da lei, le sposta la mano dal corpo poderoso: i muscoli da culturista guizzanti nella sua maglietta aderente.
E poi, vuoi sapere cosa è successo? Accidenti a me: alzandomi ho fatto cadere il bicchiere di cola di Andrea; ho emesso un urletto isterico; ho chiesto scusa a Sabrina. Ce ne siamo andati, io con in mente quel figaccione. Sì, tranquillo, più bello di te, tranquillo. Allora, che fari domani in ufficio: gli parlerai? Dirai qualcosa al frustrato Andrea? Ah, le tue solite scuse, devi andare, sei di fretta. Va bene, ci risentiamo, chissà quando.
Ha messo giù.
Mentre attraversiamo la strada, Andrea mi chiede ancora qualcosa su mia sorella Rachele, trentuno anni, famiglia benestante, la mia commessa paraculata da Hermes. La conosce da qualche tempo perché fa colazione nello stesso bar dove va lui quando esce dall’ufficio di Mario, dopo le pulizie notturne: pare le piaccia parecchio. Io e Mario non siamo più insieme da due mesi, mi manca tanto. Così mi sono inventato questa storia di uno che gli fa la corte, assolutamente etero. Domani si farà una figuraccia colossale con Andrea, ma non avrà il coraggio di dire che è stata colpa mia.
Forse la prossima volta imparerai la lezione prima di mollarmi in questo modo, brutto stronzo!!!
A