Premio Racconti nella Rete 2021 “Una storia che continua…” di Gennaro Puritano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Nel 1963 Anno Domini, dopo una gioiosa gestazione, venni alla luce a Ivrea in una ricca famiglia borghese. Chiari, piccoli e dolci, gli occhi di mio padre contenevano freschi, grandi e celestiali progetti. Sensibile al progresso culturale, sociale ed economico dell’umanità, per lui la dignità della Persona veniva prima di tutto. Ero a quel tempo l’ultima di tre sorelle e il lieto evento fu accolto con immenso entusiasmo sin dal primo battito. Naturalmente le attenzioni erano rivolte prima di tutto a me, pertanto le mie adorate si sentirono inutili e trascurate alla stregua di quegli oggetti, su cui riposa una coltre di polvere, che solitamente ingombrano gli scantinati. Tuttavia scorreva lo stesso inchiostro nelle vene e un gran bene mi volevano. Maria Paola, la primogenita, per la sua rara intelligenza e austera eleganza di cui era adornata fu denominata “la number one”. La più corteggiata e ambita per le sue forme flessuose era senz’altro Letterina, classe 1950. Uno scrittore tedesco, premio Nobel per la letteratura, scrisse versi in rima baciata per celebrare il profluvio effluvio che donava a coloro i quali avevano la fortuna di incontrarla. L’equilibrio armonioso fra interiorità ed estetica le valsero numerosi riconoscimenti persino oltreoceano.
Correva l’anno 1968 e in tutto il mondo – sulle note dei Beatles e di Bob Dylan e con le parole di leaders come Martin Luther King e Che Guevara – orde studentesche manifestavano contro la guerra, contro la società dei consumi e per una società liberata dall’autoritarismo e dai tabù sessuali. Non senza strumentalizzazioni ideologiche, “L’uomo a una dimensione” e “Lettera a una professoressa” divennero i nuovi testi sacri della religione nascente. In questo clima culturale venne al mondo la rossa e ribelle Valentina. Si differenziò da noialtre per l’anticonformismo che incarnava e per il suo look privo di orpelli. Spesso si chiudeva in sé, ma la sua natura versatile e pratica le consentiva di accettare sempre nuove sfide.
Sfiorarci con le dita fu il desiderio di molti, quanto il sogno dei più arditi di batterci con successo a letto o sovra una scrivania.
Oggi compio cinquantasette anni e da circa trenta ho smesso di piangere lagrime d’inchiostro. Corre l’anno 2020. La Natura sembra voglia proteggersi dalla rapacità dell’uomo e si difende diffondendo un virus letale. Una squadra di favellanti scienziati d’ogni dottrina, al soldo di spregiudicati capitalisti, sono stati convocati per curare il paziente-Terra. Il farmakon da costoro proposto aggraverà certamente lo stato di salute già precario del nostro malato, iniettando confusamente infusi velenosi che, pur concedendo una tregua, trascineranno l’umanità dritta dritta verso l’estinzione. I bei tempi sono solo un triste ricordo e una ferita tuttora aperta. Ho imparato sulla mia ferrea pelle impermeabile la lezione che nessuno può ritenersi “l’ombelico del mondo” e che l’ombra dell’indifferenza incombe sin dall’aurora. Non è sufficiente avere un passato glorioso, né natali blasonati per evitare di essere, come quei giocattoli nelle manine di tiranneggianti bambini viziati, utilizzati a convenienza e poi scartati. Sopportai comunque il destino di essere esiliata in una cantina buia, umida e intrisa di urticanti pesciolini d’argento e aria mefitica. In quel luogo asfissiante, tuttavia, avevo stretto amicizia con Pipa Pannocchia, Pennino Pelikan e Dattilo Scritto per il quale avevo preso una cotta. Alcuni giorni addietro il nuovo proprietario dell’appartamento, subentrato a mio marito morto prematuramente in una clinica romana per shock cardiogeno, ha presieduto e partecipato ai lavori di sgombero e risanazione. Si esprimeva con un lessico di cui riuscivo ad afferrare, vista la mia esperienza pregressa, diverse parole e utilizzava termini complicati che invece ignoravo completamente: smart working, giga, chat… Giunto nell’interrato mi sono illusa per un istante che quel giovane barbaro sbarbato nonostante l’aspetto vetusto mi avrebbe notata, lubrificata e trasferita in un odoroso studio traboccante di libri pregiati. Invece prese me e i miei amici con la stessa grazia con cui si prende un sacco colmo di letame e ci gettò accanto a un cassonetto. Persi di vista gli altri perché rimasti intrappolati, come le tartarughe nel mare imputridito, in una plastica nera come la pece. L’urlo strozzato dei miei amici fu un colpo al cuore e il silenzio assordante che seguitò mi inghiottì nel tunnel della disperazione. Vedevo transitare, indifferenti, persone d’ogni partito e con tutta la forza del rullo cercai di richiamare l’attenzione su di me, per quanto fossi già palesemente distinguibile. Tutto oramai sembrava perduto. Esausta e in attesa della fine, si fece avanti il ricordo nostalgico di mio padre Adriano, delle mie sorelle e delle immortali filastrocche che il mio sposo Gianni Rodari mi sussurrava. Se ora fosse qui con me senz’ombra di dubbio avrebbe trasformato la paura e l’amarezza, che in questo infausto trapasso mi schiacciano, in un cielo azzurro e lussureggiante prato verde. Ed ecco che a un tratto, mentre percorrevo l’anticamera dell’Ade, un uomo quatto quatto si avvicinò, sgranò gli occhi, trattenne il respiro, s’inchinò e mi prese tra le sue braccia. Mi portò nel suo giaciglio, mi curò e mi lasciò libera di gridare un sordo canto metallico e di stillare questa miscela per te, caro lettore, che hai avuto la pazienza di ascoltare la mia Storia.
Phantasia, 27 aprile 2020 Lettera Trentadue Olivetti
P.S. Chiedo umilmente scusa se i miei limiti e gli acciacchi mi hanno costretta a chiedere il prezioso supporto di Sfera Parker, una lontana parente del mio vecchio amico Pennino Pelikan.
P.P.S. Nello studiolo in cui ora mi trovo adagiata e ben nutrita, c’è un tizio nero come un tizzone che mi fissa con malcelato disprezzo e aria di superiorità. Mi pare di aver inteso che si chiami Computer Portatile. Non chiedetemi però quale sia il nome e quale il cognome perché di nomi sì fatti io non m’intendo.
Racconto bellissimo che ho letto una seconda volta per gustarmelo al meglio. E forse ce ne scapperà una terza!
Grazie Lorenzo del tuo lusinghiero giudizio. Complimenti a te per “Il guaritore pazzo”, un racconto per lettori attivi e raffinati!