Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Rumore di fondo” di Tullio Bugari

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

C’era, nell’aria attorno a lui, un rumore di fondo che lo disturbava. Si trovava seduto nell’angolo più grande di una piazza assolata, e vuota; attorno soltanto poche ombre, nette. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo, ma di poco, giusto un cenno con le sopracciglia come annoiato, per dissimulare il disagio: non riusciva a individuarne la provenienza.

Non era da solo. Al tavolino di fronte era seduta una ragazza; scriveva, assorta, sul suo cellulare; forse un articolo per qualche giornale online, o forse un pensiero. Assorta, ma con una certa leggerezza, un non so che di normalità. Di tanto in tanto sorseggiava un cappuccino, e dopo il sorso si passava con lentezza sulle labbra la punta della lingua, senza distogliere lo sguardo; anzi, con una sorta di sguardo d’insieme sulle righe già scritte.

Lui aveva scelto una birra scura che gli ricordava una guinness, ma non così densa, e con un gusto amarognolo che saliva su dal fondo del bicchiere. Poteva essere sua figlia, quella ragazza, tecnicamente parlando. Giusto per l’età, e non per qualche remota avventura romantica, che non ricordava.

Tecnicamente? Doveva essere davvero stanco in questi ultimi giorni, se permetteva a una simile parola di scivolare tra i suoi pensieri; Lei, tra l’altro, a guardarla bene, non era più nemmeno una ragazzina, lo si capiva dai gesti e dai moti del viso. Forse era stata proprio lei a incoraggiare i suoi sguardi, in un modo che a lui era addirittura sfuggito, stuzzicandolo nel suo bisogno nascosto di trovare attenzioni.

Lei continuava a scrivere ma quel rumore di fondo era sempre là, nell’aria attorno alla piazza, oltre l’ombra netta dei vicoli; non così forte da disturbarlo davvero, ma a tratti lo udiva, e tornava a disturbare la sua attenzione verso la ragazza.

La guardava come se avesse desiderato descriverla, come si può descrivere un paesaggio, o una nuvola, e dirle qualcosa, ma non voleva sembrare troppo concentrato su di lei, che di tanto in tanto tornava a sollevare la testa, sorseggiava il cappuccino, e poi la punta della lingua sulle labbra, rivolgendo a lui uno sguardo, tra il sorriso e la cortesia. Sembrava attenta e professionale, ma in un modo naturale, come se davvero l’avesse invitato lei a farle compagnia durante la sua scrittura; come se quell’occasione fosse capitata per caso, e lui avesse acconsentito tranquillo, senza capirne il perché.

Continuava a non capire da dove venisse quel rumore; ora vi si era sovrapposto un ritmo secco e strano, che non si ripeteva uguale, cambiava la durata, con uno scarto in più che non s’aspettava.

Lei aveva finito il cappuccino e a lui non restava che immaginarla, quella carezza con la lingua sul contorno delle labbra. Ora la guardava in silenzio e osservava il suo guardarsi attorno sempre sul punto di commentare qualcosa, ma fu lui a far udire per primo la voce:

“Non sono mai identiche, le prospettive.”

Lei lo guardò divertita, chissà se per l’apparente stranezza delle parole, o perché davvero le attendeva. A lui non restò altro che continuare:

“Le prospettive cambiano col tempo.”

“Come quando rivedi un luogo lasciato nell’infanzia?” fece lei, e lui annuì, anche se non era questo ciò che pensava; e poi c’era sempre quel rumore di fondo, in avvicinamento, che continuava a infastidirlo, ma non lo distoglieva dai particolari: sbirciò nella sua scollatura la curva dei seni, e li immaginò innocenti, mentre Lei sorrideva, sospesa tra curiosità e cortesia. Lui annuì, ma forse ai propri pensieri più che a lei.

“Il tempo è un luogo fisico e puoi dislocarlo a distanze diverse: è per questo che le prospettive cambiano.”

Questa volta fu lei ad annuire soppesando le sue parole; si diede poi uno sguardo ai propri seni ma lui non si azzardò a vedervi un tocco di malizia, poteva essere anche un gesto per caso, giusto perché lei era sicura di sé, ma un po’ a disagio per lo sguardo di lui. Era stata lei a cercarlo, così lui fingeva, ma ancora non riusciva a capire come rendersi interessante, temeva di deluderla, avvertiva sul fondo di sè un pizzico di senso di colpa, ma piacevole, come il tocco amarognolo di quella birra che aveva dimenticato sul tavolo, e che oramai piatta nel bicchiere tremolava soltanto al ripetersi irregolare di quel rumore in arrivo.

Lei annuì di nuovo e questa volta lui lo interpretò come un invito a dire finalmente qualcosa di sé che fosse interessante, ma fu distratto ancora una volta da quel rumore; e anche lei si distrasse.

‘Sta già cambiando la prospettiva di questo incontro’ pensò lui, quando dall’angolo della piazza si fece avanti un cavallo che procedeva da solo; aveva il mantello pitturato ma non di azzurro, e il passo incerto; si fermava, scartava di lato, e riprendeva ad avvicinarsi. Nessuno gli badava in quella piazza, ad un tratto non più deserta ma attraversata da un numero crescente di persone isolate tra loro; una discosta dall’altra.

S’accorse d’essere l’unico sorpreso, tanto più che il cavallo gli si era avvicinato dietro e ora strofinava il muso sulle sue spalle, ma in modo naturale, mentre la ragazza li fotografava con il suo cellulare, e poi iniziava a scrivere un nuovo articolo, e di nuovo lui gettava lo sguardo nella curva dei suoi seni, e il cavallo continuava a strofinare il muso sulla sua schiena, e lei annuiva verso ciò che scriveva, e le persone nella piazza ora si fermavano, a distanze diverse tra di loro, anche loro a fotografare.

Fotografavano il cavallo e non lui, e il cavallo smise di strofinarsi e riprese il cammino con la stessa andatura zoppa di prima, di nuovo scartando di lato, e tutti iniziarono a seguirlo scattando altre foto, fino a che non scomparvero dietro l’angolo opposto della piazza, portandosi via il ritmo zoppo dei loro passi. Ma solo il ritmo: non era il cavallo il rumore di fondo che ancora incombeva sulla piazza di nuovo vuota.

Solo a questo punto lei si alzò in piedi e si avvicinò, per un attimo ferma a fronteggiare lo sguardo di lui. Poi estrasse dalla borsa una pistola e la posò sul tavolo, con la canna rivolta verso la piazza; guardò lui e andò a sedersi sulle sue gambe; anzi, sulla punta delle ginocchia, e con la schiena dritta, discosta da lui, volgendo lo sguardo verso lo stesso angolo della piazza, coprendogli in parte la visuale.

Lui stava sbirciando la piazza da dietro le spalle di lei, quando il rumore di fondo riprese a disturbarlo, ma da una prospettiva diversa, che non ricordava da tempo. Solo adesso si chiese di che colore fosse il mantello del cavallo, e se questo dettaglio potesse avere qualche importanza.

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6 commenti »

  1. Questo racconto ha l’atmosfera di un sogno, l’ho letto quasi sentendo a mia volta il fastidio di un rumore che interrompe i pensieri. Mi piace l’uso di frasi articolate, l’uso della punteggiatura, di virgole è incisi, è un po’ atipico ma credo che nel complesso aiuti a creare un’atmosfera di dissonanza e un po’ di sospensione che si legano al rumore e alla situazione descritta, rispettivamente.

    Mi è piaciuto, ma devo ammettere che non ho capito il finale… Il racconto termina così?

  2. E sì, il finale è il grande enigna. Grazie per il bel commento.

  3. Un racconto carico di suggestioni, davvero molto evocativo. In bocca al lupo!

  4. Grazie. Viva il lupo!

  5. Ciao Tullio, sembra di sentire quel rumore fastidioso, lo ammetto. E sono ancora intrappolato nel vortice di quello che è successo in pochi secondi.
    Enigmatico!

  6. E può accadere ancora tutto. Oppure nulla. Chissà? Grazie per il commento.

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