Premio Racconti nella Rete 2021 “Il grido dei glicini in fiore” di Marco Fabbricatore
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021L’orologio segnava due minuti alle cinque del pomeriggio: dopo mesi, avrei rivisto, per la prima volta da quando mi aveva lasciato, Paride.
Accadde tutto velocemente. Rincasando, mi accorsi che le sue cose erano sparite: come se, in quel bilocale, avessi sempre vissuto da solo, gestendo male spazi troppo ampi per le mie reali esigenze; l’armadio riempito a metà, la libreria costellata di spazi vuoti.
A mo’ di sfregio, aveva lasciato il dipinto, raffigurante dei glicini in fiore, a cui avevo lavorato con febbrile accuratezza per il suo compleanno.
Solo dopo cinquantun giorni di perseverata evasività, Paride accettò di farsi vivo: mi raggiunse, con passi lenti e calcolati, sfilando con disinvoltura tra i tavolini di un bar, con l’aria trafelata e indifferente di chi incontra qualcuno che sa di poter far attendere.
-Scusa-
Indossava un maglione che accentuava la grazia del collo smilzo e la forma affusolata del volto, felina. Avendolo lì, pensai, come sempre mi capitava, che quegli occhi cerulei e fissi, le narici strette, i morbidi boccoli raccolti in un codino e la bocca atteggiata a mestizia lo facevano rassomigliare a uno dei soggetti di Leonardo: la spontaneità di quel paragone, riassopito nonostante quella mia nuova, costretta, quotidianità senza di lui, mi provocò ulteriore irritazione.
-Paride, perché lo hai fatto?- iniziai, guardandolo in viso.
Mi ricambiò con uno sguardo confuso.
-Sei scappato da casa, senza spiegazioni- tagliai corto.
– Fa’ conto che io sia andato per qualche tempo a Rimini, dai miei.-
-Che razza di risposta è questa?- alterandomi, sbattei le nocche contro la gamba del tavolo -Cosa ti è preso?-
Paride, sfilandosi gli occhiali, mi fissò per un lungo momento con le sue pupille vagamente interroganti di miope.
-Cosa vuoi sapere che tu non sappia già?-
Esitai.
-Sono sicuro che ci sia un altro.-
-Finalmente giochi a carte scoperte ma è sempre la stessa storia: ricondurre a un ipotetico “altro” ogni nostro problema- rispose, con la lenta fermezza da insegnante che riprende uno studente svogliato -Questo perché, non avendo alcuna considerazione del tuo valore, sei terrorizzato che io scappi da qualcuno più attraente o intelligente di te-
In sottofondo un cantante intonava l’ultima, commerciale, hit del momento.
-Ho venticinque anni: ho bisogno di riflettere, da solo, senza te e le naturali premure, non richieste né necessarie, che ti sentiresti in obbligo di avere nei miei riguardi sapendomi in questa situazione.-
Abbassai lo sguardo verso il bicchiere: l’odore forte dell’alcol mi avvampò, disgustandomi momentaneamente.
-Stiamo ancora insieme?- chiesi, con tono quasi burocratico.
Paride alzò lo sguardo mentre con l’indice giocherellava con un bretzel.
-Non ho una risposta- sussurrò, con fredda dolcezza.
***
–Bada a chi ti fidi. È stato facile arrivare, ma non sarà così facile uscire.-
Dei glicini sfioravano un cielo silenzioso e limpido. L’odore, dolce e persistente dei loro fiori viola perlaceo, mi pizzicava il naso.
-Non ho mai sopportato questi fiori- soffiò una voce, vellutata e melliflua.
-Come?- chiesi, tradendo palesemente lo spavento.
Una lince, con indosso le sfumature di novembre, mi sfiorò la gamba.
Era tanto bella, quanto magra dai movimenti, ipnotici e leggeri, che sembravano sfiorare appena il terreno.
-Mi provocano allergia- disse quella. Poi, fissandomi in volto -In cosa posso servirti, Fabrizio?-
Deglutii, spaesato, mentre la lince compiva giri lascivi su sé stessa.
–Abbiamo cose da dirci e la strada, come vedi, è abbastanza lunga. Seguimi-
Le parole erano narcotiche, con cenni di malcelata sensualità.
Mi vidi costretto ad accettare, con reticenza, stringendo le braccia al busto mentre, con lo sguardo, cercavo possibili vie di fuga
-Sei particolarmente glabro, per essere un uomo in piena maturità sessuale.-
Solo alle parole dell’animale, mi accorsi effettivamente di essere nudo. Mi gelai e, goffo, cercai di coprirmi.
-É naturale che tu sia diffidente- ammise lei, aumentando leggermente l’andamento -Deimos è il fratello di Fobos. La disperazione è compagna della paura dai tempi degli dei falsi e bugiardi.-
-Prima ho sentito delle voci che mi hanno messo a bada- ammisi, cercando di non sostare troppo lo sguardo su quel pelo maculato la cui vista mi provocava vertigini e disorientamento.
-Da chi?-
-Da te-
-Voi umani siete così banali. Vi fidate ciecamente di ciò che non vedete mentre ignorate la realtà che vi circonda. Capirai di chi fidarti.-
Camminammo, spediti, per quello che poteva essere molto o nessun tempo: la terra che calpestavo, al tatto dei miei piedi nudi, né calda né fredda, né morbida né dura, non sembrava subire il mio tocco.
Avevo l’impressione che ci muovessimo ma senza mai spostarci.
-Posso sapere chi sei?- le domandai, serio.
-Secondo me, lo sai.-
-Sei un demone. Uno shinigami?-
L’animale sbuffò.
-Non sei morto- mi rassicurò- E il male o Dite sono concetti superati. Sai chi era Zedong? Un bibliotecario. Ceausescu? Un calzolaio! Se Satana esistesse davvero si chiamerebbe Francesco e darebbe il resto sbagliato in un bar di provincia senza POS. Il male è mediocrità, il bene banale. E io, mi passerai la modestia, li trascendo.-
-Tu però stai provando il male- aggiunse, poco dopo.
-Paride mi ha lasciato-
-Senza spiegazioni, vero?- sottolineò la fiera, visibilmente compiaciuta dalla piega della conversazione -E adesso sei qui, riducendo lo splendore dei tuoi ventotto anni a vene e polsi tremanti, pregandomi un aiuto.-
-Io non ti ho chiesto nessun…-
Si levò improvvisamente una strana nebbia che iniziò a inglobare, con feroce lentezza, tutto ciò che mi circondava: i glicini, il terreno, il cielo terso e lo stesso animale.
-Cosa sta succedendo?- chiesi, preso dal panico -Cos’è questa roba?-
Un suono si levò dal nulla: piccoli, costanti colpi di un qualcosa che sbatteva, si agitava, ansimava, forse, lottava. Era un rumore vissuto, eppure non riuscii a metterlo in relazione con niente: ebbi la spiacevole sensazione, però, di star origliando qualcosa di riservato.
-Voi innamorati siete accumunati da una vulnerabilità così dannatamente erotica.- constatò la lince inspirando in modo oscenamente teatrale.
Con gli occhi cerulei fissi nei miei, mi osservò per quella che mi parve un’eternità.
-Mi ripeto: in cosa posso servirti?- la voce, tremula di piacere -Posso renderti più attraente, lo sai? Più dotato. Puoi dire addio a sospiri, pianti e alti guai.-
-Voglio l’amore di Paride- confessai mentre il muso umido dell’animale, sfiorandomi le gambe, mi provocava una sensazione spiacevole alla bocca dello stomaco.
-Scontato: ti ha lasciato, azzarderei per un altro, senza dirti nulla. Sei stato sostituito da uno più alto, più divertente, forse meno accomodante o intelligente di te.-
-Perché lo amo.-
-Mi mentite sempre- constatò, secca, sparendo ancora nella nebbia -C’è dell’altro: perché vuoi che Paride ritorni?-
-Perché…- sbottai, stringendo i pugni- Potrò essere io…quello che…-
Il suono di prima, ovattato dalla nebbia, si faceva sempre più forte, persistente, continuo. Volgare.
-Come ho detto prima: il male si nasconde nella mediocrità. Ma il vero male si nasconde in quelli come te. Scegli, Fabrizio- mi intimò -Per amore o rivalsa?-
Abbassai lo sguardo: il membro, molle, riposava sotto la peluria nera.
-Mi ha deluso-
-Lo so- mi consolò una voce, questa volta femminile e gracchiante, levatasi dalla foschia.
-Merita di capire come ci si sente-
Una zampa di rapace si allungò verso di me con la lentezza di una carezza. Gli artigli brillavano, avidi e assetati, pronti a posarsi su di me: ero convinto che al tatto sarebbero stati delicati e che mi avrebbero aiutato.
Non riuscivo a pensare ad altro, lo avevo sempre saputo.
-Datemi il suo amore!-
Volevo che Paride tornasse ad amarmi, ora e per sempre: la lince sarebbe stata in grado di farlo
-Ti darò il suo amore, allora!- l’animale, ebbro, riemerse dalla nebbia
–Come pensi di ripagarmi?-
-Pagarti?- scattai, mentre un forte vento di bufera iniziò a levarsi -Non ho denaro con me, cibo, non ho nulla! Se tornas…-
-Hai a sufficienza tutto ciò voglio- rispose, sorniona -Qualcosa che non ti serve più…un giorno che hai vissuto-
-Un giorno?- ripetei, incupito -Farà male?-
-Potrei disquisire per ore sull’ampia semantica di questo termine- poi, tacendo per qualche secondo, mi guardò di sbieco –No, l’estrazione non lo sarà-
-Riportami il suo amore- bofonchiai, coprendomi gli occhi dalle raffiche e lasciando una fessura tra le dita. -A qualunque costo-
Il felino iniziò a ridere e ruggire sembrando fomentare ulteriormente l’intensità di quelle folate: l’ultima cosa che ricordo è la soffocante, claustrofobica, famelica occhiata di quella dannata lince.
Cerulea.
***
Sei stato silenzioso ma non abbastanza, lettore. Ho sentito la tua presenza mentre ci studiavi con occhi attenti, forse annoiati, leggermente miscredenti.
Cosa sono? Cosa è successo? Dove si è svolta la storia? Hai tutti i tasselli del puzzle, devi solo incastrarli l’uno nell’altro.
Hai assistito a chi, per riavere indietro l’amore, ha di propria volontà rinunciato a qualcosa di sé che ha smesso di essere sua per sempre.
Fabrizio scelse il ritorno di Paride consegnandomi, in cambio, l’ accesso ai suoi giorni passati; vastissimi, intensi. Succosi.
Ne scelsi uno piuttosto insignificante, in verità: non quello in cui Paride lo baciò, sul portone di casa. O quello della prima volta in cui avevano fatto l’amore. Non sono mica banale.
Fu il giorno in cui, per caso o gioco, le loro mani si sfiorarono per la prima volta che catturò la mia attenzione. Un episodio di cui Fabrizio ricordava appena la dinamica, seppellito sotto cumuli di ricordi. Fu prelibato.
Paride tornò e, come avevo promesso, innamorato. Ma non furono felici.
Lo ritrovò, Fabrizio, mentre era alle prese con la cena. Le valigie, ancora da disfare, come unico segno di un ritorno a casa.
Sorseggiando del buon rosso, dopo qualche ora di sesso e carezze, Paride confessò di aver capito che il sentimento che lo legava al compagno era sempre stato forte e sincero.
Ma qualcosa in Fabrizio era variato. Qualcosa di piccolo, sfuggente di cui non riusciva proprio a venire a capo.
Ce la mise tutta per amarlo, nei lunghi anni a seguire.
E certi giorni gli sembrò persino di provare qualcosa quando scorgeva Paride, addormentato, gli stringeva la mano o quando, lasciando tra lenzuola estranee l’ennesimo uomo, tornava a casa, con la borsa del lavoro e un diverso profumo sulla pelle, provando una vaga sensazione di colpevolezza.
Non merito biasimo, ho esaudito un desiderio espresso con superficialità.
Ma non avrebbe dovuto fidarsi della Lussuria, avrebbe dovuto ascoltare il grido dei glicini in fiore.
Qual è il momento esatto in cui nasce un amore? Quel piccolo gesto apparentemente insignificante che innesca la bomba dei sentimenti? Il racconto si legge d’un fiato. Una favola moderna, onirica e con una propria morale che fa riflettere. Complimenti.
Una storia che ti lascia l’amaro in bocca fino alle ultime righe. Speri, con tutto te stesso, che “amor vincit omnia” ma non è sempre così. Il racconto si muove su un tracciato volutamente ambiguo: dove si svolge? E’ davvero successo quello che abbiamo letto o è solo l’allegoria del processo di metabolizzazione di un amore finito nonostante il tentativo di aggrapparsi a esso? Ho i brividi: tutti noi nella vita siamo stati almeno una volta Fabrizio, una volta Paride e una volta preda di Lince. Hai pesato bene ogni parola usata; si vede che c’è del lavoro di “architettura” dietro. Complimenti anche da parte mia!
Penso che questo racconto sia una bomba, veramente bello. Ho notato qualche refuso e forse un qualche frase che meriterebbe una revisione, ma l’atmosfera, i concetti, la profondità che si legge riga dopo riga, mi hanno veramente colpito. Soprattutto il finale, denso di significato e di spunti di riflessione, mi è piaciuto molto. Complimenti.
Un racconto moderno ma anche classico (il nome Paride aggiunge risonanze omeriche), con i temi del viaggio nell’ultraterreno, del dialogo e del patto/contratto con le divinità (o con i vizi, spesso è la stessa cosa), e della perdita che comporta la sua realizzazione. Ci ho visto mitologia, Orfeo, Dante e un pizzico di Faust. Con le divinità non si scherza. Bello, complimenti!
La cosa che più attira di questa storia è che è nasce e si conclude con situazioni e personaggi non positivi: Paride, immaturo e altezzoso, Fabrizio che nasce vittima, diventa vittimista e alla fine “carnefice”, e ovviamente la lince. Si parla di amore ma si razzola egoismo. In ultimo, menzione a parte per la scrittura ricercata ma piacevole! Bello!
Racconto che tiene col fiato sospeso fino alla fine. Indaga l’universo sommerso delle emozioni umane e apre a profonde riflessioni sul bisogno d’amore che abita l’essere umano. Disposto a tutto pur di ottenerlo. A tratti c’è necessità di alleggerire le frasi troppo lunghe. Nel complesso interessante e particolare. Bravo!
Un luogo imprecisato, un’atmosfera fumosa e onirica, richiami mitologici, eppure è tutto così maledettamente reale. Chi non è stato disposto, almeno una volta, a cedere qualsiasi cosa per amore? A rinunciare a una parte di sé, forse per sempre? Senza rendersi conto che magari era proprio quella che dava senso proprio al suo amore. In fondo non ci si conosce mai davvero. “Perché vuoi che Paride ritorni?”, Lince ci prova ad aprirgli gli occhi, ma non basta. Frammenti di sé perduti, per un amore che non sarà mai più lo stesso. Complimenti!
Desiderare l’amore ad ogni costo può costarti l’amore stesso. Una morale in un racconto moderno con radici classiche che mostra come l’egoismo superi il sentimento. La paura diventa realtà, l’amore resta unidirezionale, cambia solo il verso. Bravo, complimenti!