Premio Racconti nella Rete 2021 “Giorni strappati” di Valter Manunza
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021L’altro giovedì, camminando lungo il muro della Villa Fabbricotti, quello accanto all’ingresso principale, ti sei accorto che tutti gli spazi di affissione, dove di solito si segnalano gli eventi dei teatri, musei, cinema e concerti, feste e sagre, sono stati coperti ognuno con un manifesto vuoto, monocolore, azzurro o bianco o grigio, inquietante.
Sono stati incollati sopra a quel che c’era e che era rimasto lì, almeno a ricordare. Pensavi fosse un caso isolato ma, continuando ad osservare in questi giorni, hai visto che un po’ alla volta e’ stato coperto tutto. Cancellato come dopo un passaggio di spugna sopra una lavagna.
Sabato mattina, fermo accanto al Bar di Adone, davanti al moletto, osservavi quattro persone in fila, e una coppia giovane. Stavano ben lontani uno dall’altro e non parlavano. Aspettavano di prendere un caffè di carta al banco, forse anche una brioche nascosta in una busta e poi scappare.
Un nero Labrador abbaiava ad un gabbiano incurante mentre un certo numero di passeri attendeva sopra i tavoli e le sedie accatastate qualche briciola improbabile prima di volare via.
C’erano tanti piccioni sul prato dell’aiuola grande e voltandoti a guardarli, annoiato e alzando appena gli occhi incuriosito, hai visto il cartellone della Stagione del Goldoni. Come un relitto venuto su dal mare col libeccio, naufrago e sopravvissuto.
Ti sei avvicinato e hai guardato quelle che erano rimaste, ormai, delle promesse non mantenute.
Sono trascorsi altri due giorni di vento forte e tanti cartelloni si sono strappati e sbattono come vele.
Stai passando davanti a uno di quelli, e sotto un angolo sdrucito vedi scritto Cinema Gran Guardia. Provi a strappare piano per ricordare, forse, l’ultimo film, l’ultima sera in cui sei andato. Ma è incollato sotto un’altro manifesto che viene via a piccoli pezzi e dove si parla di una sagra del cinghiale ma non si capisce dove.
Ti accucci un po’ perché ti pare di poter scoprire da sotto, tirando, senza esagerare, un concerto che si svolgeva a Lucca più di un anno prima e a cui hai partecipato. Ancora un po’ e lo vedi che suona la chitarra con la sua maglietta rossa sotto a dove sta scritto Sting.
A questo punto ti metti a sfogliare come fosse un fiore, come fossero pagine di un libro che non riesci a abbandonare.
Fai come puoi, prima piano, poi sempre più forte. Nervoso.
Vuoi scoprire cosa c’e sotto, ancora e ancora. Vuoi tornare indietro nel tempo fino a che riesci. Con le unghie strappi la carta indurita dalla colla. In alcuni punti arrivi fino in fondo, alla ruggine, senza trovare più niente. Cambiando lato intravedi qualcosa a fianco a una P, a una E. Poi tutto a brandelli fino a una A. Prendi un lembo e ti si tagliano le dita. Con il sangue sulle mani e i denti serrati sotto le labbra chiuse continui fino a che non scopri, quasi completamente, un viso magro con la barba bianca.
Teatro La Pergola di Firenze. La vita di Galileo di Brecht con Gabriele Lavia.
Ti sei allontanato per guardarlo da lontano sorridendo isterico.
Ti ricordi di quella domenica. Parcheggiasti verso mezzogiorno sotto a Santa Maria Novella. Avevi il timore di annoiarti per uno spettacolo di quattro ore al pomeriggio e decidesti di approfittare per una passeggiata fino al Ponte Vecchio e mangiare qualcosa da Verrazzano.
Intorno alle due stavi seduto nella saletta in fondo con un bicchiere di vino rosso e due crostini al fegato. I tavoli erano occupati. Tutti da una lingua diversa.
Sull’altro lato, di fianco al corridoio che porta alla cucina, una ragazza leggeva un libro davanti a un piatto consumato. Aveva una camicetta bianca sotto un maglione leggero. I capelli raccolti gli scappavano su un lato, e lei li riportava continuamente dietro l’orecchio. Era assorta.
A un certo punto guardò l’orologio come se avesse fretta, prese la borsa e nel momento in cui chiuse il libro per mettercelo dentro ti accorgesti che era “ La vita di Galileo “. Una versione in francese.
Aveva il naso un po’ grande, le mani piccole. Era imperfetta, delicata. Era bellissima.
A teatro ti accomodasti al tuo posto, in platea, e passasti tutto il tempo, nel buio, guardandoti attorno. Nei palchi a destra, mentre Lavia diceva sventurata la terra che ha bisogno di eroi. Nei palchi a sinistra mentre Lavia recitava quando ci si trova davanti a un ostacolo, la linea più breve tra due punti può essere una linea curva.
Alla fine di ogni atto, al bar, osservasti con gli occhi curiosi.
Durante gli applausi finali, in piedi in mezzo ai velluti rossi, apparve. Era in alto. Sorrideva. Era felice.
All’uscita pioveva forte e in mezzo alla confusione tutti andarono via svelti con le spalle curve sotto gli ombrelli.
Adesso ti guardi le mani. Ti volti lento. Riprendi a camminare mentre il giorno è ormai invecchiato.
Il mosaico delle finestre si è acceso dentro i palazzi schivi. Una busta gialla piena di plastica lasciata fuori da un portone rotola e ti viene incontro, sospinta dal vento nella strada vuota e nel silenzio, come una salsola nel deserto.
Bello il titolo, l’atmosfera, l’uso della seconda persona. Una grandissima capacità di raccontare. Una storia fra due persone anche questa imperfetta, delicata, bellissima. Complimenti, davvero.
Si respira una tristezza infinita portata dal vento, i cartelloni strappati come i giorni che non tornano più, un senso di perdita solo addolcito da un ricordo che non si può strappare, imperfetto. Bello.
Grazie Marco, grazie Claudia, per i vostri gentili commenti.
Bella atmosfera, bello l’uso della seconda persona. L’irritazione iniziale lascia il passo al piacere del ricordo. Mi è piaciuto 🙂
Grazie Silvia. Sei molto gentile
Bel racconto, mi piace sia il tema dei manifestival strappati per tornare indietro nel tempo e la gestione della seconda persona. Ottimo risultato.della
Grazie Michela
Racconto intrigante fanno alla fine. L’uso della seconda persona fornisce alla storia un’aurea misteriosa e delicata. L’anno appena passato si è portato via anche e sopratutto il piacere delle piccole cose, come per esempio l’immagine che descrivi di una ragazza assorta nella lettura di un libro in attesa di uno spettacolo a teatro.
Complimenti.
Veramente grazie Raffaele
molto originale l’uso della seconda persona.
Rievochi con suggestive immagini di un passato recente quando c’era la libertà di andare liberamente a teatro e al ristorante senza alcun timore.
Complimenti
Testo bellissimo. Leggendolo ho avuto la sensazione che fosse quasi una lettera inviata da un Ente Superiore e beffardo. La pandemia è palpabile senza che tu la nomini mai.
Ma non solo mai. Sai che c’è? Potrebbe benissimo essere un racconto di fantascienza, una sorta di lettera che ti sei “auto scritto” e che ti serva da memento nel giorno della tua rinascita. Chissà! Lo trovo un ottimo racconto.
Grazie Raffaele. Grazie Monica,
Davvero un bellissimo scritto, delicato, denso di significati e di non detti. Bravo!