Premio Racconti nella Rete 2021 “Ultima fermata: Roma Termini” di Adriana Romanò
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021La stazione ferroviaria di Milano Centrale era semideserta, a quell’ora del mattino, e potei godermi in pace il silenzio che mi circondava. Lanciai uno sguardo all’orologio e mi accorsi di essere perfettamente in orario, un po’ insolito per un tipo come me, ma era tanta l’emozione di riabbracciare lei che ero già lì da un’ora. Stringevo in grembo una pianta di orchidea, il suo fiore preferito, e speravo che un viaggio di tre ore col Frecciarossa non la sciupasse granché. Non vedevo l’ora di riabbracciare la mia Jessica, la donna migliore che avessi mai incontrato e l’amica più cara che avevo al mondo. Il treno per Roma arrivò in orario e fui felice di accomodarmi al mio posto, per poi posare sulla mensola il delicato fiore. Sorrisi tra me e me, immaginando il viso di lei raggiante di felicità per quella sorpresa inaspettata.
Ero un tipo imprevedibile, Jessica lo sapeva, ma di certo non poteva prevedere quella mia mossa. La circolazione tra regioni era tornata regolare da pochi giorni e nella mattinata del 15 giugno, precisamente all’alba, mi ero destato dal sonno con il solo scopo di rivederla. Necessitavo di guardarla negli occhi, poterla toccare e udire la sua voce. Aveva la risata più contagiosa del mondo, una dentatura splendida e due occhi come micce: esplosivi. Se non fossi stato gay, a quest’ora mi sarei risvegliato al suo fianco, i suoi lunghi capelli scuri sparpagliati sul cuscino e quel corpo perfetto di trentenne avvolto nel pigiama azzurro con gli unicorni. Forse qualche marmocchietto avrebbe completato il quadro, irrompendo nella stanza per mettere fine al nostro tête-à-tête mattutino. Ridacchiai. Per ingannare l’attesa, presi a scarabocchiare dei pensieri sparsi sul mio quaderno degli appunti. Avevo girato il mondo senza mai fermarmi, prima della pandemia, e solo durante il lockdown mi ero reso conto dell’importanza dell’introspezione psicologica. Il tempo a nostra disposizione era limitato; non potevamo conoscerne la quantità, ma era indispensabile dargli qualità.
Annotai il pensiero con aria soddisfatta. Avrei dovuto iniziare a scrivere sulle sfaccettature dell’animo umano anziché di viaggi. A giudicare dai consigli che dispensavo saggiamente a Jessica, probabilmente avrei sfondato con una rubrica incentrata sui problemi di cuore. Scossi la testa con un sorriso, ripensando ai mille disastri che era capace di combinare quella pasticciona dal cuore d’oro. Non mi sarei mai stupito abbastanza nel constatare quanto le persone buone fossero costantemente bistrattate. Mi bastava pensare all’ultimo ragazzo di Jessica per farmi accapponare la pelle dal nervoso. Quanto a me, non avevo ancora trovato la mia dimensione, all’interno di un’ipotetica coppia; ero uno spirito libero, per il momento, ma un giorno mi sarebbe piaciuto mettere radici.
I viaggi fuoriporta erano belli solo nella misura in cui c’era qualcuno a casa pronto ad accoglierti, un focolare ad aspettarti. Ecco, lei era il mio focolare nella nebbia, la mia lanterna nella notte. E non riuscivo a capire gli uomini che, pur potendola amare e darle il mondo, non facevano che farla soffrire. Se solo fosse rimasta a Milano, avrei potuto prendermene cura con più costanza. Sarebbe stato un piacere delizioso per me ascoltare i suoi racconti tragicomici sorseggiando insieme un caffè. Forse un giorno ci saremmo finalmente ricongiunti, come ai tempi della scuola, quando eravamo un’anima sola. Proseguii le mie meditazioni e ascoltai pigramente della musica, fino a quando fui raggiunto da un altro passeggero. Davvero molto carino, constatai. Moro, brizzolato e sulla quarantina. Fisico asciutto e tonico. Gli occhiali incorniciavano due grandi occhi verdi e un’espressione melanconica gli incorniciava il volto.
“Fabio” si presentò, facendomi un cenno del capo.
“Giovanni” risposi con un sorriso spontaneo. Era insolito per due passeggeri presentarsi, d’altro canto la voglia di contatto sociale non poteva che essersi implementata dopo la prima ondata pandemica. Iniziammo a chiacchierare e scoprii che entrambi eravamo in viaggio verso la capitale. Gli raccontai i migliori aneddoti sulla mia migliore amica e lui rise di gusto. La cara Jessica era sempre un ottimo spunto di conversazione, oltre che il mio argomento preferito.
“Da come stai dipingendo la tua amica, potrebbe essere la donna dei miei sogni” commentò Fabio. Io replicai che lui poteva tranquillamente essere quello dei sogni di lei. Sembrava veramente un uomo angelico e alla mano. Non sarebbe stato un gran bello scherzo presentarsi a casa sua con Fabio? Altro che orchidea! Cercai di trattenere una risatina al pensiero.
“E’ single?” domandò l’uomo.
“Per tua fortuna, sì. Ma ora non dirmi che sei impegnato!” lo ammonii.
“Sono single, amico. Ho una professione che mi mantiene scapolo praticamente da sempre.”
“A chi lo dici, Fabio. Io sono un giornalista di viaggio, tu di cosa ti occupi?”
“Faccio la guida turistica” rispose l’altro, inforcando gli occhiali.
Era veramente un uomo affascinante e posato.
“In che zona di Roma si trova la tua amica?” domandò Fabio.
Gli diedi l’ubicazione esatta e l’altro si illuminò.
“Anche io sono diretto là, pensa un po’. Appena scendiamo dal treno, ho un autobus da prendere al volo. Jessica ti passa a prendere in stazione?”
“In realtà le faccio una sorpresa” risposi io “sono troppo sfacciato se ti chiedo di fare la strada insieme?”
“Assolutamente no, amico, anzi. Mi hai reso questo viaggio tutt’altro che noioso” commentò Fabio.
“E’ bello constatare che le mascherine non abbiano alterato i rapporti sociali, in questi incontri fortuiti.”
“Quasi me l’ero dimenticata” gli confidò l’altro.
“Per fortuna a te non si appannano gli occhiali. E’ un autentico disagio, specie quando ci si muove.”
Un’ora più tardi fu annunciata la nostra fermata e ci dirigemmo di buona lena a prendere l’autobus.
“Caspita, c’è mancato un pelo che mi si chiudesse lo zaino nelle porte” sbuffai rivolto all’autista, che naturalmente non mi degnò di uno sguardo.
“Vieni, Giò, ci sono due posti in fondo!” mi chiamò Fabio, dopo aver obliterato entrambi i biglietti.
“Sei stato veramente carino a cedermene uno, Fabio. Mi scoccia che per l’andata tu debba rifarlo.”
“Capirai!”
“Che ne dici se, per ricambiare il favore, ti facessi conoscere Jessica? In fondo abiti nel suo stesso quartiere.”
Fabio parve compiaciuto, al pensiero. Ero stato ben attento a mostrare al mio nuovo conoscente le foto migliori di lei, selezionate accuratamente dal suo Instagram. Ma in fondo era bella pure in pigiama, pensai.
“Pronto ad ammirare il più grande spettacolo dopo il Big Bang?”
“Puoi dirlo forte. Ah, è la nostra fermata.”
Quando riconobbi la palazzina dove risiedeva Jessica, già mi brillavano gli occhi.
“Calmati, amico, stai sballottando da tutte le parti quella povera orchidea” rise Fabio.
“Ah, li mortacci a me! E dire che mi ero ripromesso di usare la massima cautela.”
“Sicuro che non sono di troppo?”
“Certo che no, i miei amici sono anche i suoi.”
“Compresi quelli che conosci da due ore?”
“Sì, se hanno il tuo aspetto.”
Ridendo, giungemmo di fronte al cancello d’ingresso, che fortunatamente era solo accostato.
“Guarda qui” dissi a Fabio, estraendo la chiave dell’appartamento di lei.
“Sei praticamente suo marito” commentò l’altro “ma non le verrà un colpo a trovarti dentro casa?”
“I colpi di gioia sono sempre graditi.”
“Vai avanti tu e annunciami, io ti aspetto qui fuori” bisbigliò Fabio.
Annuii e, muovendomi di soppiatto, posai la pianta di orchidea sul tavolo del soggiorno.
Jessica era sicuramente in casa, in quanto la musica pop riempiva l’abitacolo. Doveva essere nella cameretta del figlio. Sì, aveva uno splendido bambino di tre anni. E sì, ne avrei parlato a Fabio più tardi. Udii il suono della risata di Jessica e il cuore mi si riempì. Finalmente ero a casa. Dietro la porta, sentii il piccolo Leonardo chiedere proprio di me, dello zio Giovanni.
“Mamma, quando torna lo zio a trovarci?”
Jessica non rispose, le uscì solo un verso strozzato. Possibile che avesse percepito la mia presenza?
“Giò?” domandò infatti, alzandosi dal pavimento puntellato di macchinine e ciabattando verso la porta. La spalancò e ci trovammo occhi negli occhi. I miei erano umidi, proprio come i suoi.
“Mamma?” la richiamò il piccolo.
“Torno subito, cucciolo.”
Jessica si chiuse la porta della cameretta alle spalle e scoppiò in pianto.
“Perché piangi, Je? Sono qui, sono tornato!” esclamai.
“Quanto sono stupida” mormorò lei tra sé e sé, asciugandosi gli occhi, “come poteva essere Giò? Lui è morto.”
A quelle parole, mi sentii gelare. Che razza di scherzo era quello? Tentai di scuotere la mia amica, ma scoprii con orrore che le mie mani non avevano consistenza. Non ero che un’ombra, un’ombra invisibile. Jessica intanto era in bagno a sciacquarsi il viso. Non voleva che il bambino la vedesse in quello stato. Crollai carponi per terra, sconvolto. Fu a quel punto che Fabio mi raggiunse.
“E’ tempo di andare, amico mio.”
Ed ecco che, con la consapevolezza di chi si sveglia da uno sogno, mi ricordai tutto. Mi ricordai di essere morto in una stanza d’ospedale, nel reparto di terapia intensiva del Niguarda. Con Jessica mi ero sentito via messaggio il giorno prima, in quanto non ero più in grado di parlare, e lei mi aveva fatto promettere che ci saremmo rivisti presto. Fabio posò la mano sulla mia spalla, scostandosi al contempo la mascherina.
“Grazie di avermi concesso quest’ultimo saluto” gli dissi, alzandomi in piedi. Lanciai a Jessica un ultimo sguardo e mormorai un ti amo a fior di labbra. Il mio sentimento per lei era qualcosa che avrebbe trasceso lo spazio e il tempo. In cuor mio intuivo che mi sarebbe stato concesso di tenerla sempre con me, sebbene a distanza.
“Tu sei una sorta di guida ultraterrena, Fabio?”
L’altro annuì, irradiando una luce di beatitudine che colmò il mio animo.
“Ora sono pronto ad andare, amico.”
*
Cinque minuti più tardi, Leonardo chiamò a gran voce Jessica, che lo raggiunse in soggiorno.
“Mamma, guarda!” esclamò il bimbo, entusiasta, “prima non c’era!”
L’orchidea bianca troneggiava sul tavolo. Accanto ad essa era posata la chiave dell’appartamento, quella con il portachiavi a forma di unicorno. La chiave di Giovanni.
Racconto molto commovente. Brava Adriana.
Grazie Marina, ho voluto rendere omaggio a un amico scomparso, sperando che gli arrivi il mio pensiero.
Sembra vada tutto fin troppo bene, e il finale, struggente, sorprende.
La pandemia è entrata sotto la pelle di tutti e quest’incubo ha trovato la via d’uscita attraverso l’inchiostro in tanti racconti. La tua scelta è sorprendente: prendi per mano il lettore e lo accompagni fino alla fine che, nonostante tutto, lascia un dolce sapore. Brava!
Mannaggia Adriana: sul finale groppo in gola e occhi lucidi pure io! Molto bello, il “tuo” zio Giò apprezzerebbe di sicuro. Mi piace la delicatezza di Fabio, che aspetta che Giovanni scopra da sé la verità sul proprio viaggio, un viaggio in treno emozionante carico di affetto e di aspettative, un affetto disinteressato e genuino. Complimenti.
Idea originale e finale ben studiato come descrizione e tempi. C’è anche un filo sottile di ironia nella professione di “guida turistica”, dove si scopre che guida il personaggio lo è davvero e le tappe dell’itinerario sono sorprendenti. Bel racconto, davvero.
Bellissimo racconto! Molto coinvolgente! Durante il dialogo mi stavo irritando con Giò per il modo in cui aveva socializzato e stava “piazzando” la sua amica (mi spiego, il mio carattere è diametralmente opposto, da qui la mia avversione, altro indicatore di come il tuo racconto sia ben coinvolgente) e poi sono rimasto davvero spiazzato sul triste finale a sorpresa.
Carino e significativo anche il tocco sovrannaturale finale, con il fiore e le chiavi rimasti sul tavolo. Brava!