Premio Racconti nella Rete 2010 “La stagione della semina” di Andrea Samsano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Sono un masturbatore compulsivo. Per questo vado in psicoterapia.
Anche mia madre ci andava.
Prima della legge 180 faceva l’infermiera nei manicomi. A quindici anni credevo che partisse ogni giorno, con il suo vestito di cotone leggero, per farsi ricoverare. Ogni sera, invece, tornava consumata, esausta, con il suo bel vestito stropicciato.
Pensavo che il suo fosse un ricovero volontario.
Otto ore più gli straordinari di terapia di gruppo, laboratori creativi, cineforum e tante piccole pillole colorate, come le pedine del Risiko.
Si chiamava Elisa ed era bella ma non lo si vedeva.
Dopo il lavoro tornava a casa e imbastiva una cena scarna, poi mi chiedeva di prepararle un drink, forse due. Ora non ricordo. Martini dry, Americano, Campari e acqua frizzante. Ero il piccolo barman di mia madre.
Si addormentava con la sigaretta che le pendeva dalle labbra, in bilico. Come me.
Io controllavo, controllavo, controllavo.
Evitavo così che i pompieri sfondassero i vetri e ci portassero a braccia fuori di casa. Lo facevo perché temevo il giudizio dei vicini. O forse perché credevo che i pompieri mi avrebbero chiesto di buttarmi dalla finestra sul loro simpatico tappeto elastico, come Dumbo.
Ma noi vivevamo al piano terra.
Ho bisogno di tenere tutto sotto controllo ed il fatto di essere in terapia mi tranquillizza, mi mette a mio agio. Il dottore mi ha etichettato: disturbo ossesivo-compulsivo di personalità.
Almeno si sa che cosa cazzo ho. È già qualcosa.
Lavoro come consulente per una famosa azienda di moda. Giro il mondo per questo e mi masturbo, sempre, ovunque. Ho una buona vita sessuale ma non è come quando mi spremo il batacchio in giro. Il mio seme ha visto migliaia di posti: bagni, uffici, camerini, chiese, scuole, macchine, cinema.
Un vero delirio narcisistico: ho seminato un mondo ma non ho mai inseminato una donna.
Meglio così.
Non vorrei mai che il mio seme si esplicasse in qualche forma di carne significativa.
Le cose significative rischiano di diventare una dipendenza, un’ossessione difficile da scacciare. I pensieri intrusivi funzionano nello stesso modo. Sono narcotici dell’anima, lo spunto di ogni singola sega che mi sono fatto nella vita. Un mio collega ha lasciato il lavoro dopo una faticosa guarigione da un tumore prostatico. Dice che non riesce più a masturbarsi. Così ho una infantile isteria latente che si diverte a convincermi che il mio bisogno costante di toccarmi derivi dalla paura di non aver ancora raschiato il fondo del contenitore in tempo, prima che un bubbone prostatico mi blocchi per sempre la produzione spermatica.
Oggi vedo il dottore.
Il mio terapista ha la faccia stretta e spigolosa. I capelli bianchi, corti, in disordine. Se fossero i miei li porterei un po’ più lunghi. Li spazzolerei tutto il giorno.
Veste di nero; un nero che deprimerebbe una cubista.
Per fortuna il mio umore è stabile.
Certe volte indossa dei maglioni anonimi, altre volte maglie nere della Ego.zero, l’azienda per cui lavoro. Alle mie sedute ha smesso di metterle. Solo camicie grigie per me.
Noi non le produciamo.
E’ un personaggio ambizioso, un tipo severo, convincente. Non vorrei mai assomigliargli. Alla sua età mi vedo calvo, con la pelle ancora tesa e la fronte lucida. Lui non ha paura di vivere, per questo fa quel mestiere. Prima della seduta di oggi mi masturbo nell’atrio del palazzo di giustizia. Niente di speciale. Qualche colpo rapido ed un getto spento, privo d’energia. È bello sapere che le cose che facciamo ci assomigliano. Se il mio terapista gioca a golf lo fa con convinzione, con fermezza, senza ansia. Se io mi masturbo in un luogo pubblico lo faccio con un senso pietoso di vuoto. La mia mano destra è meschina, bugiarda e ipocrita. Si colpevolizza, si lava con il sapone e poi stringe la mano di migliaia di persone. Che poveretta.
Alle 18:59 entro nelle studio dell’uomo in nero.
<< Buonasera >>
Rispondo con un sorriso gentile.
<< Allora come sta? >>
Penso che sia la stessa domanda che può farti chiunque solo che lui la fa stando seduto sulla poltrona con il diploma dietro alla nuca, invitandoti con gesti disarmanti a dirgli tutto. Non puoi rispondere che stai bene ma nemmeno male. Devi offrire qualcosa in più, non stai parlando con il cassiere del supermercato.
<< Mi sono masturbato nel palazzo di giustizia, non l’avevo mai fatto >>
Muove la mano, forma un piccolo cerchio in aria, stringendo gli occhiali da vista:
<< Come si è sentito ? >>
Medito una risposta d’effetto non banale, riassuntiva.
<< Forse non vuole parlarne >>
Prendo tempo.
<< Certo, mi scusi, ero solo un po’ distratto >>
<< Sarebbe importante capire perché è distratto >>
<< Mi sono sentito svuotato ma non del tutto, ecco come mi sono sentito >>
Il suo sguardo mi invade il corpo, mentre stringe i muscoli del collo, sembra un’anaconda pronta a stritolarmi.
<< E’ una sensazione che mi ha descritto frequentemente >>
Prende fiato, forse si sta strozzando da sé.
<< Ora, che siamo ancora all’inizio, dovrei interromperla. Dovrei parlarle di qualcosa di significativo >>
Mi paralizzo pensando a questa brusca interruzione.
Capisco subito che lo specialista ha deciso di chiudere il programma, sta modificando il palinsesto senza preavviso: che dittatore del cazzo.
<< Perché mi dice questo? Le cose che le racconto non sono abbastanza significative? >>
<< Affatto, solo che ritengo necessario fare una piccola premessa alla seduta di oggi >>
Tiene le gambe accavallate, sono lunghe come quelle di una segretaria.
Mi dispiaccio della mia eterosessualità.
<< Le faccio io una premessa, che poi qui premesse non dovrebbero essercene, saprà meglio di me che tra queste due cazzo di sedie non c’è uno spazio fisico, ma una relazione; le relazioni sono variabili incontrollabili, quindi il suo tentativo di mettere dei paletti predittivi è piuttosto ridicolo >>
Mi bacchetta lo spirito con le stanghette degli occhiali:
<< Vedo che ha studiato la lezione >>
E’ un proiettile di carta che mi trafigge un organo vitale a caso, capisco che sono fatto di qualcosa di infinitamente fragile.
<< Ho letto delle stronzate manualistiche, le stronzate che lei ora sta palesemente ignorando >>
Mi sento piccolo, come quando imboccavo mia madre o quando le chiedevo di cosa vivesse mio padre. Perché non capivo se suonare il jazz nei locali fuori moda bastasse per mangiare un piatto di farro. Io mangiavo il mio purè senza sale e pensavo a lui, che non aveva la responsabilità per prendersi cura di me ma non aveva nemmeno quella per sopravvivere. Morì solo, tra i fogli di musica, scritti da una mano sempre incerta, con la faccia secca di un vecchio senza tempo: aveva solo trentasette anni…mio padre.
<< Sa dottore, con tutto quello che mi sono perso, voglio godermi la vita con le mie nevrosi soporifere, consumandomi il coso, ogni volta che posso, ovunque, perché sarò io, questa volta, a decidere di togliermi qualcosa, fino all’ultima goccia, ma devo esserne certo. Mia madre ha sempre scelto per me, con le sue azioni pervasive. Ma sa, ora la riconosco comunque come l’assenza della mia vita >>
<< Assenza ?>> Dice il dottore interessato.
<< Essenza, volevo dire essenza, mi sono confuso >>
Mi sembra preoccupato ma capisco di essere stato convincente.
Allora continuo:
<< Senta, io mi sono masturbato sempre, dalla prima volta che ho visto il mio pene in erezione. Ho seminato in qualunque posto che abbia rappresentato un momento significativo della mia vita. L’ho fatto con piacere, disprezzo, amarezza, euforia, eccitazione. Ho pensato a donne di ogni genere: a mia cugina, alla mia bidella, alla madre della mia prima moglie, alla mia vicina di banco delle medie, alla mia prima terapista…>>
Mi interrompo, pensando che la mia prima terapista era talmente incompetente che provai a masturbarmi sul suo lettino, tanto per essere cacciato malamente.
<< Lo sa quanti camerini ho visto nella mia vita ? Faccio le mie consulenze, le mie valutazioni puntigliose, in tutti i negozi della catena, sistemo il layout, la vetrina come un cazzo di maniaco ossessionato dalla perfezione e poi mi nascondo nel camerino per completare l’opera. Ho fatto convegni in tutto il globo e il mio seme si è appiccicato a muri di qualsiasi nazionalità. Ma ora vuole saperla una cosa? >>
Annuisce come un figlio ubriaco che tenta di nascondere la sbronza ai genitori.
<< Io qui, nella sua realtà, nel suo spazio, non mi sono mai toccato. Il suo studio, la sua sala d’attesa, il bagno non hanno mai visto il mio sperma. All’inizio credevo che fosse perché questo posto non era un luogo significativo della mia esistenza, poi ho capito, io qui sono al sicuro, non ho il timore di non aver finito qualcosa, qui non devo controllare nulla >>
Lo guardo con la speranza del bambino che non sono mai stato e aspetto una conferma, uno scambio empatico di fiducia in questa dannata relazione.
<< Apprezzo molto le sue parole ma quello che le dovevo dire all’inizio della seduta ora potrebbe apparire inopportuno. Io mi trasferisco. Ho gravi questioni familiari da risolvere lontano da qui. Ho già il nome di un collega molto bravo che sarà felice di ricevere il passaggio di consegne. Perdoni le modalità ma non avevo alternative…>>
Un sorriso languido mi trapassa la faccia, alzo la mano come il secchione del primo banco e con un educato senso liberatorio mi dichiaro:
<< Posso usare il suo bagno ? >>
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Ho dovuto leggerlo tutto d’un fiato per evitare di essere sopraffatto dall’ansia. L’ansia di arrivare in fondo, perchè mi ha preso. Tagliente, ritmo giusto.
Adesso guarderò con sopetto chi mi chiederà dov’è la toilette…
PL