Premio Racconti nella Rete 2021 “Siviglia, il soffio tra gli aranci” di Sauro Bartolozzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021Per gli amici di prima ero un poeta, per chi mi vede adesso di sfuggita sono un pezzente.
Dall’Avenida, sotto l’estrosa gronda rococò da dove osservo l’umore dei passanti, turisti per lo più, stanotte ho sognato il Paradiso. Ieri la Ronda della Carità era arrivata tardi alla mia nicchia, il quarto di luna saliva svelto sulla cattedrale e quasi m’impediva di sperare quando, dopo aver sorbito la minestra, senza pagare debito alcuno, per un tempo lungo e celestiale, ho potuto inoltrarmi nelle tiepide vasche dell’hammam, fra i vapori dell’incenso e gli zefiri gentili. Del mirabile bagno ho goduto fino all’alba. Mi hanno svegliato questa pressione in petto e le bestemmie di un’anima in affanno. Per la fretta indiavolata del lavoratore ho chiesto a Dio di perdonarci. Oltre i colori degli aranci amari ho rivisto il portale acuminato, la tregua s’è spezzata e m’è tornato in mente il gesto del ragazzo.
Quel suicidio è stato un assassinio.
Sette giorni fa suonava mezzogiorno. Già era spuntato il muso della metro e, per scappare al cerchio incattivito dei compagni, lui, sciocco cerbiatto, s’è lanciato contro la motrice. Il volo dei suoi libri m’è rimasto come un pugno.
L’ignoranza dei lupi cresce nei quartieri senza un briciolo di storia. In questo punto ricco di passato, tre artisti siamo dell’immaginario a godere la vista di mura consacrate. Io, senza averne titolo, filosofeggio e fiuto i venti; il mio dirimpettaio provocatore avvinazzato, a cui non parlo; la ballerina di flamenco incantatrice di piccoli turisti, giù alla Porta del Perdono. I camerieri che stanno di vedetta ai tavoli qui accanto non fanno caso al tempio.
Il cielo si è schiarito. Il celeste mi ricorda le pervinche, le rime dei miei versi. Tra poco inizia il movimento.
Com’è normale, da quando il mondo si è ristretto, sarà degli orientali il primo transito. Per assalire il Mausoleo di Cristoforo Colombo e l’Alcazar, sfileranno qui davanti cinesi e giapponesi, già li sento cinguettare. Se non è stordito dai fumi alcolici, il mio dirimpettaio li coprirà d’insulti, non sopporta che le nostre glorie, di cui si sente erede, siano sottoposte a giudizi forestieri. Non tollera che dei cinquemila ebrei bruciati nel trecento con l’accusa di diffondere la peste, oggi se ne parli come un dramma. La scorsa primavera, all’insegnante che spiegava il rogo agli studenti, scagliò una sfilza di bottiglie vuote. In compenso ride e grugnisce quando una moneta, pur straniera, si deposita nel suo orribile cappello.
Anche stamani il padre del ragazzo sosta sul posto. Piange guardandosi alle spalle e lascia il fiore tra i binari.
Mi sono ingannato, il cicalio si sta mutando in fischi. I lavoratori devono essersi decisi a rompere il silenzio, quest’allegria fa bene alle mie ossa. Il trambusto lo sento incolonnarsi in Plaza Nueva,finalmente vedrò marciare alla maniera antica.
La processione dei bancari passerà più tardi. Riconosco i promotori finanziari dal gusto nel vestire, pantaloni attillati e cravatte intonate al volere del mercato. Dicono che l’economia stia volando. Se i castelli degli speculatori dovessero crollare come a suo tempo fece la Torre di Babele, sono certo che anch’io ne risentirei. Meglio non pensarci. È vero che io sparirò senza lasciare un euro ma, se il grande tonfo s’avverasse, mi piacerebbe essere vivo.
Oh guarda chi si sta avvicinando! Questi tre preti che passano sui binari calpestando i petali, io li ho già inquadrati. Domenica scorsa indossavano l’abito talare, oggi vengono al bar senza distintivi. Anche se i tavoli all’aperto sono completamente liberi, tornano a sedersi presso il mio sofà di pietra, forse non mi considerano. L’altra volta bevvero i loro americani spruzzando veleno sui chi sta svecchiando la morale.
Di certi religiosi mi fa impressione la cecità con cui guardano alla vita. Ma questi sono dei cospiratori! Li sento soffiarsi il naso e sibilare che il basso stile del Papa mette a repentaglio il prestigio della Chiesa! Sento che riescono a calmarsi di fronte al cameriere.
Una volta, ma erano gli anni in cui volevo essere figlio dei fiori e tra noi studenti si fumava marijuana, un prete mi confidò che sì l’Inferno esiste, ma i gironi lui li pensava vuoti per la ragione che Dio ama e perdona. Non ricordo se sugli altari della nostra cattedrale ci sia rappresentato l’Ente divisore.
Devo ricredermi di nuovo, il trambusto non è degli operai. Sono mani e braccia di studenti quelle che sollevano la selva dei cartelli. L’avanzata del fronte fa cadere attorno le arance più mature, quasi mi sento dominare dall’urlo dei fischietti.La collera, quando si esalta, perde la ragione. Non dovrebbero dormire sonni tranquilli gli affaristi. La metro dev’essersi bloccata. Il coro dei manifestanti interroga chi si rifugia negli acquisti. La polizia controlla. Oh sì, sì… vengono richiamati al dovere Governi e Parlamenti! È giusto, questa gioventù pensa al futuro. È da matti rimandare la cura quando la febbre sale.
Questo ho imparato. Lo sfruttato sopporta il sopruso, ma l’ordine del cosmo esige la rivolta. Il cambiamento del clima è la risposta.
I tre chierici non sembrano interessati al grido del corteo, fanno colazione volgendo sguardi al cielo. A quel che sento, la Musa dei manifestanti chiama alla lotta. Gli adoratori del profitto non l’ascolteranno. Pare che in avvenire si svilupperanno relazioni virtuali. Prevedere le mosse dei virus e dei computer è una questione d’ordine mentale. I miei neuroni si sono fulminati allo scatto del ragazzo.
Mi rassicura la scienza che portano i disastri. Mi dà fiducia la poesia che emana il tam-tam degli studenti. So che la mia fibra è al limite, presto dovrò piegarmi. Vorrei avere con me i giovani della Ronda, come scorta al cimitero. Tra non molto mi si appannerà la vista, cesserà il gioco dei presentimenti. Finora non avevo considerato la partenza. Prima di congedarmi voglio immaginare l’esplosione della cattedrale. Ho nella testa immagini di fuoco.
L’impeto Santo scardinerà le impiombature. Sprigionandosi dalle teche turbinerà tra le colonne gonfiando le navate, farà saltare tetto e cupole. La Sapienza potrà distendersi sul fiume, sulle piazze, lungo i viali, ben oltre i confini dell’aeroporto. Le basi della Giralda resteranno in piedi. Le campane chiameranno a rapporto gli angeli maggiori, l’armonia sconfinerà dai luoghi di battaglia ai quattro punti cardinali. Gli astronauti vedranno rimarginarsi le ferite di montagne e oceani. Il fenomeno risulterà amico per gli esploratori. Gli ultimi si godranno per primi il tempo del benessere. I media impazziranno per condensare in sillabe il senso dell’evento. I pensieri si faranno leggeri come cenere. Il Papa e la non più accigliata Greta potranno affacciarsi sul pianeta rinnovato. Anche il ragazzo non incontrerà più mostri. Del magnifico sconquasso resterà il soffio tra gli aranci.
Bravo Sauro! Bellissima l’idea e la tua scrittura, fluida ma con una scelta attenta della parola, mi piace sempre moltissimo.
Vedo questo racconto scritto in un libro dalla copertina raffinata e delle mani attente aprire questo libro cercando di non sciuparne le pagine. Invidio chi sa scrivere come te: parole ricche, dense, ma no pesanti. Le descrizioni risuonano come una musica, classica, forse malinconica come il protagonista, che assiste al susseguirsi di fatti, stagioni…
Complimenti Sauro!
Il mondo visto dalla prospettiva di chi non contempla il denaro e la tecnica come fine, si dipana in un quadro finalmente umano (e poetico). L’attrito tra l’imbarbarimento e la purezza del sentire è come catalizzato e provoca sacrifici che solo occhi rimasti sensibili e scevri dall’indurimento sono in grado di cogliere.
Il suo modo di scrivere mi ricorda Oliviero Malaspina, che probabilmente è poco famoso. A me piace molto, ma io non sono un gran lettore.
Forse non concordo su alcuni “passaggi” del suo racconto, o forse non li ho compresi. Forse cerco di preservare un punto di riferimento, una stella polare, per quando navigherò spinto solo da un “soffio”.
Molto bello questo racconto. Una lezione di vita che sgorga dall’acuta osservazione di una persona che non si vuole piegare alle storture della realtà, ma che in quelle storture c’è finita dentro.Complimenti.
Questo racconto per me esprime il senso di impotenza di chi capisce e conosce, ma non ha potere di cambiare la realtà, sentimento che spesso ci affligge, soprattutto in questo periodo estremamente difficile! ben scritto, con uno stile elaborato e lessicalmente ricco!
un lungo amaro e disincantato flusso di coscienza. L’uomo ha scelto di vivere nel rispetto della propria libertà di pensiero, non è omologato e si può permettere di valutare tutto ciò che lo circonda dalla sua poltrona di pietra. La qualità della scrittura risulta al servizio di un pensiero che l’autore lascia fluire dalla mente del clochard. Il flusso delle parole ammalia e cattura suadente come il canto di una sirena e una volta che si è catturati si è costretti a pensare, a vedere quello che di solito ci scorre davanti agli occhi ma non supera la superficie. No. Il protagonista ha il tempo e i mezzi per condurre a una riflessione profonda e scuotere le coscienze. Complimenti e ancora complimenti. Mi auguro di leggere il racconto nell’antologia.