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24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2010 “Il manipolatore di sogni” di Cristiano Sormani Valli

Categoria: Premio Racconti per Corti 2010

“Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché

nessun uomo può vedermi e restare vivo… “

Esodo 33,20.

Akim Ibrahim Iqbo era manipolatore di sogni da nove mesi e tredici giorni. L’attività della compagnia, presso la quale prestava servizio, era cominciata nel 2011. Ora, ad un solo anno di distanza, il fatturato della Dreamer, era questo il nome dell’azienda, era cresciuto del 415%.

Akim guadagnava abbastanza per mantenere la moglie, i tre figli e la loro casa a due piani con giardino. E poi il lavoro gli piaceva. Programmare l’attività onirica delle persone che richiedevano il servizio era un lavoro per lui molto interessante. Segnava nel data base del cliente, le immagini richieste nei sogni, fino ad un numero massimo di 23. Di solito si trattava di luoghi particolari, di persone famose, situazioni… per ogni richiesta si pagava una cifra prestabilita. Poi Akim applicava il microchip nell’orecchio destro del sognatore e il computer, che accompagnava, come Morfeo, il dormiente nel viaggio della notte, faceva il resto. Inventava, manipolava il sogno del cliente utilizzando le variabili da lui scelte. Quelle che in gergo gli operatori chiamavano “boe”. Erano come protagoniste sicure del sogno. Una specie di canovaccio, insomma. Anche se il resto del “lavoro” lo faceva come sempre la coscienza del sognatore. Finalmente si poteva sognare ciò che si voleva. Modica cifra per una notte meravigliosa. “Mai più incubi”, recitava lo slogan, “sogna il sogno che vuoi!”

Jack Giuliani era un abituale cliente della Dreamer. Akim passava da lui ogni giorno da quando era in servizio e l’uomo si sbizzarriva nelle richieste più strane. Naturalmente ogni singola scelta era privata e tutelata dal segreto professionale. L’azienda era categorica con chi contravveniva alla regola. Licenziamento ed allontanamento immediato dallo stato in cui si abitava. Per Akim non era mai risultato un problema. Non giudicava mai i suoi clienti. Ognuno era libero di sognare quel che meglio credeva. Nella vita “reale” nessuno faceva del male a nessun altro e questo gli bastava.

Quindi si meravigliò molto di non vedere scritto il nome dell’uomo nell’elenco, quando quel mattino alla centrale gli diedero il “giro” della giornata. Jack non gli aveva detto niente. Lo chiamava così, ormai, confidenzialmente, come se fossero amici da sempre. Del resto conosceva i suoi sogni e si erano visti tutti i pomeriggi per 9 mesi e 12 giorni, escludendo i venerdì, giorno in cui Akim non lavorava. La Dreamer proponeva il servizio a prezzi abbordabili e molti erano i clienti abituali.

Con questi pensieri in testa Akim affrontò la giornata ma già dopo il primo appuntamento non ci pensò più. A riceverlo c’era una donna di mezza età, dall’aspetto giovanile, bionda. Era sempre contento quando aveva a che fare con clienti del genere.

E venne sera e fu mattina altre 3 volte e del nome di Jack nella lista, nemmeno l’ombra. Alla fine del “giro” del quarto giorno ad Akim avanzava un po’ di tempo e decise di far visita all’amico. Voleva capire cos’era successo. Era strano che l’uomo non gli avesse detto nulla. Non l’avesse avvertito. Così riportato il furgone alla centrale, con la sua jeep, si diresse verso la villetta dell’uomo.

Le persiane erano chiuse. La casa sembrava apparentemente disabitata. Per un attimo Akim fu sul punto di girarsi e tornare da dove era venuto. Che ci faccio qui, non lo conosco veramente quest’uomo e non ho il diritto di farmi gli affari suoi… Dalla radio le note di una canzone d’amore libanese. La voce della donna risuonò nell’abitacolo della macchina: “Quante volte ti cercherò, quante volte non sarai dov’eri, quante volte ti cercherò, quante volte non ti troverò…” Akim ascoltò queste ultime parole poi spense la radio, si fece forza e si avviò a passi decisi verso la casa di Jack. Poteva essere in vacanza da qualche parte, pensò cercando di rassicurarsi, oppure era andato a trovare qualche parente lontano. S’immaginava una malattia improvvisa, la morte di un cugino che non vedeva da tempo. Di certo era strano che non gli avesse detto niente. Ripensò alle richieste di sogni che gli aveva fatto. Erano sempre stati un po’ strani. Cioè non sempre, la maggior parte delle volte le boe erano cose semplici e molto comuni. Donne con le quali avere rapporti sessuali, un’isola deserta, un castello, uno yacht, palazzi lussuosi, gioielli, soldi, sesso, droga, feste in piscina… gli uomini desideravano nei propri sogni quel che sempre avevano desiderato. Ma Jack, in alcune occasioni, e ora che ci pensava sempre più spesso nell’ultimo periodo, aveva inserito delle “variabili” alquanto strane: angeli, arcangeli, il diavolo, una scala, un pozzo, la foresta, due gemellini uno maschio uno femmina, le costellazioni, il cielo, la lava di un vulcano… peccato che le boe fossero programmate per cancellarsi dal data-base il mattino seguente. Dopo che il cliente era stato accontentato non ne rimaneva traccia alcuna, in nessun luogo, se non nella memoria del sognatore. E del tecnico naturalmente. Akim avrebbe ricontrollato volentieri le richieste dell’amico. Ne era sicuro, una settimana prima aveva inserito nelle variabili la parola Dio. Akim non ci aveva dato peso sul momento. Era un mussulmano moderato di sesta generazione. Allah era incastrato nei suoi pensieri, fra la partita di calcio e la spesa al supermercato del fine settimana. Stava a braccetto di sua moglie e dei suoi due bambini.

Il dito scuro di Akim premette il campanello della casa. In quello stesso istante cominciò a piovere a dirotto. L’uomo aveva un brutto presentimento. Era come se una voce gli intimasse di andarsene. Ma il dito, animato da volontà propria, suonò di nuovo. A quanto pare non c’era nessuno. Poi, preso da una forza che non poteva controllare, come quando sei sicuro del risultato di qualcosa e azzardi un’azione, girò la maniglia della porta e la porta si aprì.

L’uomo entrò nell’ombra della sala. Gli occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla mancanza di luce. Riconobbe la casa che ogni giorno visitava. Sembrava che tutto occupasse il solito posto di sempre. I mobili, i pochi oggetti, il giornale dei programmi televisivi sul tavolo. Akim controllò la pagina su cui era aperto. Segnava la data di sei giorni prima. Il tutto era ormai diventato incomprensibile. Jack non poteva aver dimenticato di chiudere la porta prima di uscire. Jack, chiamò timidamente. Jack, provò di nuovo con più decisione. Jack, sono io Akim, sei di sopra? Nessuna risposta. Poi si accorse di un nuovo elemento. Lo colpì allo stomaco come un pugno d’un pugile professionista. Dal piano superiore proveniva un forte odore. Come quello della conceria di pelli di suo cugino, in Marocco. Un odore aspro, forte, pungente. Jack, chiamò di nuovo, questa volta con una sfumatura di terrore nella voce. Era un uomo diviso. Una parte di lui sarebbe scappata via di corsa da quella casa. L’altra, piena zeppa di curiosità, voleva sapere come sarebbe andata a finire quella strana storia. Naturalmente prevalse la curiosità e Akim salì al piano di sopra. Si teneva al corrimano per non cadere, come se sotto a lui si aprisse un precipizio pronto ad ingoiarlo da un momento all’altro. Man mano che saliva le scale, l’odore si faceva più forte.

Quando entrò nella camera dell’amico, per poco non vomitò. Tutto diventò scuro in un attimo e il suo corpo cadde a terra privo di sensi. Rimase immobile in quella posizione per quasi un’ora e Akim sognò di essere nel letto di casa sua, con la moglie accanto. Quando riaprì gli occhi era ancora tutto dove l’aveva lasciato. Jack era sdraiato sul letto completamente nudo, gli occhi sbarrati. Il volto contratto dal terrore. Di fianco a lui un coltello da cucina dal manico rosso come il sangue che era raccolto in un’enorme pozza ormai rappresa. Proprio sotto il suo corpo. Nel centro preciso del letto. L’uomo giaceva come crocefisso, il ventre squarciato dalla lama affilata. Nella stanza ogni oggetto era stato distrutto, le tende strappate, lo specchio infranto sparpagliato a terra come dei coriandoli il giorno di carnevale. Jack riportava sul corpo evidenti segni di bruciature e sulla parete dietro la testata del letto campeggiava una scritta a vernice d’oro: “sei qui”.

Akim cercò di mantenersi in posizione eretta appoggiandosi allo stipite della porta. Non aveva il coraggio di entrare e soprattutto, memore dei numerosi film polizieschi che aveva visto in gioventù, non voleva incasinare le prove. Poi notò qualcosa che lo costrinse a sciogliere quel tacito patto che s’era imposto. Alla destra dell’uomo c’era una pergamena, come ne aveva viste solo al muse, col figlio, giusto un mese prima. Non aveva bisogno di raccoglierla, fortunatamente, per leggere quello che c’era scritto in lettere d’oro: “Non puoi guardare il rogo negli occhi. Troppo è tutto il grande per l’uomo. Tutto insieme è insopportabile. Tutta la gioia. Tutto il dolore insieme. Gli angeli e i demoni nelle orecchie, nelle narici. Mi torturano la carne. Mi bruciano il cuore e la testa. Portano via il soffio e io divento cieco. Sono come” Era sicuramente la calligrafia dell’amico e le parole erano state scritte con cura su quel foglio ingiallito. Quei segni incisi contrastavano col caos in cui era avvolto il resto della scena. La frase, però, s’interrompeva di colpo come se gli fosse stata strappata la pergamena di mano. Akim svenne di nuovo.

Quando riaprì gli occhi era in camera sua. La moglie gli dormiva accanto profondamente. Akim guardò il soffitto. Lo sguardo ancora allucinato, pieno com’era della visione notturna. Respirò a fondo guardandosi intorno poi d’improvviso ricordò. Spinto dalla curiosità, il giorno prima, aveva voluto provare il manipolatore. Non l’aveva mai fatto.

Si alzò di scatto come per verificare che il mondo intorno fosse realmente vero. Cercò nell’orecchio destro il congegno. Si toccò le mani e il volto guardandosi nello specchio del bagno e poi pianse. Non sapeva potesse sembrare tutto così reale. Non aveva mai capito i suoi clienti. Controllò l’orologio al polso e segnava le 4 e 53. Sua moglie dormiva profondamente. I bambini anche, probabilmente.

Akim scese nel salone. Si mise in ginocchio e pregò il suo Dio, rivolto verso la Mecca, come non faceva da moltissimo tempo. “Mai più incubi, sogna il sogno che vuoi.”, gli riecheggiava nella mente.

Fuori il sole spuntava leggero all’orizzonte, come una ballerina in un tutù di fuoco.

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