Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2021 “Pastorale veneta” di Veronica Santoro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

La notte che Berto nasce – una tipica notte di piena estate in pianura padana, nera e densa come la pece – la quiete ovattata, ronzante di zanzare, é rotta dal grido acuto di sua madre, che muore mettendolo al mondo. Il silenzio inghiotte quell’urlo e torna compatto. Non si ode il pianto del bimbo, il che suscita un fitto mormorio, nei giorni seguenti, fra le donne del paese. Il loro brusio concitato serpeggia fra le viuzze, dietro ai banchi in chiesa, davanti alle botteghe, agli angoli delle case, simile ad uno sciame d’api. Un bambino che non vagisce, nato in silenzio! Quel neonato deve essere strano. E d’altronde, la madre é morta di parto: Iddio si é pronunciato, a suo modo. Così, a quel parlottare, s’intrecciano preghiere, avemarie sussurrate con la voce rotta, scongiuri e bestemmie, finché il parroco, don Terenzio, non decide di mettervi fine. Si sa che la madre di Berto, pace all’anima sua, è rimasta incinta da un foresto, passato al villaggio per una notte e poi subito ripartito all’alba. Il piccolo, dunque, non ha neppure un padre. “Alleverò io l’orfano” dichiara una domenica il parroco, con voce tuonante, dal pulpito “finché non sarà adulto”. Si smorza il chiacchiericcio fra le file a messa, finalmente, ma per poco. Perché Berto cresce e non parla ancora, o meglio, non sembra interessato a farlo coi propri simili. In compenso, si siede sul bordo dei fossi, facendo cic-ciac, cic-ciac, coi piedi nell’acqua e intrattiene discorsi afoni con le nutrie o con i merli. Non passa molto che, in paese, si inizi a chiamarlo Berto lo Scemo.

Trascorrono anni e un giorno una carrozza entra in paese, in un gran scalpitio di zoccoli che richiama tutti i paesani in strada. I passi sicuri di un uomo ben vestito, con costose scarpe di cuoio, ticchettano fin davanti alla canonica, poi si ode bussare con decisione alla porta di don Terenzio. Nell’arco di una mezz’ora, le novità serpeggiano da una bocca all’altra, in un crescendo di voci ora eccitate, ora tremanti: il paese vibra come un alveare. “Berto xe diventà ricco!” si ripete, mentre la storia già si gonfia, si arricchisce di dettagli, riecheggia nel coro di voci confuse. Alla fine, tocca alla Bruna moglie del fornaio ufficializzare il racconto: é arrivato un parente di Berto, con grandi notizie. Il ragazzo ha ereditato una fortuna, da quel padre sconosciuto che non si é mai più fatto vedere in paese. L’anziana Adelina, che fatalità si trova in canonica in quel momento – come fa sempre, per riassettare le stanze del religioso – ha sentito distintamente lo schiocco della serratura di un forziere provenire dal salottino degli ospiti. E poi a seguire, un’esclamazione soffocata di don Terenzio, il quale le conferma poi che si tratta di una fortuna, una vera fortuna! Inutile dire che, quella sera, nelle case si spengono molto tardi, nel buio, gli ultimi bisbigli. Il paese, sfinito dalle troppe emozioni della giornata, boccheggia sotto un’afa micidiale, stesa sulla pianura come una coperta di piombo. L’oscurità notturna pullula di ronzii, di fruscii, di sospiri…

Ma ecco, nel cuore di quella stessa notte, il silenzio é squarciato da un suono che fa sobbalzare tutti nei letti. Le campane! A quest’ora? Non si saranno dimenticati di qualche solennità, è forse san Lorenzo o l’Assunta? No, via, siamo a luglio, ci manca più d’un mese! E allora che succede? Che sia scoppiato un incendio? Don Terenzio! Oh Signore, cosa mai…! Nel tumulto generale, fra i rintocchi spettrali, stridono già i pianti nervosi di alcune donne, ma per fortuna, non tutte si abbandonano a simili debolezze. Sulla via principale, risuonano i passi pesanti della Bruna del fornaio, che, raccolta fra le braccia la camicia da notte al di sopra dei polpacci robusti, corre ballonzolando e ansimando verso la chiesa, da cui riecheggia quello scampanio indiavolato. Chiamate don Terenzio! Ma dov’è quel prete? I fedeli lo invocano, agitati, mentre molti altri corrono dietro alla Bruna per andare a vedere. Mentre un gruppo di gente si è ormai radunato nel piazzale davanti alla chiesa, le campane pian piano si sono fermate, il loro suono si va smorzando. Si leva nel buio una risata surreale, che gela il sangue nelle vene. “Don Terenzio!” grida la Bruna, ed ecco una voce sconosciuta, che fra uno scoppio di risa e l’altro le risponde: “El paroco xe andà!”. E giù ancora risate. Ma di chi è questa voce? Da dove arriva? Di sottofondo si sente un fortissimo cic ciac, cic ciac, cic ciac, come di piedi frenetici nell’acqua. Oltre la chiesa, si stendono prati e fossi: c’è qualcuno che si aggira, senza dubbio. E poi ancora, quel ghigno grottesco, da demone! Si sente un vicino fruscio d’erba alta, mentre la risata sconvolgente riprende, e con essa di nuovo quel cic ciac, cic ciac… “El me ga ciavà i schei, el prete el me ga ciavà i schei!”. Alcuni hanno portato delle lanterne, le alzano per illuminare la scena: intorno al campo che circonda la chiesa, intento a saltare come un invasato da un fosso all’altro, c’è Berto lo Scemo. Il volto deformato da una smorfia grottesca, ripete forsennatamente la sua scandalosa denuncia. Qualcuno invoca ancora don Terenzio, ma il buon padre non risponde, non può rispondere, perché è sicuramente già lontano dal paese, da qualche parte nell’oscurità fluida. “Venti ani passadi a taser, ma adesso no taso più!” urla Berto, fuori di sé, percorrendo su e giù il campo a salti. Le pie donne si fanno il segno della croce e gridano al miracolo, i volti atterriti, mentre Berto, con quella voce rimasta inedita dalla notte in cui è nato, lancia risa sfrenate ed impudenti al cielo senza stelle

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6 commenti »

  1. Mi piace molto il modo in cui questo racconto è strutturato. La verità degli altri affiora a tratti, come filtrata dal buio degli scenari notturni. Complimenti!

  2. Grazie Cinzia, l’intento era far emergere i fatti narrati attraverso le voci e le sonorità, I bisbigli del villaggio e del paesaggio circostante. Il testo era nato come un “gioco sensoriale” basato sull’udito e sulla possibilità di far affiorare un racconto come se il lettore potesse solo sentire, senza vedere nulla. Anche per questo è volutamente spesso ambientato in atmosfere notturne 😉

  3. Ciao Veronica. Il tuo racconto cala il lettore in un contesto molto ben caratterizzato e, al tempo stesso, in un’atmosfera straniante, in cui si viene sorpresi da un giro di eventi inaspettato e spiazzante. Anche questo mi è piaciuto molto!

  4. Giovanni Pezzino Rao grazie mille!

  5. BELLO, lo scrivo a grandi lettere perché mi piace proprio. Brava!

  6. Un racconto ben scritto con una storia che sembra scontata, ma non lo è per le atmosfere attese e inattese che crea!

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