Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2010 “E tra le mani..” di Simone Pietro Romei

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010

Era di splendida manifattura: d’argento gli intarsi e d’oro le finiture, in vago stile barocco.

Difficile stabilirne l’età: quale che fosse ormai non importava più. Lo vidi per la prima volta sulla bancarella di un mercatino delle pulci, anche se forse sarebbe più giusto affermare il contrario. Fu infatti quell’oggetto che mi invitò, mi carpì.. mi scelse. Mi ritrovai sul comodo sofà di casa mia a girare e rigirare per le mani quell’oggetto di cui fino a qualche minuto prima ignoravo addirittura l’esistenza. Aprivo gli occhi, li chiudevo e non riuscivo a capacitarmi di come potesse esistere qualcosa di simile.. violava ogni principio e norma a cui ero stata abituata e in cui sempre avevo creduto.

All’apparenza un normalissimo portacipria in ottone, certo molto ben curato , ma pur sempre un portacipria. Ma era all’interno che celava il suo segreto.. il mio segreto.

All’inizio non ci avevo nemmeno fatto caso, né prestato attenzione: l’immagine che il piccolo specchio circolare mi restituiva era la solita. Una faccia stanca, spossata e via via che passavano i giorni, con qualche ruga in più. Ma fu in un pomeriggio assolato che mi soffermai su quel piccolo particolare che non avevo mai notato. Una crepa, anzi .. un solco, che ne lambiva la superficie liscia e che rovinava quell’apparente perfezione. Era di pochi millimetri, e larga poco più di un graffio, nell’angolo superiore sinistro.. ovvio che non l’avevo notata mai fino ad allora.

Ma non avrei mai pensato che quel misero millimetro avrebbe drasticamente cambiato la mia vita.

Mentre con il pollice cercavo di pulire con cura quella zona, nel tentativo di eliminare l’imperfezione, sentii come una lieve puntura e vidi un piccolissimo rivolo rosso scendere lento da sotto il mio dito e spandersi sulla superficie cristallina del vetro. Portai il polpastrello all’altezza degli occhi e vidi un minuscolo taglietto che si era aperto nella mia carne.

“Il vetro è molto tagliente e bisogna sempre maneggiarlo con cura”.. mi diceva sempre la mia mamma quando ero piccola.

Corsi in bagno per disinfettare la ferita, aprii il mobiletto dei medicinali alla ricerca di un cerotto o qualcosa di simile.

Non lo trovai.

Chiusi lo sportellino e nello specchio di fronte guardai la mia immagine.

Non la trovai.

“Sarà la stanchezza, forse sto lavorando davvero troppo in questi ultimi tempi. Devo darmi una calmata o prima o poi morirò per il troppo lavoro”, mi dissi. Ma anche tutti gli altri specchi che si trovavano in casa non volevano restituirmi la mia immagine.

Tornai in salotto.

Aprii il portacipria.

Ed eccola lì, la mia immagine riflessa.. esattamente come prima. Il solco nello specchio era sparito, come se non vi fosse mai stato, e lo stesso valeva anche per il sangue che avevo visto scorrere sulla sua superficie. E la pelle liscia del mio polpastrello sembrava confermare il tutto.. nessun taglio.

Eppure qualcosa mancava.. si ma cosa..?

Dovevo essere molto stanca… era l’unica spiegazione.

Andai a letto ma non chiusi occhio. Non sentivo più la stanchezza, la fatica la tristezza, la noia.. non sentivo più niente.. niente di niente. Mi recai così al fiume che scorreva lento poco distante da casa per cercare di far scorrere il tempo che non sembrava passare più. Mi sedetti su una roccia sull’argine del fiume e immersi la mano nell’acqua.. Me la sentivo scorrere tra le dita, muoversi, farmi il solletico. Una piacevolissima sensazione.

Poi di colpo l’acqua cessò di scorrere, anche la brezza che poco prima soffiava era sparita, così come il canto degli uccelli. Un silenzio angosciante, agghiacciante. Si.. agghiacciante .. era questo il termine giusto.. perché tutto sembrava essersi bloccato, come se stretto in una morsa di ghiaccio. Tutto. Persino il tempo.. persino lo scorrere dei minuti. Fu allora che nel silenzio più totale sentii quei passi.. anzi.. li sentii nuovamente. Erano leggeri, soavi, cadenzati.

Un individuo avvolto in un gelido mantello bianco si avvicinava lentamente, reggendo con le due mani una clessidra nera. La sabbia non scorreva in essa. Era ferma, esattamente come tutto quello che ci circondava.

L’ultima cosa che vidi furono le labbra di quella figura.

Le ultime parole che sentii uscire da esse furono: “E’ giunta l’ora.”

L’ultimo gesto che vidi fu quello delle mani che lentamente ruotarono la clessidera…..

…era di splendida manifattura: d’argento gli intarsi e d’oro le finiture, in vago stile barocco.

Difficile stabilirne l’età: quale che fosse ormai non importava più. Lo vidi per la prima volta sulla bancarella di un mercatino delle pulci, anche se forse sarebbe più giusto affermare il contrario. Fu infatti quell’oggetto che mi invitò,mi carpì.. mi scelse….

Qualcuno dice che la morte non è nient’altro che un viaggio in un posto più bello.. ma se invece fosse semplicemente un rivivere sempre le stesse cose che si sono già vissute?

Non lo so.. e forse non mi importa neanche saperlo. In questo momento l’unica cosa che devo fare è alzarmi da questo divano e andare in bagno a disinfettare questa ferita…

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1 commento »

  1. Complimenti! La storia è davvero originale e piena di significati. In bocca al lupo!

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