Premio Racconti nella Rete 2020 “Il sorriso della Gioconda” di Diego Inghilleri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020La chiesa davanti alla quale ci fermammo, un pregevole esempio di architettura neogotica, si innalzava nel mezzo di una piazzetta coperta di neve nella notte artica. Così solenne, così nordica, la Tromsø Domkirke era l’unica cattedrale norvegese ad essere totalmente costruita in legno, “la più settentrionale tra le cattedrali protestanti”, mi spiegò Gerd che sembrava avere divorato la guida della città, concludendo: “E’ luterana, per la precisione”.
Sentii il suo sguardo su di me mentre mi avvicinavo a una finestra stretta e alta cercando di sbirciare all’interno un ambiente fiocamente illuminato da lampadari elettrici, a più braccia.
“Mi piace. E’ semplice e comunica calore e spiritualità”, mormorai attraverso la sciarpa ultimo baluardo ai 17 gradi sottozero e al vento. Gerd si avvicinò e mi prese la mano.
“Lo dici perché è il mio Paese?” chiese anche se tecnicamente la sua città natale, Bergen, si trovava 1800 chilometri più a sud e lei, come me, non era mai stata a Tromsø in precedenza.
“Lo dico perché qui tutto mi piace” confessai con sincerità, “la cattedrale cittadina, la notte alle..” guardai l’ora, “… due del pomeriggio, il freddo, il mare che si insinua nei fiordi lento e pesante come fosse mercurio, la neve che copre tutto, le vecchie case di legno, il cantiere, le imbarcazioni alla fonda, i ristoranti che servono il granchio reale, perfino la birra che mi hai offerto ieri sera alla Macks Ølbryggeri”.
“…a un bevitore di vino la birra della birreria più a nord del pianeta”, mormorò. “Sei strano, tu, ti piace dove stai. Non ti manca la tua bella Italia? L’ormai nostra bella Italia?”.
Mi voltai verso di lei provando a non scivolare sul ghiaccio:
“E come potrebbe? Ci sei tu che mi ricordi quanto ci sia di apprezzabile nel nostro Paese al punto da avermelo svelato giorno per giorno, la mia piccola studiosa d’arte”.
Poiché la cattedrale era chiusa al pubblico, proseguimmo lungo Skippergata per raggiungere il ponte di Bruvegen e fare foto se il vento ce lo avesse consentito. Al di sopra di un braccio di mare dall’aspetto glaciale, mi ritrovai a riconsiderare la domanda di Gerd: quando ero lontano, mi mancava il mio Paese?
Il fiordo sembrava un Canal Grande ipertrofico che inghiottiva grandi imbarcazioni e rifletteva le luci di una Venezia improbabile, dominato da un ponte di Rialto lungo un chilometro: e sì, mi mancava l’Italia, ma nei suoi aspetti più storici, artistici, iconografici, nella sua musica, nei suoi scritti senza tempo, nelle vicende dei piccoli grandi uomini che l’avevano costruita e sostenuta. Mi mancava quell’Italia che con le opere dei suoi figli rivaleggiava con la grandiosità della Natura espressa negli scenari mozzafiato, nei fenomeni di grazia e potenza più emozionanti e stupefacenti che potesse mettere in campo.
Sì, mi mancava perché ero sufficientemente lontano da poter ignorare le beghe e le meschinità che ne caratterizzavano l’odierna vita sociale, politica, economica. Quelle difficoltà che in certi giorni mi facevano desiderare di essere altrove e che noi Italiani non riusciamo più a non considerare endemiche e quindi incorreggibili; di fronte alle quali ci sentiamo impotenti e feriti nel nostro orgoglio dalle critiche che da altrove ci vengono portate (e da noi stessi!) e che tutto sommato sentiamo come giustificate, ma comunque dolorose.
Mi chiedevo come Gerd continuasse ancora, dopo decenni, a essere affascinata e innamorata del mio Paese vivendoci, alle prese con le banalità della vita quotidiana, i disservizi, le difficoltà, le incongruenze. Forse perché viverci aveva significato coglierne l’essenza attraverso le persone che incontrava, la gente minuta, piccola, dritta, come avrebbe detto Dante, osservando cosa fosse sotteso alla grandezza e cosa superasse la meschinità. Gerd come una moderna, romantica madame De Staël che si innamora dell’Italia attraverso gli Italiani.
Superammo semicongelati il Bruvegen dopo poche fotografie, inoltrandoci nella Tromsdalen mano nella mano senza meta e senza fretta. Presto ci ritrovammo davanti alla vetrina poco illuminata di un ristorante. All’interno, l’arredamento spartano appariva anonimo, ma la presenza di una riproduzione della Giocanda appesa alla parte di fronte alla vetrina e di un piccolo, consunto tricolore esposto vicino alla cassa resero inutile alzare gli occhi all’insegna.
Gerd proseguì per fotografare uno scorcio del fiordo attraverso le case ed io rimasi a studiare il volto di Monna Lisa come lo vedessi per la prima volta. Nel mentre, da una porta laterale fece il suo ingresso il ristoratore, camicia e grembiule bianco. Mi guardò, mi sorrise e per un gioco di riflessi il suo sorriso, il mio con il quale ricambiai il suo saluto e quello di Monna Lisa mi apparvero uno accanto all’altro, identici. Ebbi un’intuizione.
“So cosa significa il suo sorriso”, mormorai: afflizione, pacatezza, ma anche fierezza e determinazione. Fosse stato un filmato, alla notizia delle difficoltà della sua terra, Monna Lisa avrebbe sorriso ancora per una frazione di secondo (quale abilità quella di Leonardo di cogliere quell’attimo!), avrebbe sospirato raccogliendo le forze e, facendo leva sul bracciolo, si sarebbe alzata dal seggio voltandosi verso la campagna: “E’ tempo di agire”, avrebbe detto.
Si, mi mancava il mio Paese, ma ancor più mi mancava la considerazione che avrei voluto riguadagnasse.
E ora sapevo che si poteva ripartire dal sorriso della Gioconda.
Intenso romantico nostalgico e il finale bellissimo fa tornare il sorriso e nascere la speranza. Bravo complimenti
Condivido. Ho vissuto all’estero e spesso mi sono trovato a fare le stesse considerazioni tra me e me.
Bello! Ben scritto! E, da italiano sempre in viaggio all’estero per lavoro, sentimenti pienamente condivisibili!