Premio Racconti nella Rete 2010 “Il Conte” di Patrizia Perucon
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010
Da quando ho saputo di essere Conte la mia vita è cambiata, o meglio, è la percezione che ho di me che è cambiata. Cammino a testa alta, il mento leggermente sollevato, gli occhi socchiusi. Osservo senza farlo notare. Anche la mia statura sembra aumentata, la colonna vertebrale si è distesa e mi sento in ottima salute.
Mio nonno, quando ero piccolo, lo chiamavano il Conte. Mio padre era semplicemente l’Ingegnere. Io pensavo che essere Conti fosse cosa da vecchi barbogi. A mio padre i titoli non interessavano, diceva che erano stati aboliti punto e basta. Così morto il nonno non se ne parlò più. Ora che mio padre è vecchio e trascorre gran parte del suo tempo a mettere in ordine carte e foto stipate negli scatoloni in cantina, quella lettera con l’investitura, l’ Adelsbriefe, è saltata fuori. Appena l’ho presa in mano ho sentito come un brivido antico di secoli salirmi su per le braccia, un’ iniezione di sangue ricco di ossigeno, di sangue blu. E’ nobiltà recente, ha detto mio padre secco, il sangue non c’entra. Beh, recente neanche tanto, ho detto io, centosessant’anni fa, più o meno. Il nonno del nonno, per meriti di combattimento e per la fedeltà all’Imperatore, fu il primo Graf von Lepski und Wiesen. C’era la firma di Francesco Giuseppe. E dove si trova questo posto? Ho chiesto. Lepski sta in Slovenia e Wiesen vuol dire semplicemente prati, i prati stanno dappertutto, non vuole dire nulla, ha risposto mio padre secco secco. Nessuno della mia famiglia capisce più il tedesco. E forse anche il nonno del nonno parlava soltanto veneto, come tutti i veneti della campagna. Però era stato fedele. Tanto fedele da meritarsi l’investitura. Non mi pareva che fosse cosa di cui vergognarsi, anche se poi il Veneto era diventato Italia e le fedeltà erano cambiate.
Così ho pensato di farmi dei biglietti da visita con stampato accanto al mio nome di battesimo il mio cognome lungo Ferrari di Lepski. Ho anche quelli con scritto solo Ferrari ed estraggo dal portabiglietti gli uni o gli altri a seconda delle situazioni. Ma sei nobile? Mi chiedono le mie nuove conoscenze. Veramente sono Conte, rispondo con indifferenza, ma non è importante. E dentro di me sorrido.
Ora dunque io mi comporto da conte, ma senza apparire, perché il vero nobile non lo fa mai pesare.
Scusa Pa’, gli ho detto, ma rispetto a quelli che sono stati fatti Conti dall’ultimo Re d’Italia prima del crollo, saremo ben più nobili noi, o no? Almeno abbiamo cent’anni di storia in più. Vero, ha detto lui, stiamo un gradino più su.
Il fatto è che noi non abbiamo mai frequentato i nostri simili. Non ho ricordi di vacanze con altri bambini figli di conti, inviti in villa, balli, battute di caccia e cose del genere. Sono sempre stato in compagnia di persone normali, borghesi, spesso proletari di idee rivoluzionarie o anarchiche. Ho pensato che dovrei cominciare a vedere che mondo è. Mi sono iscritto a un corso di ballo: valzer, polka e mazurca, perché queste sono le danze che si confanno al mio tipo di nobiltà austroungarico. Inoltre curo parecchio la mia buona educazione. Non che i miei abbiano mancato, sotto questo punto di vista, tutt’altro. Mio padre ci ha sempre tenuto molto che tagliassi la bistecca col coltello a destra e che inforcassi i bocconi con la sinistra senza continuamente passare di mano la forchetta. E soprattutto non parlare con la bocca piena e non sporcarsi le labbra di sugo il che costringe a macchiare poi di rosso il tovagliolo, che magari ha i bordi di pizzo lavorato a mano.
Gli inglesi non usano il tovagliolo, mi diceva, ci hai fatto caso? Non si sporcano mai la bocca, loro. Se vai a pranzo da un vero inglese, non ti mette il tovagliolo in tavola. Io dopo molto esercizio, ora sono in grado di comportarmi da perfetto inglese. Ovvio che con i loro piselli, carotine e stufati tenersi puliti è semplice. Ma prova tu con le tagliatelle alla bolognese.
Comportarsi da Gentiluomo da grande soddisfazione. Le ragazze mi adorano. Posteggio, dico “aspetta” e velocissimamente faccio il giro dell’auto per aprire lo sportello alla mia dama. Le do la mano e l’aiuto a scendere. A volte eseguo pure un accenno di inchino. Ma mi viene naturale, non devo fare alcuno sforzo.
A questo proposito ho riflettuto che in realtà io non mi comporto educatamente in quanto nobile, ma sono e devo essere nobile in quanto bene educato. Lo esige la mia natura. Gli altri mi sono sempre apparsi un po’ rozzi, un po’ incompleti. Io sono diverso. Non so dire se a questo corrisponda anche una certa nobiltà d’animo. Dovrebbe.
Ma questo posto, Lepski, non è che per caso ci è rimasta una proprietà da quelle parti? Ho chiesto. Mah, boh, beh, ha risposto mio padre. Sull’atlante non c’è.
Ricordo di avere visto delle foto una volta, ha detto mia madre, o forse dei disegni. Ma non deve esserci più nulla. Con tutte queste guerre.
Nonostante la mia famiglia abbia lasciato la campagna ormai da alcune generazioni, io per DNA sono un contadino, tanto quanto sono nobile, per cui l’idea di ritrovare una tenuta abbandonata e gratis mi apre prospettive di un meraviglioso futuro Se ci fosse stato ancora qualcosa certo tuo nonno non se lo sarebbe lasciato scappare, ha detto mio padre. Di sicuro, se c’era, è stato confiscato, ha detto mia madre. Questa nebbia che avvolge il mio passato remoto mi infastidisce. Forse un mulino, un ovile abbandonato mi attendono tra i boschi della Slovenia.
La signora Grete Schau è un’ amica di mia madre, ma ritengo sia molto più giovane. E’ vedova e le sue figliole studiano a Vienna, per cui vive sola. La adoro perché quando mi vuole parlare mi dice “Senta, di Lepsky …” Potrebbe darmi del tu, ma preferisce mantenere questa distanza e la cosa mi entusiasma soprattutto quando siamo con i suoi amici, tutti attempati collezionisti d’arte e di antichi documenti. La signora Schau è un’esperta di arazzi e lei stessa fa dei meravigliosi ricami a punto croce, è così brava che il rovescio è bello tanto quanto il diritto. Vede, mi dice, la bravura della ricamatrice sta proprio in questo, bisogna sempre guardare com’ è dietro.” Io passo il palmo sopra il ricamo, lo giro e rigiro e mi lascio avvolgere dal tenue profumo di mandorla della signora Schau. La sua bisnonna frequentava la corte di Vienna e le ha lasciato un bauletto di ricami e imparaticci. Perché non li fai incorniciare e li metti in vendita? Chiedono i suoi amici. Lei sorride e mi strizza l’occhio, poi richiude il baule. Farli toccare dai mercanti mi parrebbe triste, non crede Lepsky? Indubbiamente, dico io, se si può evitarlo è meglio. Li lascerò alle mie figlie, vedranno loro. Già, provvederanno loro a venderli, fanno gli amici. Penso alla mia preziosa Adelsbriefe nascosta in cantina. Se non me ne fossi preso cura io, c’era il rischio che finisse su qualche bancarella.
Non capisco la trascuratezza di suo padre, dice Grete Schau, un titolo nobiliare non è cosa di cui dimenticarsi. Ma questo suo avo, cosa aveva fatto di preciso?
Mah, non c’è verso di saperlo.
Lei scuote il capo riccioluto color marron glacé. Non è che … c’è sotto qualcosa di strano?
Di strano? La guardo confuso e un po’ sospettoso. Non direi. A che sta pensando?
Oh, nulla di preciso. Fa lei evasiva.
Grete Schau è una pettegola, dice mia madre, chissà cosa faceva la sua bisnonna alla corte di Vienna.
Credevo foste amiche.
Certamente. Ma queste sue arie, queste pose da chi la sa lunga … E poi è un po’ fanée.
Fa …che?
Mia madre è gelosa perché Grete sembra assai più giovane di lei. I suoi velluti non sono lisi ed i cuscini profumano di mandorle e cannella. Vado da lei al pomeriggio e la osservo ricamare. Ha orecchini di perle e anelli d’oro bianco alle lunghe dita.
Mah …Dice guardando oltre le pareti. A quei tempi c’erano modi eleganti per sistemare le cose.
Annuisco senza capire perché la danza delle sue mani mi ipnotizza.
A volte mi viene da pensare … Chissà chi era il mio vero bisnonno? I suoi occhi si fissano nei miei senza esitazione.
Io avvampo ed anche le sue guance lievemente si arrossano.
Sta diritta come una nobildonna ottocentesca sostenuta dalle stecche di balena. E anch’io che mi ero rilassato sul morbido sofà, colto sul fatto mi raddrizzo e recupero la mia postura da conte.
Beh, fa lei che ha notato il mio imbarazzo, se le interessa, ho degli amici a Vienna. Qualcuno di loro potrebbe andare all’Archivio di Stato, di certo lì c’è tutto.
Non mi pare il caso di spendere del denaro in ricerche del genere, dice mio padre. E poi non credo ci sia nulla che ci riguardi all’Archivio di Stato.
Quella Grete è proprio un’impicciona, dice mia madre.
Il mio amico, il cavaliere Stolberg, ha accettato di andare all’Archivio, mi dice Grete mentre passeggiamo sul lungo fiume. Il suo defunto marito era un mercante d’arte. Non è strano che lei abbia mantenuto tanti amici sparsi per il mondo. Si toglie i guanti leggieri perché c’è aria di primavera e si guarda le mani bianche. Ai tempi di mia nonna si usava disegnare delle sottili venature azzurrine sulle mani, dice, con la matita blu. Era un segno di distinzione. Solo le contadine avevano le mani abbronzate. Io guardo le sue mani chiare e mi viene voglia di stringerne una, giusto per sentire se è calda o tiepida, ma credo che sia fredda. Lei ha delle bellissime mani, Grete, davvero, sembrano quasi di marmo.
Grete si rimette i guanti. Si stanno macchiando, dice, è l’età.
Vorrei dirle che non è vero e non è vero e anche se fosse vero a me non importerebbe.
Ci appoggiamo al parapetto a guardare l’acqua scura che si avvolge attorno alle rocce coperte di alghe. Caro Lepsky, ha mai pensato che tutti e due siamo nati in un altro secolo? Questo fa la differenza.
Forse è ancora presto per apprezzarla questa differenza.
Mi riferisco all’800 ovviamente, non al secolo passato. Siamo tutti e due ottocenteschi. Frau Grete sorride.
Ci vuol poco a capire che mia madre e Grete Schau non sono più amiche. Quella donna non ha una buona influenza su di te. Sei melanconico.
Invece io mi sento bene e allegro e quando sto con Grete vedo il mondo più bello. Perché lei, il brutto, semplicemente lo ignora.
Il cavaliere Stolberg è tornato da Vienna e mi vuole parlare in privato.
Senta Conte, all’Archivio non c’è nulla. Solo la copia della lettera già in suo possesso. Ha la stessa inflessione di Frau Grete e mi guarda bonario. Però …. Io ho, diciamo così, degli altri canali. E siccome la nostra comune amica ci teneva, mi sono permesso di approfondire.
E ha scoperto qualcosa?
Qualcosa …Sì. Qualcosa di interessante. Intanto il suo avo non era affatto un uomo d’arme. Era un borghese con terre e vigneti e produceva dell’ottimo prosecco. Tanto che l’Arciduca di … scendeva ogni anno in pianura nel periodo della vendemmia e si tratteneva a lungo in quelle campagne che a quel tempo erano bellissime, non c’erano certo tutte quelle fabbrichette e capannoni e villette dei geometri …. Beh, a farla breve, accadde che l’ Arciduca di … chiese al suo bisbisnonno col quale era evidentemente in gran confidenza, un grosso favore ed egli non esitò ad esaudirlo.
L’Arciduca di …? Il Principe di casa reale?
Proprio lui. Insomma, per riconoscenza, l’Arciduca gli ottenne dall’Imperatore l’ investitura.
Ma di che favore si trattava mai?
Beh, un piacevole favore a mio avviso. Ma a quei tempi, sa, l’onore era importante tanto quanto la vita. Stolberg esita. Onore? Sto parlando di onore? Non so cosa ne pensi lei. Forse dovrei usare un altro termine? Forse pregiudizio, forse ipocrisia? Il suo avo aiutò l’Arciduca a togliere le castagne dal fuoco. Acconsentì ad assumersi la paternità di un bimbo, il figlio di una certa signora e la sposò. Ecco, questo è tutto.
Siccome non sono sicuro di avere capito bene sto zitto e mi prendo tempo.
Come vede, continua il Cavaliere, la sua è una nobiltà ben meritata.
Ma, Cavaliere, ne è certo? C’è qualcosa di scritto?
Ne sono certamente certo. Ma di scritto no, non c’è nulla. Queste cose non si scrivono, è ovvio. Semplicemente si sanno . …In certi ambienti.
E il vero padre del bimbo? Non era mica …?
Il cavaliere Stolberg annuisce meditabondo. Possiamo ben pensarlo. Inoltre … Non so se il suo antenato abbia poi avuto altri figli, ma poiché era già piuttosto in là con gli anni, è lecito dubitarne. E quindi – gli vedo spuntare un sorrisetto sotto i baffi – oltre che ben meritata, la sua nobiltà potrebbe essere anche assai antica ….
Chissà per quale strana associazione di idee mentre guardo incantato il cavaliere Stolberg mi vengono in mente gli occhi color caramello di Frau Grete che probabilmente sono gli stessi occhi della sua bisnonna che faceva ricami ed arazzi ed altro ancora alla corte di Vienna.
Nobiltà d’animo o nobiltà per discendenza? Il protagonista non si accontenta solo della prima e si attrezza per acchiappare la combinata. Il racconto ci rimanda al vecchio mondo austro-ungarico, che ancora qualcuno rimpiange. Probabilmente l’aspirante conte, se avesse a disposizione una macchina del tempo, vi si recherebbe immediatamente. Che al presente si senta fuori contesto? Simpaticamente retrò.