Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2020 “La finestra delle scarpe” di Raffaele Sesti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Quando una sera mamma mi disse che per un po’ non sarei più dovuto andare a scuola, corsi in camera a saltare come un matto sul letto anche se so bene che è proprio quel genere di cose che fa subito appassire il sorriso della mamma. 

Non che in quei giorni la vedessi sorridere troppo. 

Lo faceva, ma non era il sorriso vero che le vedevo ogni mattina quando mi tirava giù dal letto per andare a scuola. Babbo una volta mi disse che quello della mamma era famoso perché da ragazza era stata eletta miss sorriso o qualcosa del genere e lui la prima volta che la vide, finì lungo e disteso per terra. 

Mi disse proprio così.

“Ranocchio”, babbo mi chiama sempre ranocchio, “la prima volta che tua mamma mi sorrise finii KO, lungo e disteso ai suoi piedi come se avessi preso un destro da Ali dritto sul mento.” 

Babbo è fissato con Muhammad Ali. Mi ha fatto vedere anche il film che hanno fatto su di lui con quel ragazzone che ballava intorno agli avversari e loro lì fermi a guardarlo come dei baccalà. Poi quando si stancava di ballare, gli mollava un cazzotto e tanti saluti. 

Un giorno mi piacerebbe diventare bravo a ballare come lui. 

Mi piacerebbe anche diventare bravo a sudare come fa Bruce Springsteen. Io so tutto su di lui perché papà oltre che con Ali, è fissato anche con Bruce e mi ha fatto vedere tutti i suoi concerti su internet e ha detto che appena torna in Italia mi porta a vederlo dal vivo che è tutta un’altra cosa.

Visto che mamma preferisce molto più che diventi bravo a sudare piuttosto che a ballare e dato che di ballare davanti ai miei genitori non mi andava tanto anche perché, per farlo bene come Ali, alla fine avrei dovuto mollargli un cazzotto, decisi di iniziare ad esercitarmi a sudare come Bruce. Non potevo correre come un matto per casa perché è un’altra cosa che fa appassire sempre il sorriso della mamma così mi venne in mente di farlo su e giù per le scale. 

Noi abitiamo al secondo piano di una palazzina ma arrivare solo al piano di sotto dove abita il nonno mi sembrava davvero troppo poco. Quindi decisi di arrivare fino alla cantina che è proprio dove finiscono le scale e dove torna indietro la mia voce quando mi diverto a urlare come un matto aggrappato alla ringhiera del pianerottolo di casa.

Al via della mamma, partii come un razzo e devo dire che a scendere ero un vero campione e filavo che era una meraviglia ma ogni volta che risalivo mi sentivo le gambe pese pese come se qualcuno si divertisse a mettermi un sacco di sassi nelle scarpe. Siccome il nonno se ne sta sempre chiuso in cantina a lavorare, quando mi vide arrivare lì pensò che fossi andato a trovarlo. Io ci vado spessissimo da lui perché mi diverte troppo guardare dalla finestra delle scarpe. Io e il nonno la chiamiamo così perché da lì si vedono solo le scarpe delle persone trotterellare sul marciapiede davanti alla nostra palazzina e non si vede proprio nient’altro. Non è come le altre finestre dove ci si mette in panciolle a guardar fuori. Quella assomiglia più ad una fessura e per arrivarci devo anche arrampicarmi su una sedia perché l’hanno fatta troppo in alto per me, quasi al soffitto. A volte io e il nonno rimaniamo fermi a non fare altro che guardare tutte quelle scarpe passarci davanti al naso e mi solletica moltissimo starmene lì senza che le persone si accorgano di noi.

Comunque il giorno del primo allenamento mi fermai quasi subito perché in fondo correre a perdifiato su e giù per le scale non è poi il massimo. 

“Già finito?” mi chiese il nonno.

“Ora riprendo, voglio solo guardare un po’ dalla finestra delle scarpe” risposi, ma sapevo già che non avrei ripreso proprio un bel niente.

“Oggi non c’è stato un gran movimento, però sono passate un paio di scarpe blu favolose.”

“Il blu non è più il mio colore preferito” gli dissi mentre mi arrampicavo sulla sedia. Anche arrampicarmi sulla sedia in cantina è un’altra cosa che fa incredibilmente appassire il sorriso di mamma. Ha sempre paura che cada e mi ritrovi con un chiodo arrugginito nella pancia.

“E perché? Ti piaceva tanto il blu” mi disse lasciando perdere quello che stava facendo.

Io non lo sapevo perché ma adesso con l’arancione ci andavo a nozze e così glielo dissi. Il nonno ci pensò su. 

“Che ne dici di un bel verde?”

“Gli piace già a Gianluca” risposi continuando a guardare fuori, “e poi è vietatissimo avere come colore preferito quello di un amico.”

“Un bel problema” fece lui, “comunque l’arancione è un gran colore!” Poi prese il metro e tornò a trafficare.

Lasciai perdere la finestra perché passavano proprio pochissime scarpe ma rimasi abbarbicato sulla sedia a fissare il nonno che lavorava. Quando andavo a trovarlo aveva sempre, ma proprio sempre, il metro in mano.

“Perché quando lavori tieni sempre il metro in mano?”

Lui finì con calma di prendere le ultime misure, segnò qualcosa su un fogliaccio che aveva vicino e poi disse:

“Perché con un metro e un po’ di questo” e si picchiettò la fronte con un dito, “si aggiustano tutte le cose.”

Ci pensai su un attimo. Volevo domandargli se potevo aggiustarci anche il sorriso della mamma quando lo facevo appassire, ma non lo feci e tornai a guardare fuori.

***

Per una storia o per un’altra, gli allenamenti finivano sempre in cantina dal nonno perché ogni volta mi fermavo da lui per tantissimo tempo e dopo mi passava la voglia di ricominciare. Ogni tanto lo aiutavo anche nelle sue faccende ma dopo un po’ mi stancavo anche di tutto quel lavoro e quindi mi prendevo una pausa per arrampicarmi sulla sedia e dare un’occhiata dalla finestra. Era diventato incredibilmente noioso guardare da lì perché in quei giorni pareva che tutte le scarpe del mondo si fossero stancate di uscire. Lo chiesi anche al nonno.

“Ma perché non si vedono più scarpe passare?” 

Lui iniziò a dirmi qualcosa ma poi fece due o tre starnuti belli tosti, si portò un fazzoletto al naso e disse:

“Avranno capito che… le spii… tutti i giorni!” e poi giù altri starnuti. Io mi tappavo le orecchie perché il nonno fa degli starnuti talmente forti che un sacco di volte qualcuno da sopra gli grida Saluteee

“Ho il naso otturato come il tubo di un lavandino e mi fa male anche la gola” disse poggiandosi al bancone per riprendere fiato.

“Sarà tutta la polvere che c’è qui dentro e comunque non penso sia per quello.”

“Per la polvere, dici?” 

“No, che non passano più scarpe perché le spio.”

“Ma scusa” disse lui dopo essersi soffiato il naso, “Tu esci per andare a scuola?”

“None” gli risposi.

“E allora perché gli altri dovrebbero uscire?”

“Per andare a lavoro, al supermercato… insomma, nei posti importanti.”

“E la scuola non è un posto importante?”

“E’ un posto incredibilmente noioso.”

“Ma importante” aggiunse con un po’ di affanno. Sembrava che parlare lo affaticasse tanto.

Gli risposi che dovevo pensarci su se era importante o no e dovevo pensarci su anche sulla faccenda delle persone che non escono di casa. Così sebbene fosse diventata una barba, tornai a guardare fuori e a pensare a tutte quelle cose.

***

Un paio di giorni dopo, a colazione, mamma mi disse che per qualche tempo non potevo più andare dal nonno.

“E perché?” Le chiesi.

“Ora ha tante cose da fare e non si sente neanche troppo bene.”

“Io glielo dico che in cantina c’è troppa polvere ma lui non vuole saperne di pulire, neppure se lo aiuto io.”

Lei cercò di dire qualcosa ma si voltò per guardare da un’altra parte.

Rimase così per un po’, senza dire niente e senza guardarmi, e notai che la mano che si era portata alla bocca le tremava leggermente. Io continuai a mangiare i cereali ma ormai ogni boccone mi andava di traverso perché avevo capito che voleva dirmi qualcosa ma non ci riusciva. Forse aveva saputo che la scuola sarebbe ricominciata presto e non trovava il coraggio di dirmelo né io di chiederglielo. Poi però, mi disse soltanto di finire la colazione senza dire proprio niente della scuola. 

Quella mattina non aveva nemmeno un briciolo di sorriso, neanche quello appassito che le vedevo da qualche settimana.

***

Non facevo altro che starmene chiuso in camera a rimuginare che era una sfortuna nera avere tutto quel tempo libero da scuola ma avere i genitori che non ti lasciano mettere il naso fuori casa o solo scendere in cantina dal nonno. Ogni tanto capitavano in camera mia, mi accarezzavano la testa senza dire granché e se il cellulare squillava, scappavano via chiudendosi bene la porta alle spalle che è un fatto incredibile visto che devo sempre urlargli dietro qualcosa per farla chiudere. 

Un giorno riuscii a sgattaiolare giù dalle scale senza che se ne accorgessero. Andai in cantina per vedere cosa combinava il nonno di così importante da non poterlo disturbare ma quando arrivai giù, tutto era buio e silenzioso. Pensai che il nonno volesse farmi uno scherzo così accesi la luce ma quando la stanza si illuminò vidi subito il metro sul bancone da lavoro che era uguale a dire che del nonno non c’era nemmeno l’ombra. 

Dato che c’ero pensai di salire sulla sedia e dare un’occhiata fuori dalla finestra delle scarpe ma senza di lui, mi passò subito la voglia. Tornai su che avevo le gambe ancora più pese di quando mi allenavo e sul pianerottolo del nonno non ce la feci a non suonare il campanello. Volevo sapere dove cavolo erano finiti tutti quanti e così suonai una volta, poi due e poi anche una terza volta, mollando anche un paio di cazzotti sulla porta come faceva Ali. 

Ma non venne nessuno ad aprirmi e nemmeno a dirmi di non buttare giù la porta a suon di cazzotti.

***

Io non sono il primo della classe, anche se potrei migliorare se la scuola non mi ammorbasse tanto, ma capii che c’era proprio qualcosa che non andava quando chiesi a babbo se voleva vedere un concerto di Bruce. Mi disse che non ne aveva voglia e questa sì, che era una cosa incredibile. Allora gli chiesi del nonno che poi sarebbe il suo babbo.

“Ascolta Leo” mi disse prendendomi in braccio e anche quando non mi chiama ranocchio capisco che in ballo c’è qualcosa di grosso, “il nonno adesso non…” ma non riuscì a finire la frase. Abbassò lo sguardo e iniziò a stringermi forte la mano che teneva nella sua poi mi abbracciò e lo sentii singhiozzare, in silenzio, proprio come faccio io quando sono in classe e cerco di tenere dentro tutti i singhiozzi. Volevo dirgli di provare a trattenere il respiro ma non lo feci perché avevo capito che quei singhiozzi erano molto diversi dai miei. 

“Babbo” gli sussurrai nell’orecchio, “aspettami qui.”

Non so se mi avesse sentito davvero, però scesi dalle sue gambe e corsi giù in cantina. Quella stanza ora mi faceva paura senza più il nonno a trafficare, così agguantai di volata quello che cercavo e filai di nuovo su dal babbo.

“Dove sei andato?” Mi domandò con gli occhi lucidi.

Volevo dirgli un sacco di cose ma riuscii solo a porgergli il metro del nonno perché mi sentivo gli occhi pronti a diventare cascate.

Lui se lo rigirò un po’ fra le mani, poi lo annusò come se gli avessi dato un fiorellino profumato.

“Diceva sempre che con un metro e un pò di cervello si potevano aggiustare tutte le cose, vero?” 

Risposi di sì e iniziai a piangere.

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12 commenti »

  1. Siamo stati tutti bambini e qui c’è lo ricordi in maniera toccante.

  2. Grazie Diego per il tempo che hai dedicato al mio racconto e per il tuo bel commento. L’ho apprezzato molto.
    Grazie ancora.

  3. Bellissimo racconto. Mi sono emozionata. Complimenti!

  4. Grazie Maria Luisa per il tempo che mi hai dedicato e per il bellissimo commento. Felice di averti fatto nascere un’emozione quando lo hai letto. Grazie ancora.

  5. Bellissimo racconto! Talmente descrittivo che lo scenario che il lettore si immagina sembra essere scolpito nella propria mente. Emozionante, delicato ma al tempo stesso crudo e crudele (come lo è la perdita di un nonno quando si è piccoli). Il racconto lascia gli occhi incollati alla lettura e la voglia di scoprire le parole successive. Il punto di vista del bambino eccezionale! Bravo! Complimenti!

  6. Racconto ben scritto e davvero toccante, la semplicità dei pensieri e la candida “ingenuità” del bambino rendono questo racconto ancora più intenso e struggente.

    Inoltre, all’inizio, ho sorriso di cuore al passaggio sul colore preferito, vietatissimo averlo uguale ad un amico… Mi ha fatto tornare in mente quando ero bambino, rievocando un ricordo quasi perduto: “qual è il tuo colore preferito?” “Il verde!” “Ma no il verde è mio! Copione!”

    Complimenti

  7. Mi piace la storia raccontata dal bambino. Una visione della pandemia diversa. O almeno l’ho interpretata così.

  8. Mi è piaciuta molto l’idea di raccontare la tragedia che stiamo vivendo attraverso l’ingenuità dello sguardo di un bambino. Molto delicata e toccante.

  9. Grazie Monia per il commento così bello ed emozionante.
    Davvero felice che ti sia piaciuto.
    Grazie ancora.

  10. Grazie Davide Desantis per il tuo tempo e per il commento. Volevo proprio che l’ingenuità del bambino facesse da contraltare al dolore della perdita di una figura importante come quella dei nonni.
    Grazie ancora.

  11. Grazie mille Davide Landi per il tempo che mi hai dedicato e sì, ho cercato di raccontare con gli occhi di un bambino i mesi terribili che abbiamo attraversato.
    Grazie ancora…

  12. Grazie Nilla Licciardo per il tempo che hai speso leggendo il mio racconto, sono felice che ti sia piaciuto e che tu abbia colto il senso della storia che vuole cercare di raccontare da gli occhi di un bambino i tristi mesi che abbiamo passato.
    Grazie ancora,

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