Premio Racconti nella Rete 2020 “L’ultimo dubbio di Seneca” di Luca Bertini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Lucio Anneo Seneca si svegliò prima del solito quella mattina. Aveva appena iniziato ad albeggiare e la nebbia, che per tutta la notte aveva nascosto alla vista ogni forma, avvolgendola come dentro ad un velo, stava cominciando a diradarsi, per lasciare spazio a quella che sembrava essere una luminosa giornata primaverile.
Il suo sonno era stato tranquillo, appena profondo e senza quei turbamenti che certe volte seguono il correre dei sogni, quando questi rispecchiano le nostre inquietudini.
Lentamente si alzò e, fatte le abluzioni mattutine, si recò in cucina per una rapida e frugale colazione.
Già dalla sera precedente aveva deciso che si sarebbe alzato molto presto. Durante tutta la giornata gli si era affacciato alla mente un pensiero, a cui non aveva avuto né tempo né modo di dare una risposta che lo soddisfacesse.
In una sacca si era fatto preparare dalla servitù il pasto della giornata, a base di pane, cacio e olive. Con questa messa a tracolla, e una fiasca per l’acqua alla cinta, si diresse verso la strada che portava all’oliveta e da lì a quella che chiamava la “collinetta”, che non era altro che un poggio, posto al limitare delle sue proprietà, da cui poteva avere la piena visuale del panorama circostante.
Spesso, da quando aveva acquistato quella tenuta, si era ritrovato a percorrere quel tragitto, per poi fermarsi in cima a quel poggio e riflettere. Non sapeva neppure lui ciò che lo attraesse in quel percorso, se fossero alcuni sprazzi di paesaggio, che gli richiamavano alla memoria quelli che in gioventù lo avevano visto crescere nella Baetica, o se invece fosse quell’apertura inaspettata, che si apriva dietro all’unica curva stretta, posta pressappoco a metà della salita, che gli ricordava come nulla sia come ci si aspetti e che le più belle sorprese, come le notizie più dolorose, possano arrivarti improvvise, poiché sono parte della vita dalla quale non vi è modo di avere certezze.
Si era ripromesso che avrebbe riflettuto su quel pensiero solo dopo aver raggiunto la sommità del poggio, in modo che fosse la tranquillità di quel luogo ad ispirarlo. Durante il tragitto aveva intenzione di godersi quegli spazi familiari, poiché quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che li percorreva.
Lasciò quindi la mente libera di vagare fra ciò che osservava ed i suoi pensieri, e questa in breve non fece che ritornare su quanto si approssimava a compiere.
Nell’ordine, che da pochi giorni gli era stato recapitato, l’imperatore avanzava una sola pretesa, che avrebbe dovuto esaudire quanto prima.
L’oggetto di quella richiesta era la sua vita.
Di alternative non ce n’erano: la fuga sarebbe stata solo un’illusione, adatta a chi guarda il mondo con gli occhi della speranza, ma non per chi come lui lo faceva con quelli della consapevolezza. Eppoi non aveva mai pensato ad una fuga, non perché non fosse adatta ad un uomo della sua età, è che lui sentiva proprio di non dover fuggire da alcunché, meno che mai dalla morte, che è solo il momento finale delle nostre vite, poiché anche se non facciamo altro che nascondercelo, ogni giorno perdiamo una parte della nostra esistenza, facendo un passo verso di lei.
Sulla morte aveva riflettuto spesso, ma una cosa è speculare su un qualsiasi argomento quando lo sentiamo lontano da noi, un’altra è guardare negli occhi ciò che la sorte ci sta prospettando, coscienti che fra pochi giorni dovremo affrontarla. Su di una cosa era certo, non ne aveva alcun timore, e ciò che gli dava questa convinzione non nasceva dalla sua filosofia, ma aveva prima preso forma nella sua esistenza.
Fin da piccolo aveva sofferto d’asma, costretto ad un’esistenza fatta di piccole attenzioni che i suoi coetanei ignoravano, e con il pensiero che ogni attacco avrebbe potuto essere l’ultimo. Ogni volta che gli spasmi si presentavano, e doveva lottare con un respiro che sembrava volergli sfuggire, fino ad esser trascinato nell’agonia di un soffocamento che lo lasciava a terra esausto, sentiva che la morte era quasi ad un passo. Con il tempo si era accorto che questa malattia lo aveva in qualche modo risarcito di tutti quei momenti di dolore, sfilandogli ogni timore nei confronti della morte, poiché anche nell’istante in cui l’avesse incontrata, sarebbe sempre stato oltre i suoi spasmi, in un luogo dove ogni suo dolore avrebbe avuto termine, ed in cui vi sarebbe stata solo quiete.
Riflettendo su tali argomenti raggiunse l’oliveta. Il suo sguardo cadde sui resti di un grande olivo, di quelli nei quali la circonferenza del fusto si avvicina ai cinque cubiti, che da poco era stato spiantato. Si ricordò che quella stessa pianta l’anno precedente era stata colpita da un fulmine, e che a seguito di quell’evento si era in breve seccata, fino a rendere necessaria la sua rimozione.
Quella pianta, che aveva fatto abbattere dalle scuri dei suoi servi, aveva avuto un destino simile a quello che lo stava attendendo. La sorte in entrambi i casi si era manifestata in modo repentino, senza lasciare spazio ad alcuna possibilità che non fosse il suo disvelarsi.
Era certo che quell’albero avesse avuto delle radici solide, ma non avevano potuto alcunché contro le forze della natura palesatesi in tutta la loro potenza e casualità, ed allo stesso modo lui non era stato in grado di poter fare niente per dimostrare la sua estraneità a quella congiura, poiché le delazioni erano state ritenute sufficienti per emettere le sentenze, ed a quel punto di chi ne avesse fatto effettivamente parte non interessava granché a nessuno, tanto meno all’imperatore che quelle sentenze le aveva emesse, ed attendeva solo che fossero eseguite. Così ogni verità sui nomi o sui ruoli dei congiurati, e sulle motivazioni che avevano spinto personaggi pubblici come Petronio Arbitro ad esporsi, sarebbe caduta nel dimenticatoio.
Si sedette sui resti di quell’olivo prima di affrontare la salita, e rimase per un momento ad occhi chiusi, fino a che un nuovo pensiero lo coinvolse. Da sempre si ricordava di essersi fermato per riposare prima di ogni piccolo sforzo, e che questa breve sosta lo caratterizzasse più dei segni che il passare del tempo avevano lasciato sul suo corpo. Era anch’esso un lascito dell’asma, che era rimasto nonostante ora potesse farne anche a meno.
Per lui era diventato come un rito che sembrava scandisse il passare del tempo, e ora, giunto quasi al termine della sua esistenza, quando il suo tempo stava per finire, lo accompagnava ancora, a chiudere l’ultimo cerchio.
Lentamente si rialzò, bevve dalla fiasca un po’ d’acqua, e riprese la strada.
La fatica della salita cominciò a farsi sentire, per cui lasciò andare ogni pensiero e rimase concentrato solo su quello sforzo, sul sentire il cuore aumentare i battiti e la muscolatura iniziare ad affaticarsi.
Infine, giunse in cima al poggio. Era stanco, ma di quella piacevole stanchezza fisica di cui volerne tenere il ricordo nella memoria.
Si guardò attorno, ed il suo sguardo corse subito a rivedere quel paesaggio per il quale era salito fin lassù. Così lo rivide in tutte le sue forme, dalle cime dei monti che si scorgevano da un lato fino ad uno spicchio di mare, che si rivelava nella sua azzurra lucentezza quasi al limite dell’orizzonte.
Si sedette su di una pietra abbastanza larga, rialzata rispetto al terreno, e comprese come quel paesaggio gli stesse già parlando. Tutte quelle forme che stava vedendo, così diverse fra loro, gli rivelano l’essenza di quella Felicità che occupava i suoi pensieri, e che niente c’entrava con la contentezza o l’allegria, che sono solo condizioni momentanee e che non sono destinate a durare. La Felicità è invece un punto d’arrivo raggiungibile solo attraverso la pienezza, poiché solo la conoscenza di sé stessi e del mondo che ci circonda ci permette di raggiungerla, ed è attraverso le gioie e i dolori, gli amori e le illusioni che abbiamo vissuto, che ci indirizziamo lungo la salita che ci conduce ad essa, poiché raggiungerla è anche l’essere in grado di percepire il valore di ogni cosa, e pensò che la persona che l’avesse sperimentata, avrebbe potuto percepire il mondo come una strada senza ostacoli.
Lui, l’aveva raggiunta la felicità?
Era questa la domanda a cui non riusciva ancora a rispondere, e che dal giorno precedente era tornata insistentemente a richiedergliene una.
Si alzò, ed iniziò a camminare lì attorno, come alla ricerca di un qualcosa di cui però non aveva presente né la forma né se esistesse, fino a che non decise di sedersi con la schiena appoggiata al fusto di un grosso albero di tasso, posto a poca distanza, quasi senza un particolare motivo.
Per acquietare quell’inquietudine decise di mangiare qualcosa, e quel poco di cibo, assieme alla stanchezza fisica ed al sole che iniziava a farsi sentire con forza, nella sua prorompente vitalità primaverile, lo portarono a rilassarsi fino a che quasi si addormentò.
Fu in quel breve spazio temporale, in cui durò quello stato di sonnolenza, che gli apparve un’immagine. Era quella del volto di un bambino, intento a giocare a nascondersi con qualcuno, pieno di quell’intensità che solo i bambini sanno mettere in ogni cosa che fanno. Seppe da subito che gli apparteneva, nonostante fosse così lontana nel tempo.
Quel bambino era suo figlio, nato quasi quarant’anni prima e morto dopo poche primavere, ed in quell’immagine sapeva che gli stava correndo incontro ad abbracciarlo e che stava ridendo, sì, che stava ridendo di gioia come lui.
Ed iniziò a sorridere, mentre una lacrima sembrò staccarglisi dall’occhio destro solcandogli lentamente la guancia. Lucio Anneo Seneca capì che aveva trovato la risposta che cercava, e continuò a sorridere, quasi nascosto all’ombra di quel tasso, mentre i raggi del sole avevano già raggiunto i suoi piedi.
Veramente molto bello sia la trama che il tuo modo di scrivere appassionante complimenti
Ti ringrazio Alessandra.
Bella l’idea, il susseguirsi di immagini e riflessioni, il finale; tutto narrato con il linguaggio dell’epoca. Il racconto è affascinante e ben riuscito.
Ti ringrazio. E’ un gioco di specchi, in cui ciò che lo circonda anticipa le sue riflessioni
Storia molto ben tratteggiata e riflessiva. Il linguaggio, volutamente ricercato, porta il lettore a perdersi nelle riflessioni del protagonista e nel panorama di quella collina.
Il risultato è un racconto molto ben riuscito e assolutamente gradevole.