Premio Racconti nella Rete 2020 “Le nuvole sopra di me” di Raoul Vandenbulcke
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Sono seduto davanti alla stanza del direttore mentre aspetto di entrare. La sua assistente mi aveva chiamato poco prima e, gentile come sempre, mi aveva chiesto di salire subito per un colloquio veloce: “Sarà solo per un paio di minuti”, aveva detto. Stringo con forza i braccioli, mentre lei si affaccia con discrezione nella stanza del direttore. Il sudore delle mani bagna il tessuto della poltroncina. Sento la pressione salire e il cuore battere sempre più forte. Si può aspettare per un tempo infinito ed essersi preparati mentalmente mille volte ma, quando arriva il momento, l’emozione si impossessa di te. Tutto quello che fai e che dici deve essere solo l’esecuzione di una sequenza automatica o rischi di bloccarti completamente.
Mi tornano improvvisamente in mente quelle estati calde passate in Toscana con gli amici, alla ricerca di avventure nei boschi. Quelle vacanze sembravano infinite, il tempo era dilatato, si potevano ammazzare intere giornate a non far niente.
“Solo due minuti che il direttore termina una chiamata al cellulare”, dice sorridendo l’assistente.
Risento i miei amici ridere e scherzare, per poi un attimo dopo tornare seri e parlare della vita e della morte. “Secondo me, tu Franco, non hai le palle di farlo, ci scommetto una birra!” mi dice Sandro. Riccardo ribatte: “Ehi ragazzi, ricordatevelo, io in questo bosco mi ci voglio far seppellire!”
Noi tre insieme ci sentivamo così invincibili, liberi. Ogni giorno potevamo decidere cosa fare, dove andare: a stanare le marmotte con i bastoni o a caccia con quel fucile che Sandro “prelevava” dall’armadio del nonno a sua insaputa.
Il direttore si affaccia sorridente e mi fa segno di entrare. Ci siamo, penso.
Ci fermiamo in una radura. Sdraiati sul prato guardiamo le nuvole passare veloci sopra di noi. Si scompongono e ricompongono in mille forme diverse, così come nelle nostre menti si materializzano e si disfano le fantasie più incredibili sul nostro futuro. “Notaio o avvocato perché guadagnano un sacco di soldi, quanti ne vogliono”, dice Sandro. “No, io non posso vivere tra le scartoffie, devo avere una missione nella vita. Io farò il medico, anzi il chirurgo, voglio salvare la vita alla gente. E tu Franco, che farai, il prete?” risponde Riccardo e poi ridiamo tutti insieme.
Ora non è più così. Anno dopo anno fai le tue scelte, scarti delle alternative, fino a renderti conto che sei finito in un vicolo cieco. Che quello che hai ottenuto non è quello che desideravi e che non puoi più tornare indietro.
Il direttore mi fa accomodare. Io resto con il cappotto addosso e la borsa sulle gambe, tanto è solo per due minuti. Lui, dopo i soliti convenevoli, cerca un documento nel computer e lo stampa.
La brezza inizia a salire dal mare, è venuto il momento di rimetterci in cammino.
“Vedi Franco, ci davamo del tu, è vero?”. Rispondo facendo cenno di si con la testa.
“Ti abbiamo pensato molto in queste settimane. Abbiamo letto con grande interesse la tua scheda personale. Sei con noi da quasi vent’anni, come un matrimonio eh?”
“Franco dai, rimettiamoci in movimento e facci vedere di cosa sei capace!” incalza Riccardo. Mi prendevano sempre in giro perché cercavo mille scuse per evitare di sparare agli animali. C’è qualcosa in quel gesto così crudele, che mi sembrava andasse contro tutto quello che mi era stato insegnato.
“Vedi Franco, ci sono dei momenti di svolta nella carriera di una persona nei quali un cambiamento, che può apparire nell’immediato negativo, si rivela invece alla lunga positivo.”
Sandro mi guarda negli occhi e con un mezzo sorriso mi passa il fucile, mentre imbocchiamo il sentiero di monte, dove secondo lui si nascondono le lepri.
“Stiamo attraversando un momento difficile e tu sei sempre stato fedele all’azienda. Abbiamo pensato quindi di lasciarti andare, in modo che tu non debba attraversare questa fase di difficoltà. Ti possiamo offrire l’opportunità di accettare un generoso pacchetto. Ti assicuro che ho insistito personalmente perché fosse il più generoso possibile.” “Mi scusi direttore, non capisco. Lasciarmi andare? E dove? E cosa vuol dire offrirmi l’opportunità di accettare?” ribatto io.
Gli amici mi hanno lasciato andare avanti, è il mio momento, loro mi seguono due passi indietro. Mi sento spinto dalla brezza che sale dal mare, anche le foglie degli alberi mi incitano a proseguire.
“Beh Franco, io non voglio girarci troppo intorno. Tu devi firmare questa lettera di dimissioni e i soldi saranno tuoi”, dice allungandomi il documento.
Per farmi forza cerco di immaginarmi di ritorno a casa trionfante, con la lepre in mano, mio padre che esulta e mia madre inorridita che dice “portala via ti prego, pulitela voi, io non lo farò di sicuro”. D’improvviso sentiamo un rumore dietro un cespuglio e Sandro sussurra: “Avanti a destra, Franco, dai, non fare l’idiota!”
Lentamente apro la valigetta sulle ginocchia – sono fermo nel mezzo del sentiero, mentre sollevo il fucile cercando con lo sguardo la mia preda. Finalmente la vedo, la lepre è lì, intenta a frugare, ignara di quello che sta per succedere.
“Ti vedo perplesso! Guarda che se sei venuto qui con l’idea di negoziare, ti sbagli di grosso”, dice il direttore innervosito dal mio silenzio, mentre le mie dita avanzano lentamente all’interno della valigetta.
La lepre è lì a pochi passi da me, fruga con le sue zampette nella moquette verde dell’ufficio del direttore, mentre lui mi guarda sempre più stizzito.
La mia mano nella valigetta sente il freddo del metallo.
Stringo il fucile e lo punto sulla lepre. Lei intuisce qualcosa, si ferma, solleva la testa e ruota le orecchie come fossero radar. Vedo le sue narici gonfiarsi a intermittenza mentre annusano l’aria. Ho il vento alle spalle, ho poco tempo per agire, penso. I miei amici dietro di me sussurrano: “Dai, fai l’uomo, per una volta!”
Premo il grilletto, vedo la pallottola uscire dalla canna, in un attimo colpisce la preda, la lepre saltando in aria, imbratta di sangue la parete dell’ufficio per poi ricadere a terra, come se fosse senza peso. Non avrei mai creduto, ma ora mi sento sollevato, felice, orgoglioso di averlo fatto, mi sento più forte! Sento gli amici gridare di gioia: “Bravo Franco, finalmente ce l’hai fatta!”
Il direttore è ancora lì con le mani sui braccioli della sedia, come in un ultimo disperato gesto di fuga. Dalle ampie finestre dell’ufficio vedo le nuvole correre veloci sopra di me. La pistola mi scivola via dalla mano e cade sulla moquette verde, mentre la mia voce riecheggia nella stanza: “Non si preoccupi direttore, non sono venuto qui per negoziare.”
Complimenti, grazie al tuo modo di raccontare, mi hai fatto vivere ed immedesimare nella tua storia. Ho aperto la valigetta insieme a te.
Grazie Maria Giovanna mi fa piacere di essere riuscito a trasferirti le sensazioni del protagonista.
Il racconto desta subito attenzione e la curiosità rimane fino alla fine. I due piani narrativi intrecciati sono molto efficaci e rendono molto avvincente la lettura. Complimenti Raoul!
Grazie Federica!
L’alternarsi di azione presente e ricordi scandisce il tempo fino alla decisione finale, in un crescendo che giunge alla fusione dei due piani e allo sparo. Molto ben congegnato.