Premio Racconti nella Rete 2010 “Venerdì 13” di Barbara Boccacci Mariani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010I capelli erano biondi e lisci, gli occhi verdi e ben distanziati, le fattezze del viso regolari, le labbra rosse e carnose, la pelle bianca e liscia non mostrava imperfezioni, le curve del corpo sinuose. Il vestito di seta verde le cadeva addosso a pennello tanto da sembrare dipinto sulla pelle. Il portamento eretto dimostrava sicurezza. Peccato per lo sguardo, era freddo e impenetrabile, senza vita. La bionda, in quel momento, era osservata. Ad osservare il manichino che posava immobile al di là della vetrina era lo sguardo ammirato della ragazza sciatta, cicciottella e con i capelli arruffati che ogni giorno andava a fissarlo per interi quarti d’ora. Le piacevano i vestiti che la commessa del negozio sistemava e cambiava regolarmente addosso a Petra. Ma quel vestito di seta verde era il più bello in assoluto che avesse mai visto.
Anja credeva di non essere bella e nemmeno magra. Le sue nutrite forme non erano certo dovute ai suoi abbondanti pasti che, anzi, erano molto miseri; sapeva di soffrire di una qualche disfunzione ma i soldi per pagarsi i dottori, bravi o meno che fossero, non li aveva. Non aveva nemmeno un lavoro e abitava in uno squallido monolocale interrato senza riscaldamento.
Quel venerdì 13 nonostante piovesse ininterrottamente da diciotto ore andò ugualmente a trovare quella che ormai reputava la sua amica-manichino e che aveva, affettuosamente, battezzato “Petra” perché il nome le ricordava la pietra, un oggetto duro e immobile come il manichino altrettanto era. Prima di uscire di casa il giovedì, aveva acceso come era consueta fare ogni mattina appena sveglia, la vecchia radio; dalla gracchiante stazione, quel giorno, uscivano le voci dei due dj che ammonivano i fedeli ascoltatori a prendere precauzioni per far fronte alle 24 ore di jella che stavano per arrivare, il giorno dopo sarebbe stato infatti un funesto “venerdì 13”. Ma Anja non se ne preoccupò più di tanto, d’altronde cosa poteva succedere di ancora più sfortunato nella sua triste vita? Così il mattino seguente uscì di casa dimentica del superfluo avvertimento.
Non fece nemmeno caso al fatto che proprio quella mattina facendo colazione si era prima scottata e poi morsa la lingua, si era rovesciata addosso l’intera tazza di latte e orzo e infine l’unghia del dito indice della mano sinistra le era diventata nera per essersela chiusa dentro il cassetto, il quale, tiratolo con troppa veemenza per liberare il dito dolorante, le era finito su un piede.
Anja era assorta nei suoi sogni nei quali si vedeva bella, magra con indosso il vestito di seta verde di Petra e corteggiata da un uomo bello e distinto. I sogni erano sempre gli stessi, cambiava solo lo scenario: a passeggio in un parco mano nella mano, in un supermercato a fare la spesa per la loro casa, in gita con degli amici….. i gioielli, le pellicce e i troppi soldi non le interessavano, avrebbe voluto avere, semplicemente, una vita normale.
Si accorse vagamente del rombo di motore proveniente alle sue spalle; fu invece una parola gridata con tono di urgenza a distoglierla dagli occhi di Petra ma oramai era troppo tardi, una macchina la investì in pieno. Sentì un rumore di vetri infranti seguito da un vorticoso giramento di testa, avvertì la pioggia picchiettarle sul viso, poi scivolò nel buio.
Uscì dal palazzo tirandosi dietro il pesante portone di legno massiccio. Corse verso la macchina, una berlina grigia parcheggiata poco distante, riparandosi dalla pioggia con il giornale che si faceva recapitare a casa ogni mattina. Imprecò quando mise il piede in una pozzanghera e l’acqua oltre a bagnarli l’orlo dei pantaloni, si insinuò dentro le costose scarpe di pelle. Entrato in auto gettò sul sedile posteriore il giornale ormai fradicio e appoggiò la 24 ore, regalatale da sua madre in occasione del suo ultimo compleanno, sul sedile del passeggero; per fortuna la valigetta non era stata danneggiata dalla pioggia.
Scapolo e con una ottima posizione, l’avvocato Filippo Fiorentini non si era mai sposato, aveva dedicato tutto il suo tempo al lavoro e l’impegno, dettato anche da una inconsueta bravura, che metteva negli innumerevoli processi che gli affidavano lo aveva reso un avvocato di spicco.
Ma ora che lo studio era avviato e lui si era guadagnato una certa fama e notorietà, la mancanza di una relazione stabile con una donna cominciava a farsi sentire; ma dove avrebbe potuto conoscere una donna che facesse al caso suo? Non era tipo da andare alle feste organizzate dei colleghi e in verità fuggiva all’idea di prendere in moglie una donna che appartenesse al suo giro. Le sarebbe piaciuto condividere la sua elegante casa con una donna semplice, che non avesse tanti grilli per la testa e che non lo sposava per i soldi e tutto quello che ne derivava.
Mise in moto, azionò i tergicristalli e partì alla volta del Tribunale dove aveva appuntamento con il Giudice Mastrandrea, peraltro, suo amico dai tempi del liceo. Scese verso la piazza, svoltò a sinistra andò dritto e invece di dirigersi a destra come di consueto quando era diretto al suo studio, mise la freccia e rallentò, o per lo meno ci provò, per svoltare a sinistra. Il piede affondò sul freno senza ottenere risposta, mancò la svolta e continuò la corsa sull’asfalto reso viscido dalla pioggia verso la piazzetta in fondo alla strada. Vide una corpulenta forma venirgli incontro, cercò di evitarla sterzando bruscamente ma la abbattè ugualmente come fosse un birillo. Sentì un tonfo sordo a cui ne seguì uno più squillante di vetri in frantumi. Quando riaprì gli occhi e sciolse le braccia dalla stretta che istintivamente si era dato per proteggersi la testa ed il volto, si ritrovò infilato con la macchina in una vetrina; dal parabrezza rotto sbucava verso l’interno del veicolo una donna mora con i capelli arruffati che lo guardava con occhi spalancati e vitrei, in un primo momento si prese un bello spavento ma poi si rese subito conto che, fortunatamente, era solo un manichino accanto al quale, oltre il cofano, ce ne era un secondo con una parrucca bionda scivolata di traverso, rimasto incolume. La ragazza in carne ed ossa, invece, la scoprì scendendo dalla macchina e lo spavento, a quel punto, si tramutò in puro terrore.
Una luce soffusa filtrava attraverso le palpebre, cercò di aprire gli occhi sentendo delle voci poco distanti; sentiva la testa come fosse piena di ovatta e un dolore martellante sulla tempia sinistra. Realizzò di essere distesa e coperta ma il tepore che avvertiva non era dovuto solo alle coperte, proveniva sicuramente da una stanza ben riscaldata, ma allora, dove si trovava? Non di certo a casa propria. Cosa le era successo? Sentiva anche un odore di … cosa? Fiori? Sì, dovevano essere delle rose ad emanare quel profumo. Si sforzò di schiudere gli occhi almeno quel tanto da permetterle di vedere dove si trovasse. Vide solo un muro bianco. Tentò allora di voltare il capo verso destra, un riquadro nero punteggiato di gocce d’acqua si rivelò essere una finestra dalla quale si intravedeva un fazzoletto di cielo scuro per l’ ora tarda, pioveva ancora. Faticosamente si voltò dal lato opposto. All’altezza della testa vide un comodino con appoggiati sopra un bicchiere ed una bottiglia di acqua. La porta era socchiusa e dallo spiraglio vedeva un viavai di persone, molte delle quali vestite di bianco. In quel momento l’uscio si aprì ed entrò una donna anch’essa vestita di bianco, i capelli raccolti sotto una cuffietta.
“Ohh! Finalmente sei tornata tra noi! Buonasera Anja!”.
Lucilla, l’infermiera che l’aveva soccorsa quando era arrivata in ospedale si era presa particolarmente cura di lei. Le aveva pulito il viso ed il corpo con una spugna bagnata poichè era evidente che la sua pelle non vedeva molto spesso l’acqua e tantomeno il sapone. Sotto lo strato di sporcizia, Anja, si era rivelata una vera e inaspettata bellezza.
Anja apprese di essere stata in coma per ventidue giorni trascorsi i quali, dopo essersi svegliata per pochi secondi, erano stati i medici a procurarle un coma farmacologico.
Durante il sonno indotto la giovane paziente aveva parlato e Lucilla era venuta a conoscenza di particolari che facevano parte della sfortunata vita di quella povera ragazza.
Nell’incidente occorsole davanti al negozio di Petra, Anja era, però, stata fortunata; poteva andarle molto peggio del breve coma in cui era caduta e, per il resto, aveva riportato solo qualche lussazione, diverse escoriazioni e una frattura al polso destro. I medici avevano deciso, così, di tenerla sedata per qualche giorno in più per farle più accertamenti diagnostici possibili in quanto era chiaro che la sua salute era stata molto trascurata.
Lucilla le si era affezionata e all’ora dei pasti, di nascosto, metteva nel suo vassoio la pasta meno scotta e più condita, la carne più tenera, la frutta meno rovinata, e qualche volta le portava qualcosa di più appetitoso cucinato a casa, compresa qualche fetta di dolce. Le aveva lavato e sistemato i capelli che sapeva come trattare in quanto, da adolescente, poco prima di intraprendere la professione di infermiera, aveva lavorato e imparato il mestiere di parrucchiera nel negozio della zia.
Con il trascorrere dei giorni le due donne diventarono amiche, cosa che riempiva di immensa felicità Anja, che non riusciva a credere di avere finalmente una vera amica in carne ed ossa. Aveva suscitato in Lucilla ilarità e tenerezza raccontandole di Petra e dei suoi meravigliosi vestiti. Le aveva raccontato della sua miseria, della sua tristezza e dei suoi sogni.
Dal canto suo, Lucilla, l’aveva messa al corrente del suo matrimonio finito male, del suo sconforto nell’essere rimasta sola, ma le aveva anche assicurato che con la volontà si poteva rinascere e ricominciare a vivere. Lei, Lucilla, aveva tirato fuori tutta la sua voglia di esistere, di fare, di donare, di condividere e con somma gioia e amore si era tuffata nel suo lavoro ricevendo in cambio tanta stima e soddisfazione.
Quando ritenne che era giunto il momento di potergliene parlare, Lucilla raccontò ad Anja del bell’avvocato che aveva causato l’incidente, di quanto ne fosse rimasto sconvolto e dispiaciuto, delle ore passate dietro il vetro ad osservarla quando era ancora in coma, delle quantità spropositate di fiori che ogni giorno mandava e che lei, a sua volta, portava in buona parte nella cappella dell’ospedale e offriva in dono ai vari santi; le raccontò di quante volte al giorno l’avvocato avesse telefonato per avere notizie e informazioni sul suo conto.
Le tenne, però, nascosto che aveva rivelato all’avvocato tutto ciò che aveva appreso sulla sua vita personale compresa la storia di Petra.
Filippo, da parte sua, era rimasto colpito da quella fragile ragazza che giorno dopo giorno sembrava aggiungere un delicato e vellutato petalo alla sua bellezza fino a completare una splendida rosa.
Passò quasi un mese ed una mattina, andando in bagno e riflettendosi nello specchio, Anja si scoprì una persona diversa. Quasi non si riconobbe vedendo i capelli, i suoi capelli, lucidi e setosi; la pelle luminosa; i chili di troppo erano spariti lasciando il posto a forme sensuali e quasi perfette.
Il giorno in cui venne dimessa dall’ospedale, Lucilla consegnò ad Anja una scatola di pillole con un fogliettino e le disse: “Queste sono le pillole che dovrai assumere per altri 6 mesi a completamento della cura, ricordati che le devi prendere il martedì e il venerdì”; Anja sbirciò il promemoria e vide che le prossime pillole le doveva prendere il venerdì successivo ….. di nuovo un venerdì 13. “Bene”, pensò, “vorrà dire che venerdì non mi muoverò da casa e trascorrerò tutto il giorno a letto … !!”. Salutò e ringraziò i medici ed il personale infermieristico. Lucilla la accompagnò fino al cancello esterno e dopo essersi salutate e abbracciate si promisero di rivedersi presto. Anja si incamminò lentamente verso casa quando, all’improvviso, il suo pensiero volò a Petra, era tanto che non vedeva la sua amica di plastica con indosso il bel vestito; d’impulso girò su se stessa e si diresse al negozio.
Petra la guardò con il suo solito sguardo fisso. Indossava un cappotto di cachemire color caramello. Del bel vestito di seta verde che tanto aveva ammaliato Anja nessuna traccia. Chissà, forse la commessa era riuscita a venderlo nonostante il prezzo molto alto. Anja era delusa, il vestito era stato venduto a qualche fortunata ragazza e lei non lo avrebbe più rivisto.
Quando arrivò a casa trovò un pacco appoggiato alla sua porta. In un primo momento pensò che lo avesse lasciato lì un inquilino del palazzo che era andato a parcheggiare la macchina e lo aveva depositato in quel punto semi nascosto per recuperarlo poco dopo. Mentre allungava la mano per infilare la chiave nella toppa notò però che sotto la grossa coccarda, tenuta ferma da un largo nastro di seta blu, spuntava una busta su cui c’era scritto con elegante grafia:
Per Anja Mitroswich
Trascinò il pacco dentro casa, si mise in ginocchio e sciolse il nastro che lo chiudeva, tirò via il coperchio e alzò i due fogli di carta velina. Adagiato sul fondo, perfettamente piegato, c’era il vestito di seta verde che, almeno fino al giorno dell’incidente, indossava Petra. Il fiato le si mozzò in gola. Gli occhi fissarono attoniti il vestito, poi le mani scattorono in cerca del biglietto, lo aprì freneticamente e con dita tremanti sfilò il cartoncino color crema sul quale, con altrettanta elegante calligrafia vi era scritto un breve messaggio:
Per farmi perdonare il capriccioso guasto della mia automobile.
Posso offrirle l’occasione di indossarlo venerdì 13 … a cena?
In calce era riportata semplicemente la firma, Filippo, e un numero di telefono. Anja ripensò alla descrizione che Lucilla le aveva fatto dell’avvocato: giovane, affascinante, distinto e …. scapolo!!
“Beh!” pensò Anja “Forse non porta poi così sfortuna … venerdì 13!”.
Cenerentola del terzo millennio, potrebbe essere il sottotitolo di questo racconto. La storia racchiude anche l’invito a non fidarsi della mistica dei numeri più o meno propizi, poiché la fortuna sceglie altre strade che niente hanno da spartire con giorni identificati come più o meno fausti, ma con fatti oggettivi. La protagonista costretta dal coma, curata a dovere, adeguatamente dimagrita, ha avuto la possibilità di essere notata dal suo principe azzurro. All’insegna della speranza. La botta di cambiamento è possibile per tutti.