Premio Racconti nella Rete 2020 “La violenza sulle donne” di Sabina Rizzo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020Era riversa a terra, il viso tumefatto, gli occhi colmi di lacrime, non aveva la forza di reagire, era stata delusa da quella relazione, da quella vita in cui aavavaveva sempre creduto. Si era gettata in quella storia piena di fiducia e di speranza nel futuro e adesso non aveva neanche la forza di reagire alle continue e irrefrenabili vessazione di cui era stata spesso oggetto. Amava suo marito come sempre, quelle continue molestie non le davano pace, abituata come era a sopportare e a tacere, ormai dopo anni, pensava di sapere come riuscire ad evitare ulteriori vessazioni, cercava di prendere la parte migliore di quel rapporto, le restava solo questo, aveva imparato a convivere con quella frustrazione ma non a gestire i suoi sentimenti, i maltrattamenti erano una routine, poi alla fine della serata andavano scemando e dopo un po’ la situazione ritornava alla normalità e si riprendeva la solita vita di sempre, bastava solo non dar peso a quei lunghi e brutti momenti che attraversavano quelle cupe giornate. Inutile cercare di capire il motivo di quei comportamenti e i gesti che accompagnavano quelle terribili azioni, non vi era un motivo particolare, erano azioni senza senso, dettate dall’umore del momento.
Ma l’amore riusciva a far svanire quella malinconia che le celava il viso, ma angosciava la sua anima ogni giorno sempre di più, perché non riusciva a trovare un senso a questo comportamento inspiegabile, nessuna soluzione. Il cuore le batteva forte ogni volta che lui entrava da quella porta, i sentimenti provati erano rimasti sempre quelli di una volta, poi tutto ad un tratto senza una determinata ragione, il suo umore diventava instabile, cambiava comportamento e cominciava ad alzare la voce, ogni pretesto era buono per izzare una discussione dalla quale inevitabilmente l’unica che ne rimaneva ferita era lei, scottata sempre di più da temperamento irruente, che le rendeva quella vita dura e piena di conflitti. Ogni volta cercava di capire quale fosse la sua colpa o il motivo scatenante la discussione, cercava di ragionare su quello che succedeva all’interno del loro rapporto, analizzava quei momenti e cercava di capire in che modo avrebbe dovuto comportarsi, o cosa avrebbe dovuto dire per difendersi da quelle continue aggressioni verbali, ma ogni pretesto, ogni situazione la riportava ad un circolo vizioso dal quale difficilmente riusciva a tirarsi indietro. Intanto il dolore provato, la smagriva sempre di più, rendendola debole, mentre il suo esile corpicino diventava magro, dilaniata dall’ansia che non riusciva a domare. Avrebbe fatto qualsiasi cosa perché questa situazione finisse, qualunque gesto che cambiasse definitivamente la situazione per potere finalmente vivere serenamente senza ansia e senza paura. Non capiva quale era il problema, forse era proprio lei la causa di tutti i suoi mali, se solo fosse riuscita a farlo ragionare, se lui avesse capito l’importanza di un rapporto stabile e sicuro forse quelle incertezze, quelle assurde gelosie si sarebbero allontanate per sempre dalla sua vita. Avrebbe potuto ricominciare nuovamente, fingere che in quegli anni nulla fosse successo, la sua vita sarebbe migliorata. Sarebbe diventata sicuramente una persona più schietta e più matura, pienamente consapevole di quella sicurezza raggiunta grazie alla sua capacità di sopportazione. Il peso di quelle parole risuonava come un martello nella sua testa, mentre lentamente si andava spegnendo quella fiamma che ardeva nella sua anima e che le faceva apprezzare la bellezza della vita. Lentamente speranze sopite si diradavano lasciando il posto a momenti bui e tenebrosi. Forse era solo lei l’ostacolo che si sovrapponeva alla loro felicità, forse uno schiaffo sarebbe stato meno duro di quell’odio verbale che risuonava come un eco nella mente, rendendolo indelebile. “ All’inizio piangevo in un angolo della stanza, cercando di non far capire nulla, nascondevo il mio viso scavato dalla sofferenza per non fare capire il mio stato d’animo, non volevo essere compianta per la mia sofferenza, né tantomeno derisa, non potevo permettermi di diventare la vittima innocente di un comportamento deviante. Essere l’oggetto inanime di tale barbarie non mi stava affatto bene.
Dovevo reagire e prendere in mano la situazione altrimenti ne sarei stata sopraffatta. Cercavo di rispondere con garbo a quelle violenze verbali che non avevano niente di normale, cercando di far ragionare i suoi pensieri malevoli, con molta difficoltà riuscivo a dialogare con lui, così proteso ad aggredire le mie parole, mentre io ero sofferente per la paura. Temevo che prima o poi tutte quelle intimidazioni manifestate si sarebbero trasformate in intenzioni, in atti concreti. Avevo capito che era inutile cercare di esprimere il mio pensiero in questi momenti, diverse volte avevo tentato di assecondarlo, cercando di capire cosa lo spingesse ad assumere questo comportamento, cercavo inutilmente il motivo reale delle sue intenzioni, mi ero costruita le mie ipotesi, ma non riuscivo a comprenderlo. Certe volte esasperata avevo pensato anche di lasciarlo, ma avevo paura che spinto dalla rabbia me l’avrebbe fatta pagare. In alcuni momenti, il suo viso mutava, i suoi occhi cambiavano espressione quasi volesse fulminarmi in quell’istante, in altri momenti diventava docile quasi non avesse colpa e mi chiedeva scusa per come si era comportato nei miei confronti, spesso si giustificava dicendo che era stressato, che il lavoro era pesante, quasi provasse pena per me”. Aveva deciso di scappare da quell’uomo violento e pieno di risentimento, la sua vita era stata un enorme contraddizione, tra l’agire e la falsa morale, ora era stanca, aveva bisogno di serenità e stabilità affettiva, doveva riappropiarsi della sua dignità, acquisire sicurezza in se stessa, aveva capito che quell’eccessivo controllo nei suoi confronti, non era amore ma possesso, spesso si era sentita come se fosse un oggetto inerme nelle mani di un manipolatore, lui amava solo l’immagine di se stesso e nessun’altro. La decisione divenne definitiva quando dopo l’ennesimo litigio lui le alzò le mani, non era la prima volta che si era permesso, già altre volte era stata oggetto della sua ira, ma stavolta era stata colpita violentemente e con una tale ferocia che si convinse che doveva fuggire prima che sarebbe stato troppo tardi, aveva perso molto sangue e mentre lei era riversa sul pavimento, lui era fermo, immobile come fosse in preda ad allucinazioni. “Con voce tremante lo pregai di accompagnarmi all’ospedale e lui mi rispose con freddezza di aspettare, che presto sarei stata meglio. Svenni, così decise di chiamare il dottore, mi disse che non dovevo raccontare a nessuno quello che era accaduto fra di noi, altrimenti avrei avuto seri problemi, concordammo cosa dire al dottore, gli dissi che ero inciampata mentre scendevo le scale e che ero caduta violentemente, durante la caduta avevo sbattuto la testa e il busto, il dottore mi visitò e mi disse che avevo una costola rotta, avrei dovuto fare degli esami più approfonditi per vedere se c’erano traumi interni, durante la caduta mi ero procurata un ematoma sulla testa, ma fortunatamente non era una cosa grave, me la sarei cavata in poche settimane, sarei dovuta stare a riposo. Dopo tre settimane mi ripresi, ma consapevole dell’accaduto, cominciai a pianificare la mia fuga, decisi che sarei andata via, lontano da quella casa, ma soprattutto lontano da lui, non avevo più lacrime da versare, ne coraggio vendere, dovevo pensare a me stessa, pensare a sopravvivere. Troppe volte avevo sentito dire che non valevo nulla, che i miei genitori non mi amavano, me lo ripeteva di continuo, sapeva che soffrivo molto, ma non gli interessava ferire i miei sentimenti, anzi certe volte sembrava quasi ridesse vedendomi turbata e angosciata. Più volte aveva cercato di allontanarmi dai miei amici, spesso mi controllava il telefono, quando ero in giro da sola, mi chiamava all’improvviso chiedendomi con chi ero, dove mi trovavo, cosa facevo, giustificava il suo comportamento dicendomi che mi amava, che teneva a me, che mi voleva proteggere, ma il suo comportamento nei miei confronti dimostrava altro, il suo umore cambiava all’improvviso e senza una precisa ragione e questo comportamento mi spaventava molto. All’inizio della nostra relazione, la gelosia o un comportamento irrequieto improvviso, mi sembrava una cosa normale, pensavo fosse dato da qualcosa che gli desse fastidio, ma pian piano vedevo che iniziava ad essere eccessivo.
Tutto è iniziato con una piccola gelosia, ero molto piccola quando l’ho conosciuto, poi la gelosia diventava sempre più forte, successivamente aveva iniziato ad arrabbiarsi perché veniva contraddetto, poi il rancore covato, le svalutazioni personali, le denigrazioni, il controllo ossessivo, per poi finire con insulti e minacce quando si provava ad allontanarsi da lui”. Questi comportamenti di violenza si sono insinuati gradualmente nella coppia e sono diventati più marcati subito dopo il matrimonio. Una volta un’amica le aveva raccontato di un fidanzato molto geloso che non la lasciava uscire con le amiche, eppure all’inizio della loro relazione voleva che uscisse con loro, dopo poco tempo iniziò a fare delle scenate di gelosia, anche davanti alla gente, certe volte l’aveva vista piangere, le raccontò che questi atteggiamenti erano diventati più frequenti in poco tempo, ma che lei non riusciva a lasciarlo, perché lo amava. “Io non capivo quella situazione che ai miei occhi era insostenibile, non sapevo che mi sarei ritrovata in una situazione identica, ad un tratto le cose non erano più chiare come una volta. Riuscii a scappare e ad allontanarmi da quell’uomo e da quella situazione insostenibile, per molti giorni riuscii a fare perdere le mie tracce, ero spaventata all’idea che presto sarebbe venuto a cercarmi, cercai di guadagnare tempo, poche settimane prima avevo cercato un appartamento in un’altra città e iniziai a cercare un nuovo lavoro, avrei dovuto cambiare le mie abitudini e stravolgere la mia vita, ma la situazione lo richiedeva per la mia incolumità, avevo paura di qualche suo gesto insensato”. Quando la collera lo assaliva diventava un’altra persona, era in preda agli istinti, non ragionava più. Il giorno che riuscì finalmente a lasciarlo, iniziai a vivere, a respirare un aria che non avevo mai sentito in quegli anni, sapevo che poteva essere una cosa temporanea, non so se si sarebbe rassegnato facilmente, almeno fino a quando non avrei iniziato le pratiche per il divorzio in modo da risolvere la situazione definitivamente. Cominciò a telefonarmi insistentemente, voleva sapere dove fossi, ma io non gli dissi nulla, finse un finto dispiacere, mi disse che era stressato, che ultimamente il lavoro lo pressava molto, che gli mancavo molto, che sarebbe cambiato, che non mi avrebbe alzato mai più le mani, non mi feci impietosire, rimasi ferma nelle mie convinzioni, poco dopo sentii il suo tono cambiare e diventare aggressivo, mi disse che se mi avesse trovata me l’avrebbe fatta pagare cara, gli risposi che avevo parlato da poco con un avvocato e presto gli sarebbero arrivate le pratiche per il divorzio.
Dopo qualche settimana, i suoi amici iniziarono a chiedergli dove fossi, per essere credibile ai loro occhi, disse che ero andata a trovare i miei genitori, non raccontò loro che ci stavamo lasciando. Iniziò a prendere informazioni, non passò molto tempo prima che riuscisse a trovare il luogo in cui lavoravo. Appena riuscì a trovarmi si presentò all’uscita dal lavoro, giunse davanti a me con aria incattivita, come se gli avessi fatto un grosso torto, iniziò ad insultarmi pesantemente a dirmi che ero una poco di buono, a dirmi che sicuramente lo tradivo, che lui mi amava e che lo avevo distrutto, mi disse di tornare da lui e ad un mio fermo diniego, iniziò a prendermi a parole, a inveire contro di me, a minacciarmi e a giurare che me l’avrebbe fatta pagare. Il solo pensiero di rivivere quella situazione mi faceva sentire male e per un momento ripiombai nel buio più profondo, sentivo ancora il peso di quelle umiliazioni, di quel controllo ossessivo sulla mia vita e sugli affetti, la limitazione della mia libertà, le ristrettezze economiche in cui mi aveva tenuto per anni, mi sentii prigioniera all’interno di quelle mura domestiche, nonostante quel barlume di libertà, le lacerazioni interiori che quel rapporto mi aveva asciato riemergevano lentamente, tornai al lavoro, cercai di dimenticare quei momenti. Negli anni avevo imparato a convivere con i suoi falsi pentimenti, all’inizio credevo anch’io ai suoi finti pentimenti, quando mi diceva che aveva capito di aver sbagliato e che sarebbe cambiato, che mi amava, che il lavoro lo stressava, ma con il tempo cominciai a capire che quelle false intenzioni erano solo menzogne, il suo era un modo per tenermi legata a lui. Ricordo che io non avevo il coraggio di lasciarlo, perché c’era qualcosa che mi tratteneva dal farlo, forse la speranza che un giorno cambiasse veramente e che tutto tornasse alla normalità, ma con il tempo ho capito che la realtà era ben diversa. Perché il tipo di sentimento che prova questo tipo di uomini non è realmente amore, ma possesso, loro non cambieranno mai, vogliono solo distruggerci fisicamente e psicologicamente ed una volta soggiogate, vogliono soffocare la nostra anima giorno dopo giorno fino a quando diventiamo totalmente succubi e dipendenti, incapaci di pensare e ragionare indistintamente. Bisogna acquisire autostima, essere forti e reagire prontamente, occorre prendere la propria vita in mano e andare avanti. E’ importante riconoscere i segnali, ci sono donne che pur riconoscendo questi segnali volontariamente decidono di ignorarli, magari si sposano o mettono su famiglia con questi individui, sperando che svaniscano i problemi, ma la situazione peggiora notevolmente con la convivenza e in molti casi si aggrava, sfociando in violenze domestiche vere e proprie, perché questo tipo di uomo vuole indebolire l’autostima della propria donna, cercando di isolarla e di allontanarla da coloro che la vogliono bene e una volta diventati l’unico perno vitale della povera vittima, attraverso umiliazioni e una svalutazione continua le muovono violenza psicologica e in alcuni casi anche fisica, provocando un circolo vizioso dalla quale la vittima viene indebolita e non riesce ad uscirne. Dopo aver cambiato lavoro e città iniziai a sentirmi meglio ero più serena, iniziai a fare nuove amicizie, i colleghi di lavoro erano simpatici e alla mano, ma dopo poco tempo si ripresentò nuovamente, con insistenza mi disse che dovevo ritornare con lui, gli dissi di andarsene, che avrei chiamato la polizia, si allontanò. In diverse occasioni fui minacciata pesantemente e subii intimidazioni vere e proprie a pochi metri dall’ufficio in cui lavoravo, così decisi di sporgere denuncia, non raccontai niente ai miei colleghi, non volevo che sapessero dei miei problemi, sicuramente mi avrebbero appoggiato e consigliato, ma non me la sentivo di sostenere un ulteriore pressione anche da parte loro, mi tenni tutto dentro e continuai a lavorare come se nulla fosse accaduto, cercando di non far trapelare nessuna emozione, anche se a casa spesso piangevo, i ricordi tristi riaffioravano e la pressione si faceva sentire, inoltre avevo paura che questa situazione potesse portare a maldicenze e cattiverie nei miei confronti e potesse compromettere il mio lavoro, avevo paura di perdere il posto. Mi feci forza e andai avanti. Nonostante in quegli anni avessi subito minacce, maltrattamenti, vessazioni di ogni tipo, violenze verbali e psicologiche, tanto da avermi intimorito pesantemente. Avevo iniziato un percorso di consapevolezza , mi ero allontanata da lui, avevo cambiato città, casa, amicizie, lavoro, adesso questi suoi atti persecutori e perpetrati nel tempo dovevano cessare. Mi ero recata presso le forze dell’ordine e lo avevo denunciato, portai con me delle prove che dimostrassero la veridicità di quello che avevo detto, mi comprai un registratore e lo portai con me al lavoro certa che dopo la prima volta si sarebbe ripresentato nuovamente al lavoro e registrai le intimidazioni e le minacce che mi fece durante alcuni dei suoi appostamenti. Adesso ci avrebbe pensato la polizia, sarebbe stato posto sotto controllo e si sarebbe dovuto tenere lontano da me e dai posti che frequentavo, forse finalmente gli incubi che facevo spesso la notte e che non mi lasciavano dormire tranquilla sarebbero svaniti per sempre, non avrebbe mai più potuto controllare la mia vita, sarei stata libera ed avrei vissuto serenamente il resto della vita. Molto spesso queste condizioni non vengono riconosciute, o vengono negate o addirittura nascoste per paura di essere denigrate dalla società. Sono infatti molte le donne, che vivono queste relazioni tossiche pensando che siano la normalità nei rapporti, inconsapevoli del fatto che subiscono abusi emotivi. Se una persona ti ama ti rispetta, dimostra il suo amore concretamente e dà valore ai tuoi bisogni, ti ricopre di attenzioni e di affetto. Per uscire da questa condizione è importante parlare, confidarsi con parenti ed amici, prendere coscienza e consapevolezza, acquisire fiducia in se stesse.
Dopo questa brutta esperienza ho continuato a lavorare e a svolgere la mia vita normalmente come se nulla fosse accaduto, cercando di allontanare il dolore provato e quello che era successo, andando avanti, dopo poco tempo conobbi il mio attuale ragazzo, dolce, sensibile come pochi altri, conobbi la sua famiglia, i suoi amici e presto decidemmo di sposarci, dimenticai parte della mia vita passata aprendo gli occhi al presente.
Quanto credono le donne al sentimento dell’amore, ci investono la propria vita.
Quanto tempo impiegano a capire che un amore può essere un non amore! Perché le donne giustificano, cercano di capire, perdonano, guardano avanti, fanno di tutto prima di arrendersi, di riconoscere che il rapporto che si vive e’ sbagliato, deve finire.
L’autrice racconta con controllo e dignità la violenza fisica e quella psicologica subita da questa donna che e’ riuscita, finalmente, a voltare pagina. Brava!