Premio Racconti nella Rete 2020 “L’ora di storia” di Alessia Pennino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020La signora Lucia aprì il cancello. Era una concessione che faceva solo ai pochi privilegiati, un atto di cortesia per quelli che le andavano più a genio. Il cortile, in effetti, non era molto spazioso: un posto era riservato al preside, un altro spettava alla segretaria, quello in fondo alla vicaria e sulla destra il gabbiotto di Lucia, valorosamente difeso da Peppino e Salvatore, due mastini napoletani.
Ginevra avanzava timidamente con la sua peugeot 206, fedele compagna di viaggi, cercando di non urtare con le portiere, di certo non per paura di doverle eventualmente riparare, ma non voleva ricambiare la generosità di Lucia con la distrazione di un gesto inconsulto, che avrebbe messo in difficoltà lei e la sua complice.
Sì, perché quel giorno il preside aveva un incontro con certi rappresentanti delle case editrici più importanti di Napoli, con i quali aveva intenzione di organizzare una conferenza dal titolo “Recupero e riqualificazione dei quartieri spagnoli” e aveva stabilito che nessuno dovesse parcheggiare all’interno dell’Istituto. Il cortile non poteva ospitare tutti, figuriamoci i supplenti. – Professoressa Buongiorno!
– Salve signora Lucia, come sta?
– Professorè come ieri, na’ schifezza.
– Forse le fa ancora male la schiena?
– E fosse solo quello, professorè, ma lasciamo stare!
Lucia era la custode del cortile, testimone degli anni di splendore e di decadenza dell’Istituto, e depositaria di un sapere arcaico, antico, esoterico. Aveva un’età indefinibile tra i sessanta e i novant’anni, capelli argentei raccolti distrattamente in un elegante chignon, due occhi vispi e ipnotici. La Sibilla Cumana avrà di certo avuto quell’aspetto quando svolgeva la sua attività oracolare nell’antro del Lago d’Averno. Un giorno si era avvicinata a Ginevra con la sua andatura lenta e sinuosa, le aveva sorriso, noncurante della dentatura lacunosa, e le aveva sussurrato “Professorè, voi siete giovane e tante cose ancora non le potete sapere, ma io sì. 38 e 29 sono numeri fortunati, 83 o’ Maletiemp e 8 a Maronn. Pape Satàn, pape Satàn aleppe. Il Signore è grande.”
La campanella era suonata da un pezzo, ma nei corridoi c’era ancora la folla dei ragazzi, un movimento confuso di quanti entravano e uscivano dalla aule per dirigersi in altre, per rispettare la turnazione così come era stato stabilito nell’ultimo collegio docenti. Così ogni ora, al suono della campanella, masse indiscriminate di alunni, con uno slancio vitale, abbandonavano le loro rispettive classi, che li avevano ospitati il tempo di una lezione, e inondavano gli ambienti dell’Istituto, sotto lo sguardo sconcertato dei bidelli e imbarazzato dei docenti.
Quel giorno Ginevra aveva preparato una lezione di storia coi fiocchi, sull’antico Egitto, un argomento che ricordava dai tempi delle medie, quando, ancora studentessa, aveva sognato di diventare archeologa, di avventurarsi nel deserto del Sahara, attraversare in kajak le rapide del Nilo e raggiungere le piramidi di Giza per scoprire gli antichi segreti delle tombe dei faraoni.
Secondo le indicazioni del calendario affisse in aula docenti al pian terreno, quel giorno la 1B doveva essere al quarto piano, nell’aula adiacente ai bagni, ma alle 10:00 avrebbe fatto un cambio e si sarebbe trasferita al secondo piano, nell’ aula informatica AINF. – Professorè, cosa state cercando?
– Ah buongiorno Gennaro, mi saprebbe dire dove si trova l’aula informatica AINF?
– Sì, prof., ma Inf2 o Inf1?
– Eh, non ricordo con esattezza, insomma, c’è molta differenza ?
– Eh sì, professoré, perché l’aula Inf1 è nella parte vecchia dell’Istituto, quindi dovete tornare indietro, scendere al primo piano e seguire le indicazioni, inf2 si trova in fondo a questo corridoio, destra e poi sinistra! Nu casin!
– Perfetto, ora ricontrollo.
Gennaro era il bidello del secondo piano, era claudicante, eppure lavorava instancabilmente senza mai lamentarsi, il suo volto espressivo, segnato dalla vecchiaia e dalla fatica di una vita, e lo sguardo malinconico di chi ne ha passate tante, gli conferivano dignità e contribuivano ad esaltare la fierezza del suo aspetto. Era un uomo onesto e si esprimeva con la saggezza proverbiale di cui solo chi ha vissuto avidamente e senza sconti può farsi portavoce.
Ginevra non aveva il tempo di scendere al piano terra per controllare nuovamente la disposizione delle aule, per cui tentò al secondo piano. Aula Inf2, speriamo sia questa, pensò.
I ragazzi di prima la stavano aspettando a porte chiuse, in silenzio, stranamente.
– Buongiorno ragazzi!
– Salve Prof.!
– Perché avete chiuso la porta?
– Prof., l’avrà chiusa Gennaro! – rispose Lorenzo, il sindacalista della classe.
– Ah Gennaro…- disse Ginevra, cercando di scrutare il viso dei suoi alunni per capire cosa stesse succedendo – e perché Gennaro avrebbe chiuso la porta, sentiamo.
– Prof., forse stava pulendo il corridoio e distrattamente col piede avrà chiuso la porta – ribatté Lorenzo.
– Capisco, Capisco – aggiunse Ginevra, mentre continuava a fissare attentamente, con fare investigativo, lo sguardo di ognuno di loro, come faceva sua madre con lei ai tempi del liceo, quando tornava a casa il sabato, dopo una serata di bagordi, e fingeva disinvoltura.
– Va bene, ragazzi, allora cominciamo. Continuiamo il discorso di ieri su Tutankhamon, vi ho raccontato la leggenda della maledizione, vi ho visti molto interessati…
In quel preciso istante entrò Giovanni, compagno di banco di Lorenzo e addetto volontario alle commissioni della classe, che portava con sé un carico di saltimbocca e pizzette appena sfornate dal bar della scuola.
– Giovanni, buongiorno! – disse Ginevra spazientita.
– Ah salve prof., mi scusi, non l’avevo vista! – disse Giovanni mentre, come un giocoliere, cercava di non far cadere la focaccia al rosmarino ordinata da Luca.
– Giovanni, togliti il cappello per cortesia!
– Ah sì sì prof., mi scusi…
– Allora, possiamo cominciare?
Giovanni distribuì le leccornie ai suoi compagni e andò a sedersi nell’ultima fila, a fianco a Lorenzo. Finalmente la classe sembrava essersi ricomposta.
– Bene, allora ragazzi, la tomba di Tutankhamon, dicevamo, fu scoperta da un archeologo inglese di nome…
Improvvisamente la faccia di Giovanni impallidì e i suoi occhi divennero vitrei come quelli di chi ha visto un fantasma.
– Giovanni che hai? – disse Ginevra, che cominciava a preoccuparsi.
Giovanni non rispose, i muscoli del suo volto si contrassero in un’espressione di terrore, mentre il suo corpo si irrigidì in una posa innaturale. Tutto faceva presagire il peggio.
– Giovanni! Rispondi! – disse Lorenzo, pizzicandolo sulle guance, e a seguire tutti gli altri in coro – Giovanni! Rispondi! Che hai?!
Ginevra non era una tipa che si faceva prendere facilmente dall’ansia, soprattutto nelle situazioni di emergenza aveva sempre dato prova di grande prontezza e lucidità. Ma con i ragazzi era diverso, sentiva il peso della responsabilità del suo ruolo e spesso si era interrogata se fosse davvero adatta a rivestirlo.
Alla vista di quegli occhi spaventati, sembrava che le sue paura stessero prendendo forma: si vedeva già su tutti i giornali ritratta in una foto sbiadita mentre la conducevano in prigione, con una smorfia sulla faccia come a dire “non è colpa mia” e le mani dietro la schiena tenute strette dalle manette, descritta da un titolo calunnioso a caratteri cubitali “Studente muore in classe sotto lo sguardo attonito di una Prof. inesperta”. Giovanni, intanto, non dava segni di ripresa, si era accovacciato con la testa sul banco, mentre i compagni gli offrivano un po’ d’acqua e zucchero.
– Forza Luca, vai a chiamare il Preside, veloce. E tu Lorenzo, aiutami a sdraiarlo lentamente a terra – Ginevra pronunciò quelle parole con autorità, fingendo di avere tutto sotto controllo, ma la sua voce tremante svelava l’insicurezza delle sue azioni.
– Prof., il Preside sta venendo, pure il bidello… e pure la segretaria.
– Va bene Luca, forza Lorenzo aiutami…
Giovanni si stese a terra e aprì finalmente gli occhi.
– Giovanni, come ti senti? – disse Ginevra fiduciosa che quell’incubo fosse finito.
– Prof., Prof…
– Sì dimmi Giovanni, come stai?
– Prof., credo di aver visto il fantasma di Tutankhamon!
Tutti scoppiarono in una risata sguaiata, mentre Giovanni si alzò di scatto facendole una smorfia di trionfo.
Alla fine della terza ora, Ginevra si diresse verso la macchina per recuperare i libri di italiano per la lezione successiva. Pensava tra sé e sé che forse avrebbe dovuto punirli, ma che in fondo erano solo dei ragazzini. Lucia era lì ad attenderla con un sorriso sardonico stampato sulla faccia. – Professorè, non date retta, 19 a risata e 2 ‘A piccerella. Vincit qui utitur clementia. E voi avete un cuore grande.
Bellissimo Alessia! Mi piacciono i “quadri” napoletani che dipingi. Divertente la trama e poetico il finale con la custode oracolare e saggia che chiude il sipario:)
Simpaticissimo, lascia con il fiato sospeso sino al finale piacevole e per nulla banale i personaggi sono profondi e veri sembra di conoscerli veramente bello brava complimenti
Ti ringrazio Clarice, sono felice che ti sia piaciuto!
Ti ringrazio Alessandro per aver lasciato un commento e sono felice che il mio racconto ti sia piaciuto!
Alessandra* 🙂
Davvero simpatico. Ho amato Lucia e la sua saggezza napoletana. E poi è proprio vero: vincit qui utitur clementia! Brava
Ottima scrittura e personaggi così ben descritti da riuscire a vederli. Bravissima, mi é piaciuto moltissimo.
Grazie mille Maria Luisa!